Milano, 20 febbraio 2014. La verità sulla (s)carcerazione di Brega Massone nei documenti della procura
In custodia cautelare da 5 anni, doveva essere liberato a settembre
Il 15 gennaio scorso il chirurgo Brega Massone è uscito dal carcere. Tutti i media ne hanno dato notizia, definendo la scarcerazione la conseguenza di un ‘cavillo giudiziario’: quando infatti il 22 giugno 2013 la Cassazione ha confermato la sentenza, giudicando Brega colpevole dei reati di lesione dolosa, truffa e falso, ha contemporaneamente rinviato alla Corte di appello il ricalcolo della quantificazione della pena, essendo parte dei reati caduti in prescrizione.
Sulla sentenza della Cassazione – come prima su quelle di appello e di primo grado – abbiamo espresso, carte alla mano, una forte critica nel merito, scrivendone anche qui, ma ora non è questo il punto.
È indubbio che possa essere definito ‘cavillo’ il fatto che a una sentenza di colpevolezza in terzo grado non segua la detenzione per ragioni di ricalcolo della pena, ma in questo ‘stralcio’ di vicenda la notizia che nessun media ha approfondito è un’altra: dato che secondo la legge una sentenza diviene esecutiva solo quando esiste una decisione irrevocabile di responsabilità del reato e la quantificazione della pena – entrambi gli elementi, quindi, ed entrambi irrevocabili (e siamo alla base del diritto, non alle finezze) – occorre chiedersi come mai Brega Massone non sia stato scarcerato prima; perché si sia reso necessario un ricorso dei suoi avvocati fino alla Cassazione.
Il chirurgo è stato in carcere dal 9 giugno 2008, giorno dell’arresto, fino al 14 gennaio scorso – salvo una pausa di 6 mesi, dal 5 novembre 2009 al 30 aprile 2010: in totale, qualcosa in più di 5 anni. La custodia cautelare – poiché questo stava scontando – scadeva nel settembre 2013. A quella data quindi doveva essere scarcerato, dato che la sentenza di Cassazione di giugno, come abbiamo detto, non era esecutiva. Cosa che non avviene, perché il 24 luglio 2013, prima della pausa estiva, il sostituto procuratore generale del tribunale di Milano, dottor Antonio Lamanna, emette un “Ordine di esecuzione per la carcerazione”.
Un ordine che sorprende, sotto il profilo giuridico.
Ma ancora più singolare è ciò che è accaduto il giorno prima.
Il 23 luglio la procura invia per fax alla Cassazione una richiesta di chiarimenti: chiede alla Corte “di dichiarare quali parti della sentenza siano divenute irrevocabili, soprattutto in punto di aumento pena in continuazione per i reati di lesioni non prescritti” e ne rappresenta “l’urgenza, essendo prossima alla scadenza (24.9.2013) la custodia cautelare dell’unico detenuto Brega Massone Pier Paolo”.
La procura di Milano sembra dunque avere ben presente – e ci mancherebbe altro, come abbiamo detto è la base del diritto – che solo una sentenza irrevocabile può essere eseguita; ma contemporaneamente pare non capire che non essendosi ancora formato il giudicato sotto il profilo della quantificazione dell’intera pena – e che la Cassazione avesse rinviato per il ricalcolo la pena nella sua globalità, era chiaro leggendo il dispositivo – nessuna ‘parte’ della sentenza è divenuta irrevocabile. Non è dunque applicabile alcuna ‘esecuzione parziale’ perché, molto banalmente, non esiste quel ‘totale’ di cui dovrebbe essere ‘parte’; non è quindi possibile ragionare per sottrazione – eliminare la pena relativa ai reati caduti in prescrizione – né iniziare a far scontare la pena base (comminata dalla sentenza di appello in 5 anni e 2 mesi, ma anch’essa soggetta alla rideterminazione), su cui gli altri capi di imputazione si sommano come reati in continuazione. Oltretutto, anche volendo applicare quest’ultima ipotesi, conteggiando i periodi di liberazione anticipata, a luglio Brega aveva già scontato 5 anni e 8 mesi.
In ogni caso, una richiesta di chiarimenti, per quanto di difficile comprensione, è sempre legittima. Ciò che appare incomprensibile, invece, è la mossa successiva.
Lo stesso giorno la procura di Milano rinuncia alla richiesta, inviando un secondo fax alla Cassazione, dove si legge: “Con riferimento alla richiesta ex art. 624, 2° co C.p.p., avanzata via fax in data odierna, che si allega, il sottoscritto Sost. Proc. Gen. dichiara di rinunciare alla medesima”.
Non ci è dato sapere cosa sia intervenuto tra la domanda di chiarimenti e la sua revoca. Possiamo solo dire, peccato. Se la procura generale di Milano non avesse rinunciato al chiarimento, avrebbe avuto in mano un documento, scritto nero su bianco dalla Cassazione, che gli avrebbe impedito di emettere, il giorno successivo, un ordine di esecuzione illegittimo – nel quale, tra l’altro, si dava atto dei reati prescritti ma veniva messa in esecuzione l’intera pena, 15 anni e 6 mesi. E a settembre Brega sarebbe stato scarcerato.
Mese più, mese meno, si dirà. In fondo gli avvocati hanno fatto ricorso e da metà gennaio il chirurgo è un uomo libero, in attesa della sentenza definitiva – a margine, occorre anche sottolineare che sconcerta il fatto che al tribunale di Milano ci sia più di un magistrato che pare non aver ben chiaro il concetto giuridico di ‘sentenza irrevocabile’: il 20 agosto gli avvocati di Brega avevano infatti presentato l’incidente di esecuzione, ma il 4 settembre la Corte d’appello di Milano, sezione feriale penale, lo aveva rigettato; c’è voluta la Cassazione per ristabilire il significato di ‘sentenza irrevocabile’.
“Il magistrato, lo si è detto più volte, non deve cercare il consenso della pubblica opinione” ha affermato Luigi Ferrajoli al Congresso annuale di Magistratura Democratica del gennaio 2013; “le sole persone di cui i magistrati devono riuscire ad avere non già il consenso, ma la fiducia, sono le parti in causa e principalmente gli imputati: fiducia nella loro imparzialità, nella loro onestà intellettuale, nel loro rigore morale, nella loro competenza tecnica e nella loro capacità di giudizio. Ciò che infatti delegittima la giurisdizione è non tanto il dissenso e la critica, che non solo sono legittimi ma operano come fattori di responsabilizzazione, bensì la sfiducia nei giudici e ancor peggio la paura generate dalle violazioni delle garanzie stabilite dalla legge proprio da parte di chi la legge è chiamato ad applicare e che dalla soggezione alla legge ricava la sua legittimità. Per questo la fiducia delle parti in causa nei loro giudici è il principale parametro e banco di prova del tasso di legittimità della giurisdizione. Non dimentichiamo mai che tutti coloro che subiscono un giudizio saranno anche i giudici severissimi dei loro giudici, di cui ricorderanno e giudicheranno l’imparzialità o la partigianeria, l’equilibrio o l’arroganza, la sensibilità o l’ottusità burocratica. Di cui soprattutto ricorderanno se hanno violato o garantito i loro diritti”.