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A Jo Condor, in memoria
“Al vertice stanno i direttori di testata e le ‘grandi firme’ costoro… sono i garanti della linea politica del giornale e soprattutto i controllori della stessa. In ultima analisi sono loro i veri responsabili di tutto ciò che viene scritto sui giornali della borghesia… ma non i soli: nelle redazioni si annidano i veri vermi striscianti, gli spregevoli fiancheggiatori dello Stato: i cronisti. Queste figure si riparano all’ombra dei colleghi più famosi di cui pensano di non condividere le responsabilità politico-militari”.
Si erano trovati un pomeriggio al Baretto dopo la rapina. A Giorgio non piaceva fare rapine. E anche quella volta si era deciso a malincuore. Era andato tutto bene ma aveva un nervoso addosso che si sentiva portar via. Seduto al solito tavolo cercava di bere una birra a mezzo con gazzosa.
L’unica cosa che riusciva a mandare giù quando aveva lo stomaco chiuso. Sul piattino una pizzetta al rosmarino. Il bar era vuoto. Alle quattro del pomeriggio era sempre così. L’animazione cominciava più tardi.
Giorgio vide arrivare Maurizio con la moto e l’inseparabile Filippo. Maurizio cominciò ad armeggiare con la catena per legare la ruota al solito palo porta spazzatura.
«Ma hai paura che fugga quella moto?»
«Senti, Giorgio, lo sai benissimo che l’anno scorso me ne hanno rubata una».
«Ma stavolta siamo qui e te la puoi guardare».
«Ha ragione Maurizio» disse Filippo un po’ perentorio. «Poi magari ci viene voglia di fare un giro a piedi e ci allontaniamo. Lo sai che basta un momento coi buconi che ci sono in giro».
«Una palla tra gli occhi gli metterei io ai buconi. Ci hanno rovinato tutta la zona e in più è sempre pieno di polizia».
«Se cominci ad ammazzare tutti quelli che si bucano, qui viene fuori una strage. Una volta che hai cominciato, mi spieghi quando fai basta?»
«Lo so Filippo, anche tu ti sei bucato» disse Giorgio.
«E allora?»
«Allora niente. Vedi che non ho problemi ad andare in giro con te. Dicevo così per dire».
«E allora continua a dire, anzi stai zitto che è meglio. Molto non hai capito mai» concluse Filippo.
Giorgio affondò il naso nel bicchiere di birra e gazzosa. Lo stomaco si riapriva poco a poco, lo sentiva. Diede un morso alla pizzetta. Maurizio seduto davanti a lui tirò fuori dalla borsa a tracolla il giornale del pomeriggio.
«Guarda qua,» gli disse mettendogli davanti agli occhi la pagina piegata, «leggi».
“Rapina questa mattina in una filiale della Cassa di risparmio delle province lombarde. I tre banditi hanno fatto irruzione armati con grosse pistole verso le 12.30. Immobilizzati i presenti, hanno raccolto i soldi in cassa. Ma non sono riusciti ad aprire la cassaforte. Dalle dichiarazioni del direttore della filiale la refurtiva ammonta a 18 milioni di lire. Altre notizie nelle prossime edizioni”.
«Abbiamo fatto 18 milioni?»
«A essere precisi, 17 milioni ottocentonovantamilalire » scandì Maurizio.
«Mai che dichiarassero la cifra giusta».
«Ma che ti frega a te» gli disse Filippo.
«Mi frega perché ci mangiano sopra».
«Ma cosa vuoi che ci mangino sopra. Capirai, 110mila lire sarebbe mangiarci».
«Io dico solo una cosa. L’altra volta per esempio cosa c’era scritto? C’era scritto che avevamo portato via 25 milioni. Invece erano solo 21. Chi li ha presi quei quattro in più?»
«Se li saranno presi gli impiegati» intervenne Maurizio.
«Adesso ti interessi che ci siano bancari onesti?» disse Filippo.
Giorgio non lo poteva sopportare, Filippo. Sempre con quell’aria saccente e rompiballe. Proprio adesso che finalmente gli si stava aprendo lo stomaco.
«Insomma, sono 17 milioni ottocentonovantamilalire. Ce li ho io. Direi di usarli così. Un milione lo diamo a Nicola per il Kala che ci ha prestato per la rapina. Così ce lo compriamo. Un milione a testa per le spese. Fanno tre milioni per noi e uno per Ciuff. Il resto armi e cassa».
«Ma dov’è Ciuff, l’hai avvisato?» chiese Maurizio.
«L’ho avvisato sì, ma lo sai che lui dopo le azioni passa sempre una giornata con la Franca».
«Bene,» disse Filippo, «direi che per precauzione non ci facciamo vedere insieme per una settimana. Io vado al mare con Maurizio. Tu con Ciuff vedi di non metterti in qualche casino».
«Stai tranquillo, stai tranquillo».
Giorgio rimase seduto al tavolo mentre Maurizio apriva il lucchetto della catena. Poi la moto partì.
“Essi dai sottoscala in cui sono annidati praticano la vivisezione dei comunisti, appoggiando le campagne di annientamento, contribuendo a creare il mostro a tutti i costi e così via. A questi sporchi figuri raccomandiamo una sola cosa: non schieratevi nella guerra di classe contro il proletariato e le sue avanguardie: altrimenti ve ne assumete in pieno il carico politico e… militare”.
Nel locale la solita gente. Di quelli che Giorgio conosceva a memoria. Alle sei di sera ancora non era il pieno. In un tavolo stavano in quattro davanti a una cartina geografica e alcune mappe militari. Giorgio sorrise sotto i baffi. Un sorriso d’intesa. Poi si sedette vicino all’ingresso. Ugo venne fuori dalla cucina con il grembiule bianco. «Per stasera sto preparando dei carciofi che sono la fine del mondo. Poi ho dell’ottimo riso con le quaglie».
«Non ho voglia di niente, per ora. Portami un cartizze, con comodo».
Ugo si infilò dietro al bancone e dopo un po’ venne fuori con due bicchieri. Si sedette. «Hai sentito degli scazzi tra quelli dell’MLS e gli autonomi al Caramellone?»
«Ho sentito sì, ma secondo me se la sono cercata».
«Di solito sono quelli dell’MLS ad andare a caccia».
«Ma voi gestori di locali perché non li cacciate fuori quelle dell’MLS?»
«Bravo, se fai così, poi la guerra non finisce più. Ci vuole poco a lasciare fuori dal locale una tanica di benzina che trova il cerino. Non te le dovrò dire io queste cose?»
Giorgio sorrise. Un sorriso sfuocato. Quasi senza motivo.
«Ugo, sono finiti i tempi in cui si dava fuoco a tutto. Qui ognuno si fa le sue cose. Come quelli lì al tavolo». Ugo si girò verso il tavolo dei quattro. «Staranno a preparare una gita».
«Sì, una gita con le cartine dell’esercito 1 a 1000. Hai mai sentito una cosa così?»
«Senti, a me non me ne frega niente cosa fanno. Se sto a chiederlo a tutti, chiudo subito».
«Bravo, e allora non chiedertelo mai».
Ugo si alzò e tornò in cucina. Da dietro la tenda Giorgio sentiva la voce di Tiziana che canticchiava. Tiziana gli piaceva proprio. Se le piaci ti scopa e basta, gli aveva detto un giorno Ciuff. Ma lui non era stato mai tra i fortunati. Giorgio sorseggiò il suo cartizze di malavoglia. Come tutto quello che faceva. Alle sette arrivò Ciuff con Franchina.
«Ciao Giorgio» disse, e lo baciò sulla bocca.
Giorgio si risvegliò dal suo torpore. Ciuff si sedette vicino a Giorgio mentre Franchina faceva la spiritosa con uno dei quattro al tavolo delle cartine militari.
«Siamo stati in Lc insieme, della stessa zona» disse quando tornò al tavolo di Ciuff e Giorgio.
«Capirai se non conoscevi anche lui» disse sarcastico Ciuff.
«Guarda, non fare il cretino geloso. Che se voglio ti metto le corna che voglio. Non è colpa mia se a Milano ci si conosce tutti».
Ciuff sorrise tranquillizzato. Giorgio sorseggiò il suo cartizze.
«Hai sentito Filippo?» chiese.
«Mi ha telefonato. Lui è tornato. Maurizio arriva la settimana prossima che al mare c’è un tempo favoloso».
«Sì, perché tanto a Maurizio sai che cosa gliene frega!»
«Scusa, ma che vuoi dire?»
«Voglio dire che non si può andare avanti così. Noi ci siamo messi insieme per fare politica, non siamo mica dei delinquenti comuni».
«Oddio che ricomincia» fece Franchina alzandosi dal tavolo. «È un’ossessione. Ma se la politica non la vuol fare più nessuno».
«La politica alla Lc no, ma la lotta armata sì. Guardati in giro…»
«Lo sai che a me non me ne frega più niente. Sono rifluita…»
«Cosa sei?» chiese Giorgio.
«Rifluita da riflusso. Ma non li leggi i giornali?»
Giorgio mise il naso dentro al bicchiere come ogni volta che sentiva che Ciuff stava per fare un discorso serio. Andavano avanti così insieme da otto anni. Stessa militanza. Stessi gruppi. Poi fuori. Nel Movimento.
«Siamo a un punto di svolta del gruppo. Abbiamo i soldi. Programma politico poco. Però io ho voglia di fare. Anche Filippo è ben intenzionato. Sei tu e Maurizio che non si capisce bene cosa volete».
«Sentite, io me ne vado» disse Franchina, «che ho capito dove va a parare. La solita pallosissima riunione. Vado a casa di Giuliana che è qui vicino. Poi ripasso, belli». Disse ciao e se ne andò.
«Ma insomma Giorgio, mi vuoi dire che intenzioni hai? Io ti conosco dal ’70, ma stavolta mi sembri più fuori del solito».
«È che non lo vedi che scoppiamento che c’è in giro? Non la vedi la gente? Aspetta un po’ e vedi con chi si riempie il locale. Tutti compagni. Tutti che non fanno più un cazzo o fanno i soldi per i cazzi loro come quelli del tavolo lì davanti».
«Appunto dobbiamo deciderci. O facciamo gli scoppiati anche noi o ci diamo un programma».
«Ma che programma ti vuoi dare? Non vedi che ambiente? Scoppiati. Tutti scoppiati».
«Allora perché vieni con noi a fare le rapine? Già che non ti va».
«A me le rapine non vanno perché sono pericolose. Si sa come cominciano e non si sa mai come finiscono. E poi Maurizio non mi piace. Ci si diverte troppo».
«Maurizio è un ragazzino, lo sai. Noi siamo vecchi. Noi abbiamo incominciato ad aprire la testa ai fascisti nel ’68».
«È vero, che botte! Ti ricordi quando giravamo con le chiavi?»
«Mi ricordo sì».
«Meglio le pistole, non ci piove».
«Lo dici a me? Le armi ve le ho portate io».
«Ferrivecchi».
«Insomma, non direi. A parte la pistola che avevi tu. Ora comunque abbiamo un Kala».
«Sì, ma con un Kala che ci fai? Pensa tu se ci tocca sparare, facciamo una strage».
«Il Kala serve di copertura…»
«Senti, ma cosa compriamo con i soldi?»
«Direi un paio di 38 special e due Walther».
«Io pensavo di prendere anche una 44».
«Che vuoi fare, un massacro?»
«Lo sai che a me, quando si va, piace andare col cannone pesante».
«Va bene, va bene. Ma il problema è politico».
«L’hai detta la frase. Da quando vai in giro con Filippo sei insopportabile».
«Ascolta, Filippo mi ha detto che ci sono due ragazzi che vogliono entrare nel gruppo. Propone di fare degli incontri di omogeneizzazione».
«Lasciami perdere. Per favore vacci tu».
«Ma non puoi andare avanti così».
«Chi sono?»
«Non lo so di preciso, vengono da un collettivo dell’Autonomia».
«Ma che vogliono fare?»
«Pare che abbiano una buona scheda su un paio di giudici».
«Roba grossa?»
«Roba grossa, sì. Solo che dovremmo decidere cosa fare».
«Per me basta che non mi trascini in una discussione del cazzo».
«Ma dovrai pure discutere».
«Lo fai tu per me, tu hai le idee chiare».
«Ma non possiamo andare avanti così da anni».
Giorgio chiese un altro bicchiere di cartizze. Il locale si stava riempiendo di gente. Ugo cominciava a sfornare i primi piatti. Giorgio prese un riso con le quaglie, Ciuff i carciofi. Poi si guardò intorno.
«Guarda che Franchina se ne è andata da un po’».
«Lo so, è andata da quella stronza, la Giuliana».
«Che hai con Giuliana?»
«Pensa, lei teorizza il femminismo come maschilismo rovesciato. Gira con un’enorme motocicletta
e carica i ragazzini, i randa, e poi li porta a casa. Se li fa e la mattina li scarica. Addio».
«Sono tutti scoppiati».
«Sì, ma che schifo. Non era mica cominciata così».
“Ci sono poi le categorie di giornalisti specializzati in determinati settori: da quelli della moda e dello sport, per arrivare a categorie ben più pregnanti dal punto di vista politico: giornalisti giudiziari e specialisti della controguerriglia psicologica. Entrambe queste categorie sono perfettamente schierate sulle posizioni delle bande di annientamento di Dalla Chiesa, e sono il tramite vero e proprio tra le strutture di coercizione armata dello Stato, magistratura compresa, e l’opinione pubblica”.
A casa della ragazza di Filippo c’era una vasca con un pesciolino rosso. Giorgio si incantò a guardarlo. Della riunione gli importava poco. Filippo aveva portato i due nuovi. Giovanni e Luciano si chiamavano. Luciano l’aveva visto sicuramente un paio di anni prima a qualche manifestazione. Andava avanti da un paio di ore. Si discuteva di obiettivi. Giovanni era insopportabile. Peggio di Filippo e Ciuff messi insieme. Giorgio guardava il pesciolino e sorrideva.
«Il problema è aprire la campagna a sinistra » ripeteva da un po’ Filippo. «Non si capisce perché non si debba attaccare a sinistra. Basta con i discorsi su democristiani e fascisti. Prendiamo Milano. Studiamo la nuova mappa del potere…»
«Ma il problema non è l’obiettivo in sé. Il problema è il rapporto con il Movimento. Per il Movimento è impossibile accettare un attacco a sinistra» ribatteva Ciuff.
«Non è vero, basta che segui il Movimento. E il Movimento cosa diceva a Bologna? Diceva Zangherì-Zangherà noi bruciamo la città» si intromise Giovanni.
«Solo che non hanno bruciato un beneamato cazzo».
«Ma perché lì sono stati i bonzi dell’Autonomia a frenare tutto» riprese Filippo.
«Bonzi e non bonzi resta il fatto che sulla destra è una cosa, a sinistra è un casino» insisteva Ciuff.
«Ogni tanto attaccano anche qualche sede del Pci» di nuovo Giovanni.
«Ma non farmi ridere, due bocce contro il portone di una cooperativa del Pci sarebbe un attacco, secondo te?» gli disse Ciuff.
«È comunque indicativo».
«Indicativo un cazzo».
«Indicativo che si può colpire a sinistra».
«Colpire cosa? Le macchine, le sedi?»
«Colpire gli uomini».
«Sentite, io non ho problemi sull’attacco alle persone. D’altra parte hanno cominciato loro. Avete visto a Genova in via Fracchia? Ma allora facciamoci un paio di caramba o un digos che mi sembra più intelligente».
«Secondo me,» disse Filippo, «c’è da aprire anche la campagna contro quelle carogne dei giornalisti. Li avete letti i giornali dopo il massacro di Genova».
«Sentite, ma qui o si parla di politica o andiamo tutti a figa, che è meglio. Un attacco del genere pone problemi di organizzazione. Se uno fa una cosa così, poi deve avere un logistico, un gruppo che fa propaganda. Mi dite cosa facciamo noi sei?»
«Noi intanto ci si può strutturare. Io mi incarico di portare tutto il materiale sui giornalisti e tu Ciuff vai a verificare questa scheda sui giudici che hanno portato Giovanni e Luciano. Poi compri le armi dal giro che conosci tu».
«Poi c’è il problema del rapporto con le Br che sono l’unica organizzazione seria in giro. Hanno cominciato loro la campagna contro la stampa» disse Luciano.
Giorgio continuava a guardare il pesciolino. Lo scrutava da ore.
«Giorgio, ma non puoi mica non dire mai un cazzo» gli disse Maurizio.
«Ah, perché per quello che dici tu!»
«Non cominciate a litigare» intervenne Ciuff.
«Insomma, si può sapere cosa pensi?»
Giorgio si staccò dalla palla di vetro.
«Dico che, a parte che in giro sono tutti scoppiati, ha ragione Ciuff. Per me si deve colpire a destra».
«Ma che destra e destra, mi volete spiegare chi è la destra oggi? Ma secondo voi chi ha il potere a Milano? I fascisti? Ma insomma, voi dei servizi d’ordine avete la deformazione dell’Azet per spaccare la testa e fare i cucchini ai fasci» disse Filippo.
Giorgio si ammutolì di nuovo.
«Io so solo una cosa, che quando spaccavamo la testa ai fascisti nelle scuole ci venivano dietro tutti. Non me lo sono inventato io lo slogan: Azet 36 fascio dove sei?» lo interuppe Ciuff.
«Quegli slogan lì se li è inventati Ao, certo non noi» riprese Filippo.
«È un casino, non si può mica ragionare così alla rinfusa. Se decidiamo di metterci insieme bisogna che ci vediamo più spesso. Propongo un ciclo di riunioni» disse Ciuff.
Giorgio si sentì male. La riunione finì.
«Domani sera andiamo al Palalido?» chiese Maurizio.
«Chi suona?»
«I Ramones».
«Ah, i Ramones».
«Sentite,» disse Ciuff, «gli organizzatori cercano gente per il servizio d’ordine. Un centomila a testa. Io ho fatto i vostri nomi».
«Bel mestiere. A spaccar la testa ai compagni» disse Maurizio.
«Non si spacca niente. Lo sapete che qualcuno ci vuole sempre se no viene fuori il casino. Mi ha telefonato Ugo ieri sera, io direi di accettare. Cosa dite?» chiese imperativo Filippo.
«Va bene, va bene».
«Allora ci vediamo fuori dal Palalido, verso le 19. A quell’ora cominciano a entrare i primi. Mi raccomando. Facciamo le persone per bene» concluse Ciuff.
“Tra questi personaggi c’è anche chi non si accontenta di fare da passacarte e mette a disposizione della controguerriglia la propria capacità di analisi allo scopo di individuare e tentare di normalizzare i settori di classe antagonisti allo Stato. Pertutti questi c’è un solo modo di sfuggire alla giustizia proletaria: cambiare mestiere al più presto”.
Giorgio passò a prendere Filippo al bar dove lavorava. La riunione era a casa di Franchina. Quella di cambiare casa ogni volta era una mania di Ciuff. Pensava sempre di essere pedinato. A Giorgio non andava proprio di portarsi dietro Filippo. Ma quel pomeriggio Ciuff non ci poteva proprio andare. Aveva un appuntamento per acquistare le armi da quei suoi amici.
Filippo per fortuna aveva appena smontato. Non c’era da aspettarlo in quel bar che a Giorgio non piaceva. Gli ricordava una brutta storia di anni prima, quando con Ciuff era stato seguito per un paio d’ore da un gruppo di fascisti.
A casa di Franchina trovarono già tutti. Ciuff, Paolo e Maurizio stavano intorno a una copia del giornale del pomeriggio. Luciano distratto da una parte a guardare i ninnoli sui mobili.
«Era ora» li apostrofò Maurizio. «Siete in ritardo di un’ora».
«Non rompere il cazzo. Colpa del tram. Dalle cinque alle sei di sera è un casino pazzesco per strada. E poi questa casa è proprio dalla parte opposta della città rispetto al bar dove lavoro» disse Filippo.
«Va bene. Allora direi di cominciare. Innanzitutto vi avviso che da stasera possediamo il Kala che abbiamo comprato da Nicola e oltre ai miei ferrivecchi, quattro pistole nuove fiammanti. Due 38 special e due Walther».
«Ma dove le teniamo le armi?» chiese Filippo.
«Le armi le tengo io come è sempre stato».
«E se ti succede qualcosa?» disse Luciano rivolto a Ciuff.
«Se mi succede qualcosa, Giorgio lo sa dove sono. Va bene?»
«Va bene, va bene».
«Bisognerà che andiamo a provarle» disse Filippo.
«Quello vediamo, magari domenica prossima, so io un posto» concluse Ciuff.
«Allora direi di cominciare» iniziò Filippo. «Innanzitutto abbiamo da finire la discussione che si trascina da un po’. Colpire a sinistra o no? È inutile che io rifaccia tutto il discorso da capo. In breve: oggi i nemici del movimento rivoluzionario non sono a destra, secondo me, ma a sinistra. I giudici che combattono la lotta armata non sono certamente di destra. Qui non siamo più a Sossi. Siamo di fronte a un team di giudici di sinistra. Proprio la loro formazione ideologica li fa più pericolosi perché più in grado di capire. A livello di forze politiche i maggiori nemici del Movimento stanno a sinistra, basta vedere il partito comunista come si è comportato nel ’77. E per finire, a livello di stampa. La campagna contro il Movimento viene portata avanti soprattutto dai giornali di sinistra e dagli uomini di sinistra che stanno dentro ai quotidiani della grande borghesia. Direi che su questo non ci piove».
«La tua analisi è sempre informata e precisa, ma hai il difetto di vedere tutto in tendenza. Tu vedi sempre qualche anno avanti. Secondo me il problema è ancora quello di colpire gli uomini dello Stato dentro, per esempio, la stampa. Bisogna colpire gli uomini dei servizi, quelli che da anni alimentano la strategia della tensione, quelli che sono dietro alla strage di piazza Fontana. Non necessariamente i fascisti, ma gli uomini dell’apparato militare dello Stato».
«Ma Ciuff, se la metti così ha ragione Filippo,» intervenne Giovanni, «basta che guardi la ristrutturazione della polizia. Seconde te quelli della Digos saranno mica di destra. Sono tutti di sinistra o quasi».
«Comunque noi dobbiamo decidere una cosa precisa, se no qui la discussione non finisce più. Ci sono le grandi organizzazioni armate tipo Br e Pl che hanno una strategia complessiva, colpiscono su vari fronti: giudici, carabinieri, carceri» disse Luciano.
«Lasciamo perdere Prima linea, per favore» intervenne Ciuff.
«Lo so che a te ti piacciono più le Br».
«Fai finire Luciano» disse Filippo.
«Insomma, noi ci dobbiamo dare un settore di intervento specifico. Non possiamo fare tutto. Se no va a finire come la nostra scheda sul giudice. Arriviamo in ritardo e Prima linea ci soffia l’obiettivo».
«Ha ragione Luciano. Da tempo lo dico che dobbiamo darci un settore. E dico anche che all’interno dell’attacco alla sinistra noi dobbiamo occuparci della stampa. Oggi la stampa è il supporto principale dell’attacco dello Stato al movimento rivoluzionario. Dimostratemi il contrario.
Abbiamo un sacco di dati che confermano questo. Non solo in generale, ma su alcuni uomini dentro i grandi settimanali, soprattutto di uno all’interno di un grande quotidiano».
«La discussione andava avanti da ore. Filippo incalzava sempre di più, seguito da Giovanni e Luciano e Ciuff era in evidente difficoltà. Giorgio sedeva zitto per terra con la schiena contro il frigorifero. Ogni tanto il motore scattava e lui sentiva sulla schiena un piccolo brivido. Della riunione non gli importava. Contava quei piccoli brividi che gli passavano per la schiena. Giorgio alle riunioni ci andava per fare piacere a Ciuff. Soprattutto non gli piaceva essere tirato per i capelli a esprimere il suo parere. Il suo parere non lo sapeva bene neanche lui. Sentiva però che bisognava dare uno scossone al Movimento. Maurizio, Giovanni e Luciano proposero di andarsi a fare un bianco da Ugo.
«E poi magari si trova da rimorchiare» disse Maurizio.
«Sempre lì pensi» gli rispose Ciuff.
«Sai, tu passi i pomeriggi interi a scopare con Franchina. Credi che non lo sappiamo?»
«Andate dove cazzo vi pare. Io vado a casa. Ne ho abbastanza per stasera» disse Ciuff. «Tu Giorgio vieni con me che dobbiamo parlare».
Ciuff era in bicicletta. Cominciò a camminare di fianco a Giorgio. Ogni tanto il pedale lo colpiva sulla gamba e lui faceva partire una bestemmia. Era incazzato nero.
«Senti, ma tu Giorgio, potresti darmi una mano nelle discussioni o no?»
«Lo sai che io alle riunioni comincio a stare male. E poi Filippo non mi piace. Mi mette in soggezione. Vedi che anche tu alla fine sei costretto a dargli ragione. Lui sa sempre un sacco di cose. È sempre informatissimo. Non mi piace. Meglio quando stavamo insieme da soli. E poi Giovanni e Luciano gli vanno dietro qualunque cosa dica. Prima i giudici e ora via, sotto la scheda sull’informazione».
«Ma vedi, questo è proprio il punto su cui ha ragione Filippo. Basta con il pressapochismo. Una cosa e basta. Da lì possiamo anche vederci con le Br su un piano serio».
«Lo sai che questo discorso sulle Br è l’unico che mi interessa. Solo con loro ormai si fa la lotta armata seria. Non con quegli scoppiati di Pl. Quella è lotta armata da locale alternativo».
«Lo sai che non è così. Sono due modelli diversi. A me va più quello di Br, ma anche i Pl sono seri. Sono più legati al Movimento e quindi ne subiscono i flussi e riflussi. Ma sono un’organizzazione combattente di tutto rispetto».
«Fammi capire, non lo vedi lo scoppiamento attorno a noi? Sono tutti scoppiati. Se vuoi fare qualcosa di serio bisogna farlo per impressionare le Br. In questo senso mi va bene tutto. Purché sia fatto bene. Dobbiamo dare una prova militare. A me non interessa tutto il resto. Decidi tu con Filippo. Io non ne posso più».
Andarono avanti per un bel po’ a parlare mentre camminavano. Poi sotto la casa di Giorgio si salutarono. Ciuff inforcò finalmente la bicicletta. Mentre pedalava sentiva il rumore della dinamo che strusciava sul copertone della ruota. E va bene, pensò, facciamo quello che dice Filippo. Basta con le discussioni.
“Oggi mercoledì 28 maggio un nucleo armato della Brigata 28 marzo ha eliminato il terrorista di Stato Walter Tobagi, presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Onore ai compagni caduti per il comunismo. Individuare e colpire i tecnici della controguerriglia psicologica. Niente resterà impunito. Unificare il movimento rivoluzionario costruendo il partito comunista combattente. Per il comunismo BRIGATA XXVIII MARZO”.
Il giorno prima Giorgio e Ciuff si videro sul lago. Ciuff conosceva una cava dove si poteva sparare al sicuro. Misero una tavola davanti a una pila di massi. Mentre Ciuff predisponeva per il tiro Giorgio tirò fuori le armi dalla borsa. Pose le due 38 special Smith & Wesson e le Walther P38 su un macigno e si incantò a guardarle.
«Ma che è, l’esposizione?» gli chiese Ciuff.
«Pistole vere. Mica come quei ruderi che abbiamo usato fino a ora. Finalmente abbiamo un armamento decente anche noi».
«Ci siamo fatti anche due rapine».
«Questo è vero» e Giorgio si fermò un attimo per aggiungere: «Non mi piacciono le rapine».
«Ma come sparano i due nuovi?»
«Non lo so. Filippo dice bene. Comunque per domattina mettiamo Maurizio all’imbocco della strada e Giovanni e Luciano di copertura. Io entro dentro alla via per primo. Sparate tu e Filippo.
Io intervengo solo se c’è bisogno».
«Non mi piace lavorare con Filippo».
«Tutto puoi dire tranne che non lavora bene. Lo hai visto in banca, no?»
Spararono un centinaio di colpi in due. Un rumore infernale. Poi alla svelta Ciuff rimise le pistole in borsa e cominciò a tirare Giorgio per un braccio.
«Andiamo scemo, che con il casino che abbiamo fatto magari arriva qualcuno».
«Ma non è un posto sicuro?»
«Sì che è sicuro, ma il rumore è stato tanto. Ci conviene filare».
Scesero giù di corsa dal sentiero e sulla strada grande salirono alla svelta sulla vespa che Ciuff si era fatto prestare dal fratello di Franchina. Alle sei erano di ritorno a Milano. Ciuff accompagnò
Giorgio. Si lasciarono sotto casa.
«Ci vediamo domattina alle nove e un quarto a Porta Ticinese, vicino al mercatino comunale» disse Ciuff. «Ti passo la pistola dentro un sacchetto di plastica. Poi si fa tutto come abbiamo deciso ieri nel sopralluogo. Il tipo dovrebbe essere in casa».
Giorgio cenò e andò al cinema col fratello. Uno dei soliti film di mala francese. Gli unici che gli piacevano. Poi prima di andare a dormire passò un po’ di tempo con un libro che gli serviva per un esame all’università. Ma non riusciva a concentrarsi. Spense la luce e si addormentò.
Alle otto, prima di uscire per andare a scuola, suo fratello lo svegliò come gli aveva chiesto la sera prima. Fuori pioveva. Si fece la barba, si vestì come al solito. Prima di uscire prese l’impermeabile bianco dall’attaccapanni.
Pioveva poco, ma magari era meglio aspettare un po’. Meglio non bagnarsi. Prese il tram che portava in Ticinese. Alle nove e mezza scese al luogo dell’appuntamento. Ciuff lo aspettava. Gli passò un sacchetto dell’Upim, dentro c’era la 38 special, come aveva voluto lui.
«Andiamo veloci, che siamo in ritardo» disse Ciuff puntando verso i Navigli. Giorgio lo seguì. Poi all’imboccatura della via Ciuff entrò dentro ancora più veloce. Giorgio si fermò. Si guardò un attimo attorno. Nessuno. Allora prese la pistola dal sacchetto e se la mise nella cintola. Poi guardò in fondo alla via, aspettando il segnale.
* L’Opera Trittico milanese è composta da tre racconti: Controvoglia, La ragazza svanita nel nulla, Gli atti del postino.
Leggi online le 3 parti del racconto o scarica il PDF completo
Trittico milanese (parte 1/3), Paolo Pozzi
Controvoglia
Trittico milanese (parte 2/3), Paolo Pozzi
La ragazza svanita nel nulla
Trittico milanese (parte 3/3), Paolo Pozzi
Gli atti del postino