Giuseppe Ciarallo
Sono ben pochi, oggi, quelli che ricordano un genio assoluto dell’illustrazione, quale è stato Maurizio Bovarini. Eppure, per quasi due decenni, dalla metà degli anni Sessanta alla data della sua morte avvenuta nel luglio del 1987, Bovarini ha rappresentato con la sua arte tutta la forza, l’intelligenza, l’ironia e la voglia di cambiamento che quell’epoca ha portato con sé.
Io lo avevo conosciuto restando a bocca aperta davanti alle tavole illustrate dei suoi libri, soprattutto l’iconoclasta Eia Eia Trallallà, del 1975, nel quale attraverso schizzi paranoidi d’inchiostro nero, a commento di testi autentici tratti da libri, giornali e discorsi dell’epoca, venivano messe alla berlina le parole d’ordine del fascismo; in quei disegni mozzafiato, i tragici personaggi di quella commedia macabra, gerarchi, reduci, camicie nere, il duce stesso, venivano visti e ritratti come cadaveri putrescenti, zombie che non volevano rassegnarsi a lasciare quella Storia che li aveva bocciati senza possibilità di appello. Il lavoro, poi, riportava una curiosa dedica: “Questo libro è dedicato soprattutto ai vecchi perché si rendano conto di come erano”.
Bovarini, bergamasco di nascita e milanese d’adozione (1), fa le sue prime esperienze da fumettista verso la fine degli anni cinquanta su Le Ore (testata di attualità e politica, che solo in seguito, a partire dal 1971, diventerà una rivista erotica), dove pubblica vignette satiriche. Dopo aver vinto, con un suo lavoro, il primo premio alla IV Biennale dell’umorismo nell’arte, espone in varie città d’Europa. A Parigi entra in contatto con Wolinski e Siné, e collabora con suoi disegni ad alcune riviste satiriche parigine che in quel periodo esplosivo diventano luogo anarcoide della rivolta, nel segno della ‘fantasia al potere’ e del ‘sarà una risata che vi seppellirà’ (Hara-Kiri, Charlie-Hebdo e L’Enragé). Qui Bovarini trova estimatori importanti: “Quelli che hanno visto per la prima volta i disegni di Bovarini nell’Enragé del maggio ‘68 non li hanno dimenticati. Gli uomini al potere adorano essere caricaturizzati, ma non da disegnatori come Bovarini. Lui non è cattivo, è spietato come lo sguardo di un bambino o come la requisitoria di un avvocato. I suoi disegni sono delle condanne”, dice di lui Georges Wolinski, indiscusso re della satira francese, espressa con taglio decisamente caustico senza preoccuparsi di mostrare un atteggiamento cinico al limite del nichilismo.
Forte di questa sua esperienza francese, nel biennio 1968-1969 pubblica Kara Kiri, versione italiana della popolare rivista d’oltralpe Hara Kiri, la cui ironia densa di humour noir e di testi taglienti non trova però terreno favorevole nel nostro Paese, evidentemente ancora troppo bigotto e provinciale rispetto alla più evoluta e internazionale Francia: le pubblicazioni non andranno oltre il nono numero.
Negli anni successivi Bovarini collaborerà in qualità di grafico alle riviste Arianna, Quattrosoldi, Selezione e addirittura con Cronaca Vera, settimanale specializzato in resoconti di costume e di cronaca nera, destinato a un pubblico popolare. I suoi disegni invece compaiono su riviste satiriche e umoristiche importanti come Ca Balà (periodico underground definito dai critici “la madre di tutte le esperienze di satira italiana”, dove Bovarini incontra Alfredo Chiappori padre del noto personaggio Up il sovversivo e Giuliano, in seguito colonna portante de Il Male), La Bancarella (“giornale letterario e vasivo”, come si autodefinisce sul numero zero, fondato dal geniaccio poliedrico di Gualtiero Schiaffino, al quale collaborano nomi importanti della grafica umoristica come Quino, Jacovitti, Mordillo, Altan) e L’Arcibraccio.
Ma è nei libri a sua firma che possiamo ammirare l’immenso tesoro dell’opera di Maurizio Bovarini, fatto di originalità grafica (il suo tratto è talmente personale da essere inequivocabilmente identificabile) e testi lapidari e taglienti. Riccoridens, del 1970, è pensato come un ironico duraturo omaggio al lusso e ai ricchi (e in controcanto, un atto di disprezzo per i poveri e la loro miseria): “[…] I veri Ricchi sono Ricchi da sempre, come per una volontà sublime. […] I Ricchi sono onesti, e cattolici, curano molto la loro persona. L’equilibrio mentale, tipico di ogni persona Facoltosa, li porta a godere di ciò che la vita offre loro: tutto. […] Il Ricco è forte. Il Ricco è nobile. Il Ricco è tollerante. Il Ricco è meraviglioso. E io l’amo”. Di contro “i poveri sono anarchici e molto prolifici; consumano la loro stupida esistenza nelle osterie, negli ospedali e nelle sordide prigioni”. L’introduzione termina con una spietata conclusione: “Alla faccia di tutti i poveri che, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto con la loro presenza, il loro odore, la loro violenza, la loro stupidità, la loro volgarità, la loro arroganza, offendono e turbano la serena esistenza dei Ricchi”. Seguono rasoiate in bianco e nero.
Sull’onda del successo (dovuto in gran parte ai problemi di censura e sequestro per “esasperato
pansessualismo fine a se stesso”, ancor più che al suo stesso valore artistico) del discusso film Ultimo tango a Parigi, di Bernardo Bertolucci, Bovarini ne fa una pungente parodia con il suo Ultimo tango a fumetti (1973). Così come accadde per la pellicola, la censura vietò inspiegabilmente anche la diffusione del libro, che ripercorreva le vicende narrate nel film per giungere a un finale dove il Marlon Brando di carta esclama: “Io, come al solito, faccio una barca di soldi”.
Del 1975 è il già citato Eia Eia Trallallà. Qui il tratto grafico è ulteriormente progredito in potenza visiva. Il lettore non può far altro che assistere in apnea a quella straziante sequenza di graffi sulla carta, di quelle macchie scure che sono bocche che vomitano frasi deliranti, insensate e distruttive: “Vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”, “Oh, la capacità sconfinata di amore e di odio non repressa da imbecilli riserve filosofiche”, “La nostra violenza deve essere cavalleresca, aristocratica, chirurgica, e quindi in un certo senso umana”. A mio avviso, in questo albo Bovarini dà il meglio di sé, sfornando un’opera completa dal punto di vista sia grafico che della ricerca storica, e non da ultimo, profondamente politico.
Seguono il dramma a fumetti La dinastia dei Miller, del 1980, saga familiare che inizia nel far west di fine Ottocento per concludersi nell’America spietata e violenta degli anni della grande crisi, del proibizionismo e della guerra tra bande di gangster, e nel 1982, la satira di costume racchiusa nel volume Schizzofrenia (volutamente con doppia zeta). Qui il tratto si è fatto più essenziale, meno arrabbiato, in quanto i colpi di rasoio sono demandati al ‘parlato’ dei personaggi. Una donna seduta davanti al televisore, sola seppur in compagnia del marito, riflette: “Da quando il suo cervello ha elaborato che un bel giorno sarò la sua vedova, mi ha tolto il saluto”.
Oppure, l’uomo assorto davanti a un foglio di carta bianco, che pensa un paradossale: “Darei dieci anni della mia vita pur di essere ricordato come il più grande suicida della storia…”. E l’acuto lettore di giornale che osserva: “Una volta c’era il conformismo fascista. Poi è venuto il conformismo antifascista… Poi è arrivato il conformismo di quelli che dicono: Una volta c’era il conformismo fascista, poi è venuto il conformismo antifascista, poi…”
Prima di incontrare di persona Bovarini, guardando quei disegni potenti, unghiate nere di china, macchie, esplosioni d’inchiostro che deflagravano da un centro schizzando in ogni direzione, cercavo di immaginarne l’autore, l’artista capace di esprimere su carta tutta quell’energia, quella violenza allo stato puro. Me lo immaginavo come un energumeno muscoloso e nevrotico, seppur dotato di un cervello di proporzioni extra large, insomma un cinghiale laureato in matematica pura (per dirla alla De André), uno che si muove a scatti, che sposta la testa a destra e a sinistra, continuamente, con gli occhi alla perenne ricerca di un’immagine da catturare e far sua, per essere riportata sulla carta in quel modo brutale e selvaggio. Fu quasi una delusione, quando ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente, scoprire che Maurizio Bovarini era un normalissimo quarantenne dalla delicata stretta di mano (l’altro, quello nato dalla mia immaginazione, avrebbe stritolato la mia nella sua morsa d’acciaio), senza tic, amabile, dolce, un intellettuale acuto e riflessivo. Parlandogli, mi chiedevo come facesse a simulare così bene il terremoto che custodiva dentro di sé, mi domandavo in quale nascosto e profondo luogo celasse la violenza devastatrice che scaturiva dai suoi pennini.
Maurizio Bovarini era anche un appassionato di jazz. Nel 1985, presso la gloriosa e non più esistente Libreria al Castello, situata di fronte al Teatro Dal Verme, in pieno centro a Milano, espose una serie di bellissime tavole originali davvero interessanti, alcune in bianco e nero, altre acquerellate a colori (tanto delicate le seconde, quanto classicamente angry le prime). Fu in quell’occasione che mi innamorai di un’illustrazione che oggi campeggia su una parete di casa mia. È un ritratto del saxofonista americano Charlie Bird Parker. Nel disegno, il musicista sta suonando il suo sax alto: dalla campana dello strumento fuoriescono violentemente polvere e detriti di note, il sax è guarnito da infiorescenze e foglie, mentre la giacca di Parker è puntinata in quei disegni che solitamente ornano il metallo dei saxofoni, come a mostrare una perfetta fusione di materia tra musicista e strumento. La figura non ha gambe, la parte inferiore dell’artista è un solido tronco piantato saldamente al terreno attraverso possenti fasci di radici (il pittore ha probabilmente preso spunto da un aneddoto che vuole Charlie Parker a piedi nudi durante una sessione di registrazione, tra lo stupore degli altri musicisti, quasi a voler rimarcare la sua appartenenza alla terra, madre da cui trarre energia e nutrimento artistico).
Sono molto affezionato a quel quadro, anche perché a esso è legato un particolare ricordo. Durante l’inaugurazione della mostra, confidai all’autore di essermi perdutamente innamorato del suo Bird e che mi sarebbe piaciuto tanto poterlo acquistare (anche se il costo del quadro era ben al di sopra delle mie possibilità finanziarie). Per farla breve, venni a sapere che Maurizio Bovarini aveva rifiutato offerte di gran lunga superiori alla mia e vendette al sottoscritto la sua tavola, accettando quanto con me pattuito (cifra che io saldai in qualche mese con ‘comode’ trattenute sul mio magro stipendio dell’epoca).
Per concludere, credo che il modo migliore per ricordare il grande Maurizio Bovarini, sia quello di riportare i commenti lusinghieri che alcuni suoi celebri colleghi grafici, fumettisti e illustratori, hanno scritto in suo onore.
“Terminati i suoi disegni, Bovarini si ritrova completamente spruzzato d’inchiostro di china. Per ripulirsi, si strofina contro le pareti di casa creando suo malgrado sconvolgenti affreschi”. (Giorgio Cavallo)
“Bovarini disegna con la cravatta, digrignando i denti, pigro e passionale come ogni bergamasco cronico. Poi si corica, lasciando i pennini sfiniti sulla carta sfatta”. (Altan)
Ma soprattutto il pensiero più affettuoso e aderente alla realtà, scritto dal suo amico Quino (l’arcinoto papà di Mafalda), che più di ogni altro ci mostra la vera essenza di un artista di razza, quale fu in vita Maurizio Bovarini: “Eravamo lì con i nostri normalissimi rapidograph, senza fare del male a nessuno, quando all’improvviso la porta si spalancò e apparve lui col pennello spianato. «Fermi tutti, questo è un disegno!» «Non spararlo, Maurizio, non spararlo!» Ma lui se ne fregò, lo sparò comunque. E poi se ne andò sorridendo educatamente. E noi impotenti a chiederci: «Ma dove lo trova quell’arsenale? Quale cartolaio gli fornisce inchiostro al tritolo, machines-pennelli, pennini a testa dirompente?» Possibile che si lasci girare indisturbato uno capace di scatenare una libertà grafica di tale portata?”.
(1) Le note biografiche contenute nell’articolo sono attinte dal sito della Fondazione Franco Fossati – Centro studi e documentazione internazionale sul fumetto, la comunicazione e l’immagine