Milano, 2 luglio 2012, le motivazioni della sentenza di Appello
L’incredibile sentenza di appello: Brega Massone è colpevole anche se non c’è reato
Il gioco delle tre carte per salvare il teorema
Il 26 marzo scorso, la Corte di appello di Milano ha rifiutato l’ennesima richiesta degli avvocati di Brega Massone di disporre una perizia super partes, e ha confermato la condanna a 15 anni e 6 mesi per il chirurgo. Il 20 giugno sono uscite le motivazioni di sentenza.
Per comprendere l’entità dello sconcerto che suscita la loro lettura, occorre innanzitutto ricordare brevemente quello che abbiamo chiamato “lo strano caso DP”. La signora DP, capo di imputazione nel processo penale, dopo la sentenza di condanna inflitta a Brega in primo grado per lesioni dolose, si è rivolta al tribunale civile per ottenere un risarcimento; nel maggio 2011 il tribunale ha nominato due periti super partes, che negando totalmente le valutazioni a cui era giunto il dibattimento penale, hanno giudicato assolutamente corretto l’operato di Brega. Questa perizia è stata (inutilmente) presentata dalla difesa in fase di appello, come nuova prova sopraggiunta.
In questi tre mesi di attesa, un interrogativo dunque è rimasto sospeso: come diavolo è riuscita la Corte presieduta da Luigi Martino a fare carta straccia della “zeppa all’intero impianto accusatorio” (sono parole del procuratore Fontana) che la perizia super partes sul caso DP rappresentava, e a condannare Brega in secondo grado anche su questo singolo caso, oltre che su tutti gli altri?
La soluzione scovata dai tre magistrati è tanto semplice quanto stupefacente: i periti super partes hanno ragione, ma Brega Massone è colpevole perché è un criminale. Sembra impossibile, ma questo è quanto scritto nelle motivazioni di sentenza. Ora lo vedremo nel dettaglio.
Che fossimo davanti a un processo teorematico era evidente fin dalla condanna di primo grado, bastava leggere le carte; ma vederlo scritto nero su bianco nella sentenza di appello pone ancora più interrogativi su che cosa stia accadendo in questa vicenda giudiziaria. Per tale ragione abbiamo deciso di iniziare a rendere pubblici su questo sito i documenti processuali, a partire da tutte le consulenze mediche relative al caso DP (accusa, difesa e super partes civile). Lo abbiamo già scritto: al mantra che recita “i processi si fanno in aula, non fuori dall’aula”, rispondiamo che quando in un’aula giudiziaria si condanna un uomo in base a un teorema non provato, quel processo deve essere portato fuori dall’aula; affinché chiunque, leggendo le carte in piena autonomia, possa maturare una propria opinione e valutare che cosa in quell’aula è avvenuto e sta avvenendo. Soprattutto quando tutta la stampa cosiddetta ufficiale si è sdraita sulle tesi della procura fin dal primo giorno, cessando, in tal modo, di fare informazione camminando sulle proprie gambe.
Prima di affrontare il caso DP nel dettaglio, con quel che rivela di questo processo, occorre ricordare dove ci stiamo muovendo: quelli che sono i cardini – decisamente cigolanti – dell’impianto accusatorio messo in piedi dai pubblici ministeri Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, confermato dal tribunale di primo grado e ora dall’appello, e per il quale vale quanto già scritto in questa controcronaca e nel libro inchiesta “E se il mostro fosse innocente?”. In breve:
- intercettazioni telefoniche che non contengono alcuna prova del reato di lesioni dolose, utilizzate con evidenti forzature interpretative e stralci sapientemente selezionati al fine di cucire addosso all’imputato Brega Massone il vestito del criminale (anche queste le pubblicheremo, nella loro interezza e contestualizzandole);
- imbarazzanti consulenze mediche stilate dai consulenti dell’accusa senza aver valutato tutte le cartelle cliniche (ricoveri precedenti in altri reparti o in altri ospedali e risultati degli esami effettuati dai pazienti presso altre strutture), senza aver visionato gli esami radiografici (TAC, PET, RX), senza aver visitato i pazienti e senza aver citato una bibliografia che possa definirsi tale a sostegno delle valutazioni espresse.
Consulenze nelle quali si leggono anche valutazioni di tre parole: “Idem come sopra”. Perché evidentemente il professor Francesco Sartori, chirurgo toracico, ha il dono della sintesi, e dunque questo è l’unico commento che esprime in merito a tre casi.
Per sorvolare sul fatto che il dottor Paolo Squicciarini, il principale accusatore di Brega Massone, il medico che per primo ha valutato le cartelle cliniche stilando ‘schede’ che poi gli altri consulenti hanno utilizzato per fare le loro valutazioni (come affermato dagli stessi in aula), è un medico di base laureato in chirurgia generale e privo di specializzazione in chirurgia toracica; - un giudizio di “inattendibilità” formulato dal tribunale nei confronti delle consulenze della difesa francamente incomprensibile, non solo per la riconosciuta professionalità nazionale e internazionale dei due medici che le hanno stilate, entrambi chirurghi toracici (il professore Franco Giampaglia e il professore Ludwig Lampl), ma anche perché sono state redatte, queste sì, valutando tutte le cartelle cliniche, visionando gli esami radiografici e citando un’ampia letteratura medica internazionale a supporto delle valutazioni espresse.
Questi i cardini di un impianto accusatorio che sta su con lo sputo; di un teorema che il caso DP minava pericolosamente, perché come tutti i teoremi è caratterizzato da una costruzione estremamente rigida e compatta: se si toglie un mattone, crolla miseramente. Dunque per confermare la sentenza di condanna il mattone DP doveva restare al proprio posto, anche se l’operazione non si presentava affatto semplice.
Luigi Martino, Francesca Marcelli e Elsa Gazzaniga, i tre giudici della Corte di appello, scrivono, a pag. 130 e seguenti delle motivazioni di sentenza, che le valutazioni sul caso DP espresse dai periti del tribunale civile sono corrette. Ossia: l’indicazione chirurgica c’era, Brega Massone ha affrontato correttamente il caso clinico, l’intervento chirurgico è stato eseguito a regola d’arte e la paziente non ha subìto alcun danno, secondo quanto scrivono i consulenti del tribunale civile (il dottor Gennarino D’Ambrosi, chirurgo toracico e dirigente medico all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, e il dottor Sergio Tentori, medico legale) nella perizia super partes (leggi il documento).
Paiono le premesse di un’assoluzione, almeno sul singolo caso, e invece la Corte conferma la condanna anche sul caso DP, affermando che “è indicativo il fatto che consulenti, che hanno esaminato solo il caso in questione, abbiano formulato le conclusioni sopra riportate, prospettando la plausibilità delle diverse opzioni e comunque la correttezza anche di quella scelta da Brega, proprio perché a tali consulenti sono mancati significativi elementi ulteriori di valutazione, che invece erano presenti in questo giudizio penale”.
Quali significativi elementi, oltre quelli medico-scientifici, sarebbero dovuti entrare nella valutazione di un caso clinico e nella stesura di una perizia tecnica? La Corte li indica subito dopo: le “finalità dell’approccio chirurgico di Brega, delle sue modalità di gestione dei casi e della sistematicità della sua scelta delle procedure più aggressive. […] Prescindendo da tali elementi, come si è detto, sono comprensibili le conclusioni [dei periti super partes] sopra esposte […]”.
In poche parole, i magistrati Martino, Marcelli e Gazzaniga affermano che i due consulenti del tribunale civile hanno sbagliato nel formulare la propria valutazione liberi da condizionamenti esterni; hanno sbagliato perché hanno svolto correttamente e autonomamente il proprio lavoro, relegando nelle stanze della procura il teorema accusatorio (i “significativi elementi ulteriori di valutazione”), che rappresenta Brega come un criminale seriale (la “sistematicità della sua scelta delle procedure più aggressive”) che operava solo per soldi (la “finalità dell’approccio chirurgico”); i due periti hanno letto le cartelle cliniche, hanno valutato le lastre, hanno visitato la paziente, hanno consultato la letteratura medica, e di tutto ciò che ruota intorno al nome di Brega Massone non hanno tenuto conto. E questo approccio è sbagliato, dicono i tre giudici.
Insomma, Brega è colpevole perché è un criminale. Lo afferma il teorema che, per non crollare, ha bisogno che il mattone DP rimanga al proprio posto: anche a costo di andar contro ogni logica.
Perché per prima cosa, pare banale dirlo, i capi d’imputazione non sono un blocco unico, ognuno fa storia a sé. La condanna penale di Brega per il reato di lesioni dolose personali in ottantaquattro singoli casi, si basa su un’accusa che afferma che in tutti gli ottantaquattro singoli casi non vi era indicazione chirurgica. È su questa valutazione tecnica formulata dai consulenti della procura che si è innestato il presunto movente economico (Brega operava solo per soldi), creato forzando l’interpretazione di stralci di intercettazioni telefoniche.
Qui non siamo a trastullarci con l’uovo e la gallina, chi nasce prima e chi dopo: in campo giuridico, se non c’è reato non c’è movente, se non c’è reato non c’è condanna. E qui il reato non c’è, poiché l’indicazione chirurgica c’era. Una verità che la Corte è stata costretta ad ammettere obtorto collo, impossibilitata a liquidare questa perizia con un mero giudizio di “inattendibilità”; per poi condannare subito dopo Brega Massone per un reato che, per stessa ammissione della Corte, non c’è.
In secondo luogo, per quanto i giudici di appello, nelle motivazioni di sentenza, decidano di ignorare totalmente la questione, le consulenze della procura perdono qualsiasi eventuale parvenza di attendibilità – se mai ne avessero avuta una. Ora non sono imbarazzanti solo per le lacune e per l’arrogante superficialità che le contraddistingue; ora sono imbarazzanti – o almeno dovrebbero esserlo – anche per una procura e un tribunale che mirino all’accertamento di una verità processuale. Perché i consulenti dell’accusa hanno in tutta evidenza sbagliato, dato che hanno categoricamente affermato che sul caso DP non esisteva indicazione chirurgica (leggi la valutazione di Paolo Squicciarini e quella di Francesco Sartori).
Mentre, al contrario, le valutazioni degli “inattendibili” consulenti della difesa di Brega Massone trovano conferma nelle conclusioni dei periti super partes (leggi la valutazione di Franco Giampaglia – con rif. biblio inseriti – e quella di Ludwig Lampl – con rif. biblio in coda).
Su questo aspetto si aggancia una terza questione.
In merito a quanti altri casi i consulenti della procura hanno dato valutazioni sbagliate? È una domanda legittima, che dovrebbe porsi anche il tribunale. Esistono altri casi DP tra gli ottantaquattro per i quali Brega Massone è stato condannato? E se esistono, quanti sono?
Non sarebbe stato affatto complicato dare risposta all’interrogativo: bastava disporre una perizia super partes su tutti i casi del processo, come chiede la difesa di Brega ormai da anni, inutilmente. La Corte di appello presieduta dal giudice Martino, e prima il tribunale formato da Maria Luisa Balzarotti (presidente), Orsola De Cristofaro e Carmela D’Elia, hanno scelto di non farlo. Il problema è che ora la perizia DP rivela il paradosso (l’errore?) di questa decisione.
La perizia DP non ha alcun valore perché non tiene conto della serialità del crimine di Brega, scrivono i tre giudici dell’appello. Che significa? Un solo caso rivelatosi corretto non conta, dice la Corte, un solo caso non è sufficiente a mettere in discussione il teorema; ma il caso è uno solo proprio perché, appellandosi al teorema, la Corte rifiuta di disporre la perizia super partes su tutti gli altri casi. Davvero i tre magistrati non si rendono conto del corto circuito che genera la loro presa di posizione?
Forse la questione è un’altra. Se periti terzi nominati dalla Corte penale, liberi da condizionamenti esterni come i consulenti nominati dal tribunale civile, affermassero che l’indicazione chirurgica esisteva non solo sul caso DP ma su altri 10, 25, 50, 80 casi, non sarebbe più possibile invocare una presunta serialità di Brega per emettere condanna anche dove non c’è reato. In poche parole, il teorema verrebbe spazzato via.
È proprio questo che si vuole evitare?
Perché pare di essere finiti nel gioco delle tre carte: il re c’è ma è coperto e si muove, e occorre riuscire a stanarlo per vincere. Un altro tribunale lo ha individuato (la perizia DP), ma subito la Corte presieduta da Martino ha ribaltato il tavolo.
Nel frattempo Brega Massone è in galera, in custodia cautelare, da più di tre anni e mezzo. E mentre attende la Cassazione, anche per il secondo processo che si aprirà a novembre è iniziato il calvario della perizia super partes: a maggio la difesa ne ha fatto richiesta al gup Vincenzo Tutinelli, che l’ha respinta. Ora se ne riparla in Corte d’Assise.
Prima o poi qualche giudice la concederà, questa pericolosa perizia super partes?
La stampa
Giusto due parole sulla stampa, dato che c’è ben poco di nuovo da registrare, anzi praticamente nulla. Brega Massone non fa più notizia, e tornerà a occupare spazio nei quotidiani solo a novembre, quando si aprirà il secondo processo che lo vede accusato di altri casi di lesione dolosa e di ben quattro omicidi volontari (a conoscenza di chi scrive, i consulenti della procura saranno sempre gli stessi, Sartori e Squicciarini…). Ben pochi quotidiani si sono dunque occupati delle motivazioni di appello e nessuno, da quel che a noi risulta, ha parlato del caso DP – e saremmo davvero lieti di essere smentiti, perché significherebbe che qualche giornalista ha finalmente iniziato a occuparsi della vicenda leggendo le carte del processo e non solo le veline della procura.
Il 29 giugno Su Repubblica è uscito un articolo a firma di Emilio Randacio, ancora una volta paradigmatico dello stato dell’arte dell’informazione su questo caso giudiziario. Non abbiamo nulla di personale contro il signor Randacio, ma finché continua a fare informazione in questo modo non possiamo esimerci dal farlo notare.
Nel suo articolo (intitolato “«Brega Massone operava solo per aumentare il suo stipendio»” e sempre condito con qualche stralcio di intercettazione telefonica a effetto…) non compare il minimo accenno al caso DP.
Ora: relativamente a Brega Massone, la notizia di questa sentenza è il caso DP, per il semplice motivo che il restante contenuto che riguarda il chirurgo all’interno delle 284 pagine di motivazioni è una piatta conferma della sentenza di primo grado (con l’esclusione dell’aggravante della crudeltà che la Corte di appello non ha riconosciuto, esclusione che tuttavia non va a toccare il teorema accusatorio). Dunque il signor Randacio è riuscito a bucare l’unica notizia esistente relativa a Brega contenuta in quelle quasi trecento pagine. Ancora una volta siamo costretti a chiederci: il signor Randacio conosce ciò di cui scrive? E, in caso di risposta affermativa, perché ritiene che i suoi lettori non debbano essere informati sul caso DP?