Smart city, progetto globale: quando e perché le multinazionali iniziano a investire in tecnologia per le città, come viene costruita una narrazione positiva e cosa ci aspetta
Ciao cittadino. Sono la tua Smart City. Abbandona i bigliettini appesi al frigo, le biglietterie, le code. Dimentica gli sportelli del Comune, le sale di attesa. Scarica la app e dammi accesso a tutti i tuoi dati e permettimi di geolocalizzarti. Penserò a rilevare l’inquinamento atmosferico nel tuo giardino, a calibrare l’energia della tua casa, a controllare chi si aggira nel tuo quartiere e quante car sharing vi transitano. Controllerò anche se fai bene la raccolta differenziata dei tuoi rifiuti. Segui le notifiche che ti trasmetto: stai pagando le bollette, mentre il cardiologo sta visitando per via telematica i tuoi anziani genitori; i tuoi figli sono arrivati a scuola. La tua idea è già start up. Ho appena integrato il tuo fascicolo sanitario elettronico alla nuova polizza che hai stipulato. Hai raggiunto l’obiettivo green di questo mese: hai usato mille volte la ciclabile.
Non è Black Mirror, è la Smart City: efficiente, alla moda, coinvolgente, amicale, ambientalista, ricca di opportunità. Un’idea e una narrazione positiva divenute dominanti. Ma che cos’è davvero una Smart City? Chi, come, quando, perché?
Il quadro programmatico
Nel 2013 la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) redige un report monografico: “Smart City. Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento”. La Smart City è descritta come “una proiezione astratta di comunità del futuro”, un perimetro “applicativo e concettuale” all’interno del quale i “bisogni trovano risposte in tecnologie, servizi e applicazioni”. Una sfida, secondo la CDP, dove al centro è posta “la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano”. Intelligenza artificiale e Internet of Things sono alla base, e i dati che la nostra vita produce fanno emergere ciò di cui la comunità ha bisogno per il proprio ‘benessere’.
Perché si realizzi è importante che le persone si immergano nei dispositivi tecnologici, ne facciano sempre più uso per ogni tipo di attività, lavorativa e ludica, e questo felice – secondo chi promuove la Smart City – sodalizio tra cittadino e nuove tecnologie apporterà vantaggi e migliorie in sette ambiti: building, economia (imprese e ‘capitale umano’), energia, ambiente, government, living (sanità, welfare, sicurezza, turismo, cultura, tempo libero, istruzione), mobilità e trasporti.
Il progetto, nell’ambito europeo, si inserisce all’interno di Horizon 2020, il Programma Quadro per la Ricerca e l’Innovazione della Ue, che mette a disposizione “80 miliardi di euro di finanziamenti per un periodo di sette anni (2014-2020), oltre agli investimenti nazionali pubblici e privati che questa somma attirerà. Horizon 2020 contribuirà a ottenere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. L’obiettivo è assicurare che l’Europa produca scienza e tecnologia di livello mondiale, rimuova gli ostacoli all’innovazione e faciliti la collaborazione tra i settori pubblico e privato per trovare soluzioni alle grandi sfide della nostra società”. L’obiettivo dichiarato “è assicurare che l’Europa produca una scienza e tecnologia di classe mondiale in grado di stimolare la crescita economica”, e le pubbliche amministrazioni italiane, secondo il report di CDP, non devono farsi sfuggire l’opportunità di “intercettare le potenzialità offerte dal grande programma comunitario Smart City e più in generale da Horizon 2020 […] per costruire nuove ipotesi strategiche del futuro delle singole città e offrire agli investitori privati una prospettiva credibile e stabile nel medio periodo”.
Per prima cosa le Smart City sono quindi un progetto globale, strutturato, integrato, applicato a comunità storicamente tra loro molto diverse e calato dall’alto; ben lontano quindi dalla narrazione bottom-up che ne viene fatta, legata a logiche spontaneistiche di innovative start up create anche dai cittadini.
Secondo punto, la logica economica, evidentemente centrale nel progetto, sia pubblica che privata, non è l’unico aspetto. Sottolinea la CDP che “in Italia, ma in generale in tutta Europa, il peso della spesa pubblica risulta sempre più difficile da sostenere. Vanno aggrediti gli sprechi. È necessario ridurre la spesa inefficiente e migliorare la qualità della spesa necessaria. Su questo fronte l’utilizzo di tecnologie avanzate e di sistemi integrati all’interno delle città potrà garantire risparmi ingenti per le amministrazioni locali. […] Ridurre la spesa sociale, che compone quasi due terzi della spesa corrente, sarà assai difficile, a causa di ostacoli politici, ma soprattutto per ragioni demografiche. Questo significa che sarà più che mai necessario ridurre il costo dei servizi pubblici e della spesa per infrastrutture sociali, senza ridurre la qualità, anzi aumentandola. Come è possibile? È possibile grazie alla tecnologia e all’innovazione. […] Per fare tutto questo sono necessari investimenti, anche ingenti. Investimenti, tuttavia, con ritorni potenziali, sia diretti che indiretti. Le difficili condizioni di finanza pubblica richiedono, quindi, innovazione anche nelle modalità di finanziamento dei nuovi interventi. È necessario riuscire ad incanalare risorse del risparmio di lungo periodo e capitali privati nella realizzazione delle opere. […] Questa nuova frontiera trova nella Smart City un spazio concettuale (e concreto) per l’elaborazione delle nuove politiche pubbliche per le città. Politiche caratterizzate da un forte contenuto tecnologico e dall’utilizzo su larga scala dell’ingegneria finanziaria”.
Al di là di una considerazione sul concetto di “ostacoli politici” – che cos’è un ostacolo politico? Il fatto che l’agire politico debba fare i conti con il consenso/voto dei cittadini? Ma questo aspetto è ontologico alla politica, in un sistema democratico – ciò su cui è necessario riflettere è l’ingresso della tecnologia nell’ambito delle scelte legate alla spesa sociale, quel welfare sempre più oggetto di tagli.
In un approccio positivista, si affida dunque alla tecnica l’elaborazione di politiche sociali. Non si tratta semplicemente di sfruttare i dati che una rete può raccogliere, è un cambio di paradigma: la tecnica, e non più la politica, dà le risposte alle problematiche sociali di una collettività. Si fa anche entrare il capitale privato, manifatturiero e finanziario, che risponde a logiche utilitaristiche (gli investimenti devono avere “ritorni diretti” e “l’ingegneria finanziaria” deve essere utilizzata su “larga scala”) in un ambito, quello del welfare, che dovrebbe muoversi su criteri di giustizia sociale ed equità che sono ben lontani dalle logiche del mercato e della profittabilità.
A tutto questo l’Italia ha risposto con il decreto legge 12/179 del 18 ottobre 2012, il primo passo istituzionale verso la costruzione dell’architettura delle Smart City. In sintonia con Horizon 2020, anche l’approccio italiano pone l’attenzione su tecnologia e crescita economica legata alla competitività delle imprese, incentivando una domanda di servizi digitali nella comunità sociale. Il decreto legge è infatti approvato “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare ulteriori misure per favorire la crescita, lo sviluppo dell’economia e della cultura digitali, attuare politiche di incentivo alla domanda di servizi digitali e promuovere l’alfabetizzazione informatica, nonché per dare impulso alla ricerca e alle innovazioni tecnologiche, quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile e, nel contempo, di rilancio della competitività delle imprese”.
L’art. 20 è intitolato alle “Comunità intelligenti”, di cui l’Agenzia per l’Italia Digitale definisce strategie e obiettivi, coordinandone i processi di attuazione e predisponendone gli strumenti tecnologici ed economici per il loro progresso.
Vale la pena evidenziarne due aspetti: la sottoscrizione da parte di una comunità dello Statuto della cittadinanza intelligente è condizione necessaria per ottenere la qualifica di comunità intelligente, e rispettarlo è vincolante per poter accedere ai fondi pubblici appositamente creati e destinati; l’uso, da un punto di vista quantitativo e qualitativo, dei sistemi e delle applicazioni digitali fornite alle comunità intelligenti, e la partecipazione ai servizi informativi, determina l’accesso ai benefici, per cui si rende necessaria l’implementazione di un sistema di misurazione al quale le Smart City devono partecipare inviando dati, basato su indicatori relativi allo stato e all’andamento delle comunità intelligenti nei diversi ambiti (ambiente, economia, lavoro ecc.).
Si è dunque creata una rete legislativa, quindi politica, a forte sostegno delle Smart City; ed è a maglie strette, attraverso lo Statuto: o si è dentro o si è fuori. E nessuna città vuole starne fuori.
Stabilito il che cosa e il come, veniamo al quando e al perché.
L’idea
Nel 1991 la Banca mondiale inizia a riferirsi alle città come ambiti di “motore per lo sviluppo” e non più come spazi di integrazione sociale e di riduzione delle diseguaglianze, secondo la tradizione keynesiana: le città devono generare innovazione tecnologica, far crescere il Pil e attrarre capitali. Un ristretto gruppo di multinazionali (Cisco, IBM e Siemens su tutte) inizia a investire in tecnologie per le città.
Nell’ottobre 2007 l’Università di tecnologia di Vienna, in collaborazione con le Università di Lubjana e Delft, pubblica “Smart Cities. Ranking of European medium-sized cities”. Lo studio verte sull’elaborazione di un sistema di classificazione delle città di medie dimensioni, con l’obiettivo di compararne le caratteristiche e identificarne i punti di forza e debolezza. L’aspetto interessante è l’approccio di tipo “forward-looking development”, cioè prospettico, proiettato sul futuro. Per questo viene dato risalto a dimensioni quali attenzione, flessibilità, trasformabilità, sinergia, individualità, autodeterminazione, comportamento strategico (“awareness, flexibility, transformability, synergy, individuality, self-decisive, strategic behaviour”).
Il risultato è che cittadini, amministrazioni e aziende possano venire consapevolizzati/responsabilizzati rispetto al ranking della propria città, aspetto fondamentale per risultare attrattivi per il capitale privato. Nel documento viene elaborato un parallelismo tra città e impresa, entrambe più competitive nel momento in cui adottano tecnologia ICT (“information and communication technologies”), nei processi sociali la prima, in quelli produttivi la seconda. Anche le città entrano nella logica competitiva di un’economia di mercato.
La crisi del 2007 dà una spinta decisiva al discorso: in una fase di recessione economica la Smart City può diventare non solo un nuovo mercato di vendita per il settore tecnologico, ma il modo per attingere a finanziamenti pubblici per la ricerca e un bacino enorme di raccolta dati, quelli dei cittadini, da utilizzare e vendere. Prendono avvio campagne di marketing volte a diffondere la narrazione positiva della Smart City.
La più potente è quella di IBM. Nel 2008 la multinazionale avvia “Smarter planet”, una campagna pubblicitaria che mira a evidenziare come i leader più lungimiranti nel mondo degli affari, dell’amministrazione pubblica e della società civile stanno comprendendo il potenziale dei sistemi tecnologici smart per conseguire crescita economica, efficienza, sostenibilità e progresso sociale nelle città. IBM si propone come fornitore, gestore e consulente di reti intelligenti per la gestione dell’acqua, del traffico, della costruzione di edifici smart, e pubblica una serie di annunci a tutta pagina su giornali come il New York Times e il Wall Street Journal.
Nel 2011 registra il marchio “smarter city” e lancia IBM Smarter Cities Challenge (1), un concorso attraverso il quale la multinazionale assegna tecnologia e servizi del valore di 50 milioni di dollari a 100 comuni in tutto il mondo, nell’arco di tre anni. Sono 24 le città che si aggiudicano i grant (2).
Si legge nel comunicato stampa che “team di esperti IBM, appositamente selezionati, forniranno ai responsabili municipali analisi e raccomandazioni per una crescita di successo, una migliore fornitura dei servizi civici, un maggiore coinvolgimento dei cittadini e una migliore efficienza della struttura municipale nel suo complesso”. Si parla di raccolta, condivisione, analisi di dati generati dalle interazioni e dalle transazioni urbane e di interventi decisi in base a quanto rilevato. Le informazioni vanno dai “punteggi nei test scolastici, all’adozione di smart phone, alle statistiche sulla criminalità, traffico pedonale e veicolare, al gettito fiscale e all’utilizzo delle biblioteche. Verranno poi anche eseguite correlazioni che collegano aspetti della vita urbana apparentemente slegati, al fine di sviluppare strategie innovative ed efficaci in termini di costi”.
IBM si propone di fornire “un nuovo punto di vista sulle ‘prestazioni’ delle rispettive città in confronto alle altre […] dati facili da usare per prendere decisioni più informate, che migliorino i servizi e rendano i cittadini e le imprese più consapevoli, più sicuri e più produttivi” nei campi “istruzione, sicurezza, salute, trasporti, uso del suolo, servizi di pubblica utilità, energia, ambiente, reddito personale, spesa, crescita della popolazione e impiego”. Infine, “dopo aver studiato il ruolo che una tecnologia intelligente potrebbe rivestire per migliorare diversi ambiti della vita cittadina”, IBM si propone di definire le strategie per “rendere le città più salubri, sicure, intelligenti e accoglienti per i residenti e le imprese, sia esistenti sia potenziali”.
Oggi ibridi di collaborazione pubblico/privato per il governo urbano smart in Italia sono Cisco per Milano e Torino e IBM per Genova.
Nel 2011 arriva anche l’Unione europea, che lancia l’iniziativa “Smart Cities” a sostegno delle città che intendono incrementare l’efficienza energetica dei propri edifici, delle reti energetiche e dei sistemi di trasporto.
Nel 2012 il governo Monti avvia un programma di finanziamenti per progetti inerenti le Smart City e l’innovazione sociale; seguono convegni e incontri che attirano l’attenzione di imprese e soprattutto dei grandi media. La narrazione smart si diffonde in modo capillare anche nel nostro Paese.
Dunque: dominio della tecnica sulla politica; primato del libero mercato, con la logica competitiva, sulla politica; ingresso di capitale privato, con la logica della profittabilità, nella gestione dell’amministrazione pubblica di una città. La Smart City è figlia del pensiero economico neoliberista.
La costruzione di una narrazione positiva
L’ingegnoso passaggio imbastito dal mondo corporate per fare accettare al cittadino la trasformazione della propria città in una realtà smart è stato mostrare le nuove tecnologie come la soluzione per risolvere i problemi ambientali, che scuotono la sensibilità e muovono paure, per le generazioni presenti e future: risparmio energetico e meno inquinamento, chi non li vorrebbe? Proponendo un legame tra sostenibilità ambientale e tecnologia le multinazionali hanno integrato nell’idea della Smart City i temi green, creando una molla potente per l’accettazione sociale e fornendo alla politica la narrazione con cui legittimare l’ingresso delle soluzioni tecnologiche nell’amministrazione della città.
Il cittadino, in gran parte inconsapevole del reale terreno su cui muove i propri passi, viene spinto a essere partecipativo, a scaricare app, rendere disponibile tutti i suoi dati, fornire una fotografia dinamica degli spostamenti e dei consumi. Non c’è concetto di privacy che tenga: vuoi mettere la difesa della tua piccola ed egoistica privacy in confronto al bene del pianeta?
Criticità
L’aspetto della privacy è il punto problematico più evidente. Le potenzialità di una sorveglianza di massa sono insite in una rete smart, con risvolti politici ed economici: il comportamento del singolo non è solo controllato ma anche influenzato, in una logica biopolitica, e i suoi dati, in mano al capitale privato, diventano merce su cui fare profitti e con cui creare nuovi bisogni e indurre desideri e consumi (marketing, profilazione, ricerche di mercato…). La vita messa a valore, i cittadini diventano sensori.
Ma non c’è solo questo. Spinta a diventare una ‘macchina per la crescita’ la città si trasforma in un ‘attore collettivo’, in una visione economicistica che nega l’esistenza di differenti gruppi sociali portatori di interessi e bisogni diversi. Una città è il centro e la periferia, classe agiata, ceto medio e poveri, imprenditori, professionisti, lavoratori e disoccupati, anziani e giovani, autoctoni e stranieri… e tante altre linee di demarcazione, territoriali, culturali ed economiche. Il problema della diseguaglianza non trova più posto nella politica della città.
Lo stesso concetto di partecipazione è infatti escludente e crea un circolo vizioso: i dati raccolti, con i quali vengono analizzati i bisogni ed elaborate le relative risposte, non possono che essere rappresentativi solo dei cittadini che partecipano scaricando le applicazioni sul loro smartphone, che abitano nei palazzi e nei quartieri smart, che consumano, si muovono, utilizzano le carte di credito ecc. Una determinata fascia di popolazione cittadina, non tutti i cittadini.
Ne consegue che i bisogni di coloro che, per povertà economica e culturale, non partecipano, non sono nemmeno registrati dalla pubblica amministrazione, e dunque non ricevono risposte. E non si tratta solo di digital divide ma, appunto, di possibilità economiche e sociali a partecipare. La diseguaglianza già esistente in una città tende così a riprodursi, alimentando fenomeni di marginalizzazione e gentrificazione.
È il caso di fermarsi a riflettere.
1) Cfr. https://www-03.ibm.com/press/it/it/pressrelease/33995.wss
2) Antofagasta, Cile; Boulder, USA; Bucarest, Romania; Chengdu, Cina; Chiang Mai, Tailandia; Delhi, India; Edmonton, Canada; Eindhoven, Paesi Bassi; Glasgow, UK; Guadalajara, Messico; Helsinki, Finlandia; Giacarta, Indonesia; Milwaukee, USA; New Orleans, USA; Newark, USA; Nizza, Francia; Philadelphia, USA; Providence, USA; Rio de Janeiro, Brasile; Sapporo, Giappone; St. Louis, USA; Syracuse, USA; Townsville, Australia; Tshwane-Pretoria, Sudafrica