di Giuseppe Ciarallo, Walter G. Pozzi, Alberto Prunetti e Massimo Vaggi
Terra di Padania: le origini della Lega Nord, la propaganda razzista, gli interessi economici e il legame con la Chiesa. Incontro dibattito a margine della presentazione di Sorci Verdi. Storie di ordinario leghismo (Alegre edizioni, 2011) presso la libreria Equilibri, Milano, 7 novembre 2011
Nel gennaio 2011 diverse amministrazioni leghiste del Veneto promuovono una messa al bando di libri: il Brasile ha appena respinto l’estradizione di Cesare Battisti, e qualche assessore pensa bene di dichiarare ‘diseducativi’ i testi di quegli scrittori che nel febbraio 2004 hanno firmato la petizione di Carmilla.it contro l’estradizione, all’epoca dalla Francia, di Battisti. In risposta al tentativo di censura, culturale ideologica e politica, nasce ‘Scrittori contro il rogo’, un’iniziativa in cui si ritrovano diversi autori, molti dei quali non avevano nemmeno firmato quella petizione: perché un ‘rogo’, qualunque sia la ragione – o la scusa – che lo ispira, nega la libertà di pensiero
ed espressione. Da ‘Scrittori contro il rogo’ è nato Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo. Racconti sprofondati nell’universo leghista, a narrare quella cultura quotidiana che ha imbarbarito le relazioni sociali e umane e a indagare, con sarcasmo, ironia ma anche toni drammatici, un partito che ha modificato l’immaginario, il linguaggio e la politica dell’Italia.
Un’impresa collettiva e militante di diciassette autori: Giulia Blasi, Annalisa Bruni, Giuseppe Ciarallo, Giovanna Cracco, Alessandra Daniele, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Angelo Ferracuti, Fabrizio Lorusso, Davide Malesi, Stefania Nardini, Valeria Parrella, Walter G. Pozzi, Alberto Prunetti, Stefano Tassinari, Massimo Vaggi, Lello Voce.
Massimo Vaggi. Le parole descrivono o creano? Vecchia questione, non solo in ambito linguistico. Eppure spesso anni di discussione non contribuiscono a chiarire quanto piuttosto a sedimentare incertezze e a ri-proporre le medesime domande. Così che quando ho letto di un ministro che parlava tranquillamente di bingo bongo mi sono chiesto se questa espressione fosse sintomo di un incontrollabile fondamentalismo razzista ovvero se rappresentasse l’uso strumentale, a fini politici o elettorali, di un lessico comune e comunemente riconosciuto, con l’effetto voluto di provocare consapevolmente la creazione di una struttura di pensiero razzista. Fatto sta che Sorci Verdi è un libro in cui le parole della Lega la fanno da padrone.
Sono parole che dicono di esclusione, di confini, di muri, di diffidenza, di odio. Parole che imporrebbero come unica scelta a chi decide di stare da questa parte di ergersi a paladino dei valori della cultura padanopatriottica e dell’etnia, confondendo l’una con l’altra (dobbiamo dimenticarci l’elogio al ‘patriota’ Mladic?) e a chi sta dall’altra parte consegna un destino di integrazione impossibile.
Io ho abitato a Novara sino ai miei ventitre anni. Luogo dove i pendolari di un lavoro itinerante arrivavano da Milano sugli stessi treni straordinariamente affollati che anch’io, studente universitario, non potevo evitare. Quelle persone nel chiacchiericcio del fine giornata mescolavano senza difficoltà i loro dialetti, la maggioranza obbligando però gli altri ad ascoltare
e ridere per la barzelletta di turno sul terrone (o sul carabiniere). Ma erano, quelle, parole che stemperavano il loro effetto negativo nell’ambito di una comunità, legata da identici interessi materiali, da una vita non così diversa e dalla possibilità di immaginarsi un destino comune. Parole che definire inoffensive sarebbe imprudente, ma che certamente terminavano la propria capacità di ledere e offendere laddove chi le pronunciava e chi ne era indiretto destinatario si riconoscevano come parti di un mondo, in quel caso quello del lavoro, che riservava loro legami ben più profondi e intensi. Parole che non fondavano, non fondavano ancora, i presupposti di una cultura razzista, ma solo denunciavano la pochezza di una situazione che aveva bisogno di un certo tempo per far sì che fossero superate le diffidenze reciproche. Eppure erano le stesse che si leggevano nei cartelli affissi davanti alle abitazioni: ‘non si affitta ai terroni’ (o ai meridionali, precisavano i più pudichi). Ma le stesse parole in ambiti diversi svolgono funzioni a volte antitetiche. Quelle scritte sui cartelli sembravano spese senza pietà e senza riserve, senza alcuna intenzione che non fosse il ritrarsi sdegnato e impaurito dell’ordinato padrone di casa – e che tale si pensava anche del territorio – nei confronti dell’invasore. Quale differenza, dunque?
La Lega propone un uso delle parole nella fase storica della paura e dell’emergenza che va ben oltre al lessico comune e vagamente, inconsapevolmente, razzista, e in questo modo consciamente tende a costruire la segregazione, a determinare le condizioni per una forma di apartheid nostrano.
Non ho paura del significato inconsapevole delle parole. Quei lavoratori sui treni dei pendolari mi hanno insegnato che non sempre alle parole ‘brutte’, all’insulto e al dileggio corrispondono destini già segnati. So che è possibile recuperare per la parola un valore preciso non solo lessicale, che la restituisca a ciò che è: un elemento malleabile eppure dotato di una sua assoluta capacità di significare, un materiale che solo dopo essere stato davvero compreso e coscientemente utilizzato diventa capace di prestarsi a tutte le manipolazioni necessarie.
So che questo – anche questo – è il significato del lavoro di scrivere. So che questo voleva essere il significato dell’aver scritto un racconto per Sorci Verdi.
Come se potessi in questo modo fermare qualcuno che straparla di bingo bongo e dire, ehi, ma hai idea di cosa stai dicendo, voglio dire, hai davvero un’idea di cosa stai dicendo, e aggiungere anche: guarda mio figlio, per esempio, che è proprio un bingo bongo, guardalo, toccalo, parlagli. Torna nel mondo. Ci sarà pure qualcuno, mi dico, che è capace di distinguere un essere umano da una definizione stupidamente usata. Se non fossi capace di immaginare che questo sia ancora possibile, perché dovrei scrivere?
Ho ribrezzo invece per chi trasforma le parole in parole d’ordine, per chi organizza un partito intorno alla paura e all’incapacità trasformandole in odio. Mi incazzo irrimediabilmente per l’operazione strumentale che a partire dalla semplicità di un linguaggio che ancora è disponibile a non far del male costruisce un sistema chiuso e definitivo di pensiero, un sistema di potere, una funzione elettorale. Sono irrimediabilmente miei nemici quelli che, protetti dalla nebbia e dal recinto invalicabile di un lessico autoreferenziale, escludono di poter riconoscere in mio figlio non quello che è o potrebbe diventare, ma un bingo bongo.
Che peraltro, da quando ancora molto piccolo ha assunto cittadinanza italiana e residenza emiliana, potrebbe dirsi, se solo gli interessasse farlo, tanto padano quanto un qualunque ex ministro verdevestito.
Walter G. Pozzi. Ciò che mi stupisce e mi colpisce negativamente dei dibattiti sulla Lega Nord, è il fatto che se ne parli sempre più spesso, in maniera semplicistica e riduttiva, come di un fenomeno. Molte riflessioni in merito vengono introdotte così: il fenomeno leghista…
Ritengo che il rifiuto di riconoscere la Lega Nord come un partito importante, con una sua ragione di esistere agli occhi di chi detiene oggi il potere in Italia, sia la ragione per cui ancora, a vent’anni di distanza dalla sua nascita, continuino a mancare riflessioni profonde sulle radici del suo successo, sia a livello popolare che sul piano politico.
Personalmente, sono convinto che un’analisi efficace del successo della Lega non possa cominciare che risalendo alle origini del leghismo bossiano, al 1989. Ovvero, nell’anno della metamorfosi grazie alla quale la Lega Lombarda, abbandonando le vesti di partitino spontaneista, si trasforma in un partito di statura nazionale. È lì che bisogna tornare, a questo momento di passaggio, fondamentale, se si vuole inquadrare una volta per tutte la Lega all’interno della storia italiana dei partiti politici. Andando, cioè, oltre l’impianto xenofobo che, della sua politica, rappresenta ‘solamente’ l’aspetto visibile e più facilmente spendibile sul piano elettorale. L’ariete per entrare nella pancia della gente.
Perché il 1989? Perché è in quest’anno che nasce una confederazione di movimenti di stampo leghista (Unione Ligure, Piemonte Autonomista, Liga Veneta, Lega Friuli, Lega Trieste, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana) che trova proprio nella Lega Lombarda un luogo di convergenza ideale.
All’improvviso, tutte queste realtà decidono di confluire, senza porre ostacoli, dentro un unico catalizzatore politico. Il che è già di per sé qualcosa di piuttosto insolito per la politica italiana.
E lo è ancor di più pensando a realtà così piccole, in genere caratterizzate da un profondo spirito identitario e bellicoso. Inutile dire che uno spostamento di questa portata non può che far pensare a un progetto dotato di un orizzonte molto ampio, il cui ideatore è da ricercarsi al di fuori di questa galassia politica. E la storia recente, ancora non raccontata nella sua complessità, conferma che proprio di questo si tratta.
In quel periodo, intorno alla neonata Alleanza del Nord, cominciano a gravitare nuove figure. Una di queste è Gianfranco Miglio, uomo molto vicino ad Andreotti – e che della Lega diventa l’ideologo – oltre a numerosi rappresentanti della destra eversiva (è il caso della Liga Veneta) e del mondo massonico.
Si pensi all’avvocato Menicacci, legale di Stefano Delle Chiaie, nonché punto di incontro tra la Liga Veneta e molti dei movimenti autonomisti centro-meridionali, tutti nati durante gli anni Novanta sotto il controllo di un’altra conoscenza della storia italiana del secondo Novecento: Licio Gelli.
A colpire – tra i tanti punti oscuri che hanno caratterizzato questo periodo della crescita leghista – è come, da un certo momento in poi (il pool di Mani Pulite è nel pieno delle sue inchieste e la prima Repubblica sta crollando sotto gli avvisi di garanzia), l’esposizione mediatica di Umberto Bossi e i suoi accoliti cominci a godere di una crescita esponenziale rispetto ai tempi dello spontaneismo, arrivando a imporre la Lega Nord come realtà politico-culturale credibile. E, come d’incanto, insieme all’impianto ideologico dei leghisti, viene accettata dai più famosi corsivisti, senza nemmeno più il filtro dello sfottò, anche la loro maniera di fare politica.
Per uno strano sortilegio, il concetto federalista, dai e dai trascorrendo gli anni, comincia anch’esso a farsi largo simile a un mantra, trasformandosi in una politica spendibile e buona per tutti, penetrando nei salotti buoni della politica, fino a diventare il focus della progettualità dei partiti sia di centro-destra che di centro-sinistra.
Molteplici sono le ragioni per cui la Lega Nord all’improvviso appare al potere economico come una forza politica utile ai propri scopi.
Primo, perché, nel mezzo della bufera giudiziaria, in quegli anni è l’unico partito senza scheletri nell’armadio. Secondo, perché, presentandosi come forza anti-partitica, rappresenta un elemento di rottura e, di conseguenza, ha le carte in regola per farsi carico del voto di protesta dopo il crollo dei partiti popolari storici, in particolar modo nella prospettiva di quel nuovo ordine che il mondo politico economico è in procinto di costruire sotto il nome di seconda Repubblica. Terzo, perché in quegli anni comincia ad aumentare il peso politico di una fascia sociale di piccoli e medi imprenditori arricchitisi durante l’ultimo decennio. Si tratta di un nuovo modello di elettore (nuovo per l’entità numerica) che ha guadagnato una posizione sociale, a cui sarebbe pericoloso
non garantire una valvola di sfogo parlamentare. E la Lega Nord è il partito con le giuste caratteristiche per coprire questo compito. Quarto: la Lega Nord, profondamente liberista, è in grado di fare fruttare il suo razzismo per spostare l’asse del conflitto sociale da verticale a orizzontale e così, rendere un grosso favore ai capitani d’industria. Non più, quindi, padroni contro salariati, bensì lavoratori privati contro lavoratori del pubblico e italiani contro stranieri. Quinto, e ultimo: il progetto federalista, maturazione legata al pensiero di Miglio ed evoluzione politica naturale delle ormai vecchie istanze separatiste delle origini.
È proprio sul federalismo, infatti, che la natura gattopardesca delle forze economiche italiane – ancora legate, per convenienza, a logiche di potere fondate sull’assistenzialismo statale – decidono di appoggiarsi per contrastare i processi di globalizzazione imminenti.
Una questione di sopravvivenza, quindi.
Rendendosi conto che lo Stato, nella sua concezione centralizzata del po tere, non è più in grado di proteggere il loro dominio, gli Shylock italiani cominciano a porre le basi di un nuovo ordine politico impostato secondo una forte suddivisione territoriale.
In questo modo, il federalismo diviene la forma politica necessaria per consolidare, all’interno di un cambiamento formale, le due colonne storiche su cui, dall’Unità a oggi, si regge il vero potere in Italia: la corruzione e l’oligopolio.
Ed è proprio di quest’ultimo aspetto, oltre che del razzismo analizzato in chiave economica, che ho scelto di parlare nel mio racconto.
Giovanna Cracco. Si dice Lega Nord e si pensa al nord-est, alla Lombardia, al Piemonte conquistato da Cota alle ultime elezioni; ma queste regioni non sono solo il nord dell’Italia, sono
anche le tradizionali e cattoliche ‘terre bianche’; almeno un tempo. Eppure in queste terre, un partito xenofobo, razzista, dalle origini pagane e panteiste (che ancora conserva con riti come
quello dell’ampolla del dio Po) miete consensi. E la Chiesa ha trovato, in un partito dalle simili caratteristiche, un referente politico. Com’è possibile?
Il rapporto tra la Lega e la Chiesa è un rapporto complesso, sia a livello orizzontale – la società civile, le persone che un tempo votavano Dc e ora votano Lega – sia a livello verticale – l’alleanza tra i due poteri. Credo che per scardinare meccanismi sociali e politici negativi, e alleanze pericolose, occorra innanzitutto comprenderli, andare oltre l’etica ufficiale della propaganda per vedere gli interessi sottesi.
Tangentopoli e la fine della Dc sono coincisi, non a caso, con il crollo del Muro, la fine del mondo diviso in due blocchi e la vittoria incontrastata del capitalismo, del libero mercato e della globalizzazione. Quest’ultima ha messo in crisi l’economia basata su piccole imprese famigliari e locali, tipica del Veneto, della Brianza ecc., generando una forte crisi economica; contemporaneamente, i flussi migratori e la perdita del referente politico hanno causato una crisi di identità in quella che era una cultura chiusa e spesso bigotta, nella quale i valori del cattolicesimo sono sempre stati vissuti innanzitutto come una tradizione e una realtà sociale.
A questa doppia crisi ha risposto la Lega, fornendo una nuova identità; si è inventata la Padania e un nuovo popolo, con le sue radici celtiche e i suoi miti, e ha chiuso le frontiere, in senso metaforico, proteggendo l’economia locale – e quindi la ricchezza acquisita, la casetta, la fabbrichetta.
Ne è nato uno strano miscuglio, di persone che tutte le domeniche vanno a messa ma che negano l’universalismo e la sussidiarietà cattolica e non accettano il diverso, lo straniero. Alla base del rifiuto e della chiusura c’è quindi sempre una ragione economica: tu porti via la mia ‘roba’. È su questa paura che la Lega ha costruito il proprio portato ideologico razzista, facilitata da una cultura chiusa, dogmatica, dalla mancanza di apertura mentale che la stessa Chiesa, in quelle terre, ha sempre alimentato; perché gli ignoranti si dominano meglio.
A livello verticale, la Lega Nord ha capito in fretta che se voleva governare sul piano nazionale doveva fare i conti con la Chiesa. L’opportunità di stringere un’alleanza l’ha fornita il cardinale Ruini, potente presidente della Cei, quando nel 1995 ha dichiarato la fine dell’unità politica dei cattolici – data la consegna alla Storia della Dc, decretata da Mani Pulite – e ha messo, si può dire, all’asta, i valori non negoziabili: aborto, fine vita, matrimonio ecc.; i partiti che se ne facevano portatori avrebbero potuto attingere al bacino elettorale cattolico. La Lega ha quindi ufficialmente abbandonato le radici pagane e abbracciato la difesa del crocefisso, pur non rinunciando ad alcune mascherate, come quella dell’ampolla, ma anzi avendo la forza di renderle, in pochi anni, una tradizione.
L’alleanza si è poi ulteriormente rafforzata dopo il 2001, con la guerra all’islamismo innescata con l’11 settembre (“Se vi è piaciuto l’anticomunismo, l’antislamismo vi entusiasmerà”, scrisse Ignacio Ramonet in quei giorni sulle pagine di Le monde diplomatique, con una sintesi formidabile!).
L’ideologia del cristianesimo forniva infatti identità e radici ben più forti e salde, rispetto a raffazzonate origini celtiche e pagane, da utilizzare nella lotta allo straniero e all’integrazione, e nuovi miti diventano la battaglia di Lepanto e quella di Poitiers. Ratzinger e il cardinale Bagnasco, successore di Ruini, hanno poi siglato definitivamente il patto: il primo è un papa fortemente conservatore, che nega molte delle aperture del Concilio Vaticano II, afferma il primato della Chiesa cattolica sulle altre religioni e promuove l’evangelizzazione dei popoli; il secondo ha dichiarato più volte che il federalismo può essere una ricchezza, un’opportunità, un
grande valore… a patto che non crei ‘disgregazione’.
La Lega ha, purtroppo, un formidabile fiuto politico, come dimostra anche il suo porsi all’opposizione del governo Monti, di modo da potersi presentare alle prossime elezioni come quel partito che non ha sostenuto manovre economiche lacrime e sangue e non è divenuto alleato di un esecutivo di banchieri e poteri forti. La stessa capacità e astuzia ce l’ha nel gestire il suo rapporto con la Chiesa, facendo una sorta di puzzle religioso, prendendo dalla dottrina cattolica solo quegli elementi che può usare in senso etnoidentitario per la sua propaganda politica.
Vive di contraddizioni che riesce a gestire molto bene: è partito di lotta e di governo, è pagana e cristiana, si schiera con la Chiesa romana e quando entra in conflitto con una diocesi locale, per lo smantellamento del campo rom o la ‘pulizia’ del territorio dagli extracomunitari, affibbia al parroco o al vescovo di turno l’identità del ‘prete rosso che fa politica’.
Di tutto questo ho voluto parlare nel mio contributo a Sorci verdi: mostrare quel momento di crisi, di passaggio, quel Cambio della guardia che dà il titolo al racconto, che ha siglato l’alleanza tra la Lega e la Chiesa e trasformato le ‘terre bianche’ in ‘terre padane’.
Giuseppe Ciarallo. Nel corso di un passaggio del suo ultimo spettacolo, il comico pugliese Checco Zalone ha spiegato, del tutto involontariamente, la deriva in cui il cittadino medio italiano
è scivolato in questi ultimi vent’anni di micidiale connubio tra populismoqualunquismo leghista e demagogia berlusconiana.
Zalone, dopo una serie di battute di dubbio gusto e di doppi sensi sul tema dell’omosessualità, esclama: «Sono stato accusato di omofobia, e la cosa mi ha dato piuttosto fastidio, soprattutto perché sono dovuto andare a guardare sul vocabolario cosa cazzo vuol dire omofobia». Quindi il personaggio Zalone è omofobo senza sapere di esserlo in quanto ignora che i suoi comportamenti sono oggetto di osservazione sociologica, scientifica e ricadono in quel fenomeno denominato, per l’appunto, omofobia.
Questa gag spiega meglio di cento saggi ciò che accade quando la propaganda viene instillata quotidianamente, sistematicamente a piccole, invisibili dosi: come la roccia che viene scavata dalla stilla d’acqua, le coscienze di un popolo assorbono e metabolizzano qualsiasi messaggio, cambiando, di conseguenza, senza avere però la coscienza del mutamento. Così, oggi, abbiamo un popolo inconsapevolmente razzista, xenofobo, omofobo e, in alcune manifestazioni, addirittura nazista. La situazione, già preoccupante di per sé, viene aggra vata proprio dall’inconsapevolezza, fattore che permette persino di sentirsi a posto con la propria coscienza e moralmente dalla parte della ragione.
Quante volte abbiamo ascoltato discorsi deliranti, che avrebbero fatto arrossire persino Eichmann, iniziare con un improbabile: «Premetto che non sono razzista…».
Mi viene in mente la triste vicenda, occorsa qualche anno fa, dei tre quattordicenni che violentarono, uccisero in modo atroce una loro coetanea e ne occultarono il cadavere sperando di farla franca. Una volta scoperti, al termine dell’interrogatorio nel quale ammisero l’atroce delitto, chiesero agli sbigottiti poliziotti: «Ora che vi abbiamo raccontato come sono andate le cose, possiamo tornare alle nostre case?» Ecco, in questa squallida epoca, il nostro popolo mi ricorda tanto quei tre piccoli assassini: riesce ad ascoltare e dire parole terribili e disumane (Gentilini: «Eliminare i bambini zingari!», Castelli e Speroni: «Contro i migranti usiamo i mitra!», ecc.) illudendosi al contempo, proprio in forza della sua soporifera inconsapevolezza, di poter continuare a conservare la stereotipata immagine che lo mostra al mondo con la patetica locuzione: ‘italiani, brava gente’.
Quelli che nella Lega (ma non solo, purtroppo) ricoprono cariche pubbliche, dovrebbero smetterla di parlare nelle loro sedi istituzionali con i toni di ubriaconi da osteria che fanno a gara
a chi la spara più grossa, dovrebbero comprendere che usare un termine piuttosto che un altro, può cambiare radicalmente il senso di un discorso, e quindi la percezione dell’ascoltatore e le possibili reazioni di persone spesso già esacerbate da fattori esterni, come per esempio la crisi economica in atto (che il tam tam mediatico ha contribuito a far scadere in una guerra tra poveri).
Il paradosso sta nel fatto che la Lega si è autoassegnata il ruolo di difensore della cultura dei territori e della tradizione cristiana, non avendo i mezzi per poter essere né l’una, né l’altra cosa: morto Miglio e fuggito Daverio, non c’è un solo personaggio nell’attuale partito di Bossi, che possa essere minimamente associato alla parola ‘cultura’. Non a caso Tremonti, uomo di governo sostenuto a spada tratta proprio dai leghisti, non ebbe alcuna remora nel dichiarare apertamente che “con la cultura non si mangia”, per giustificare la sua politica di tagli a tutte quelle attività intellettuali che hanno come pericoloso risultato quello di avere cittadini consapevoli e conseguentemente critici quando non addirittura ostili nei confronti del potere.
Per quanto riguarda le radici cristiane, poi, come pensano di difenderle, con il matrimonio celtico o con il rito pagano dell’ampolla del dio Po? Un Vaticano un po’ meno reazionario di quello attuale, li avrebbe già scomunicati da un pezzo!
Ecco, con il mio racconto Pietà l’è morta – MisSile Burning mi interessava porre l’accento sul pericolo di un uso sbagliato e aggressivo del linguaggio. Parole mal usate possono scatenare azioni incontrollabili e violente, e si sa che ogni azione porta necessariamente a una reazione di uguale (o maggiore) e contraria potenza. Perché i vessati di ogni epoca e nazione, hanno avuto e hanno capacità di sopportazione enorme ma non infinita, e quando esploderà la rabbia delle nuove generazioni di migranti, sfruttate, maltrattate, titolari di doveri ma non di diritti, allora non basterà la violenza repressiva delle forze dell’ordine, a nulla serviranno le ronde verdi (a proposito, che fine hanno fatto?) e il carabiniere di quartiere, insufficienti a difendere le linde e operose città padane dalla rabbiosa disperazione dei paria, con buona pace di tutta la retorica securitaria di cui Bossi & Co. si sono riempiti per anni la bocca, ma soprattutto la pancia.
Alberto Prunetti. Per come la vedo io la Lega è stata un fenomeno che ha cavalcato l’onda securitaria. Non ha nulla di indigeno, autoctono o di padano. Il pensiero della Lega è un’invenzione dei think tank nordamericani (Huntington e soci) esportata in tutto il pianeta, che ha prodotto identità fittizie per colmare l’ansia della globalizzazione e la pauperizzazione indotta dal capitale. Il razzismo della Lega è stato un enorme dispositivo distrattore, che indicava il nemico sbagliato: faceva la guerra ai poveri e non ai ricchi e ai loro apparati finanziari. Una storia vista in ogni parte del mondo: in India il partito dello Shiv Sena ha gestito Mumbai (un posto che conosco bene perché ci ho vissuto per un po’) con le stesse parole d’ordine di Bossi: hanno cambiato il nome di Bombay in Mumbai, hanno fatto leggi per cui se non parli la lingua del Maharashtra, lo Stato in cui si trova Mumbai, non puoi lavorare come tassista, fomentano l’islamofobia violenta nel nome dell’induismo come “radice comune dell’indianità”. Sono fenomeni che si trovano ormai in qualsiasi realtà dove la globalizzazione del capitale produce i suoi frutti ormai marci.
Quello che mi interessava mostrare nel mio racconto è il fatto che il gergo della Lega ormai sta diventando pervasivo in luoghi esterni al bacino elettorale del leghismo classico. Non stupisce allora che nella rossa Toscana il tentativo di costruire una moschea in un fazzoletto di terra fuori da un paese come Colle val d’Elsa, tradizionalmente afferente alla sinistra, ha visto mobilitazioni simili a quelle dei leghisti davanti al campo rom: mancava solo il maiale con Borghezio (o viceversa). Dirò di più: all’inizio volevo scrivere un racconto proprio su questa vicenda. Poi la realtà mi ha portato altrove: su una spiaggia, dove sono stato testimone di un ignobile episodio razzista. La penna si è imposta e non ho avuto altra scelta che raccontare questo episodio. La Lega insomma non è altro che il figlio scemo della globalizzazione e il suo ruolo sociale si alimenta della caduta dei ceti medi e dei ceti popolari un tempo protetti dai sindacati e poi abbandonati. Adesso siamo arrivati in fondo e non c’è quasi rimasto granché da difendere di quelle conquiste sociali lentamente guadagnate nel Novecento. Forse anche la Lega ha esaurito il suo spirito propulsivo.
Quanto alla censura, da cui nasce l’idea di questa collettanea di racconti, non è cosa esclusiva della Lega. La storia della censura è la storia del potere, quindi finché ci saranno apparati autoritari come gli Stati, ci saranno tendenze, più o meno concentrate, a proibire qualcosa. Ma ricordiamoci che nel sistema occidentale contemporaneo il modo migliore per nascondere un libro non è vietarlo, ma annegarlo in un mare di libri inutili. Questo è peggio della censura, perché funziona meglio e si adatta in maniera limpida a società non disciplinari.