Marco Cosentino*
Vaccini e tamponi, farmacovigilanza e valore predittivo: efficacia, affidabilità e rischi
Il titolo del mio intervento – “Vaccini e tamponi. Chi rischia cosa?” – ha voluto mettere insieme due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore e che sono legati da una narrativa opposta e speculare, ossia: sul versante dei vaccini Covid 19 la narrazione è che non si rischia assolutamente nulla, sul versante dei tamponi si dice che il rischio è che si tratti di strumenti che non funzionano – anche se l’anno scorso sono stati invece largamente impiegati per mantenere alti alcuni numeri e soprattutto un allarme sociale e sanitario che tuttora ci sta accompagnando.
Qualcuno ricordava molto opportunamente – ho ascoltato con grande interesse i diversi interventi che mi hanno preceduto – i giuramenti che si pronunciano in varie occasioni. Mi piace dire che anch’io, quando mi sono laureato in medicina, ho pronunciato il giuramento del medico sul testo di Ippocrate; poi da ufficiale medico ho pronunciato un giuramento di cui vado particolarmente orgoglioso e fiero, che è quello di fedeltà allo Stato, alle istituzioni e soprattutto alla Costituzione, alle leggi che ho giurato di proteggere; dopodiché sono diventato ricercatore e professore universitario, ed è l’unica figura che è esonerata dal pronunciare qualunque giuramento verso lo Stato e le leggi. Perché essenzialmente, la cosa importante per chi fa ricerca è restare fedele alla verità dei dati, una verità continuamente e potenzialmente mutevole, sulla base delle migliori evidenze. Quindi, ovviamente, non esiste la Scienza a cui credere, ma esiste un metodo scientifico da praticare quotidianamente alla ricerca della migliore evidenza possibile; quella ‘migliore evidenza’ sulla base della quale deve fondarsi la pratica dell’arte della medicina e che è prevalentemente rappresentata da numeri. Dunque la prima parte del mio discorso sarà essenzialmente molto fitta di numeri, di cui mi scuso preventivamente ma è necessario, per poter parlare con cognizione di causa della reale efficacia dei tamponi e della loro utilità per assicurare sicurezza negli ambienti pubblici, in maniera tale da prevenire realmente ed efficacemente la trasmissione del contagio del virus Sars-CoV-2.
Parlerò essenzialmente di tamponi antigienici. Abbiamo anche i cosiddetti tamponi molecolari – non entrerò troppo nel dettaglio tecnico, sarebbe lungo e probabilmente noioso – ma per una serie di motivi il tampone antigenico è nettamente migliore, a partire dal fatto che un tampone molecolare è molto laborioso e che i suoi risultati sono potenzialmente molto precisi: se mi passate la metafora, è più o meno come un microscopio estremamente potente. Talmente potente però da farci vedere dei dettagli e da rischiare di farci perdere il quadro complessivo. È come dire, sempre se mi passate la metafora, che ce ne andiamo in cucina a cercare il frullatore per prepararci un bel frullato di frutta: con il tampone molecolare troviamo le istruzioni d’uso del frullatore, ed è un’ottima cosa. Probabilmente questo ci suggerisce che da qualche parte in cucina c’è il frullatore, ma è un manuale di istruzioni, che di fatto non serve assolutamente a nulla per frullare. Con il tampone antigenico cominciamo a trovare dei pezzi di frullatore, se poi li troviamo tutti, non è detto che possano funzionare però sono già molto più vicini a essere un frullatore efficiente. Intendo dire che il tampone molecolare ci dà le tracce del materiale genetico del virus, mentre il tampone antigenico ci dice che ci sono dei pezzi interi, completi e concreti, che possono potenzialmente funzionare; quindi già questo ci induce a ritenere che i tamponi antigenici siano molto più vicini a identificare la presenza del virus reale. Non a caso l’Unione europea ha prodotto e continuamente aggiorna un elenco dei tamponi antigienici che gli Stati membri possono utilizzare a scopo di mutuo riconoscimento, per poter sottoporre i propri cittadini a test a scopo preventivo. Ora, per ragionare di questi test è necessario entrare un minimo in questioni tecniche.
Sentiamo sempre parlare di ‘sensibilità’ e di ‘specificità’, dove la sensibilità è essenzialmente la proporzione dei soggetti realmente malati e positivi al test rispetto all’intera popolazione dei malati, e la specificità è la probabilità di un risultato negativo in soggetti sicuramente sani. Questi sono i limiti minimi identificati dall’Unione europea per considerare validi questi test: sensibilità uguale o superiore al 90%, specificità superiore al 98%. Ma quello che in realtà conta da un punto di vista pratico, ai fini dell’utilizzo di questi strumenti, non è tanto la sensibilità e la specificità, che sono delle prestazioni assolute indipendenti dal contesto, ma – e questo sfugge anche alla maggior parte dei medici e degli operatori tecnici che utilizzano direttamente tali strumenti – il ‘valore predittivo positivo’ e il ‘valore predittivo negativo’: dove il primo è la capacità di identificare i soggetti ‘veri positivi’ sul totale dei positivi, e il secondo è la capacità di identificare i soggetti ‘veri negativi’ sul totale dei negativi. Questi due aspetti sono strettamente dipendenti dal contesto in cui ci si muove, ovvero dalla frequenza con la quale la condizione che noi ricerchiamo è presente nel contesto in cui ci muoviamo.
Vi mostro quello che succede al ‘valore predittivo positivo’ e al ‘valore predittivo negativo’ per un test antigenico rapido che rispetti le indicazioni dell’Unione europea, cioè sensibilità 90% e specificità 98%, ipotizzando una circolazione del virus dell’1% e del 3%. Sono necessari dei calcoli piuttosto complessi, ma trovate facilmente dei calcolatori in rete (per esempio https://www.medcalc.org/calc/diagnostic_test.php) che vi permettono di fare tutte le simulazioni che volete per prendere dimestichezza con questo concetto, semplice da un certo punto di vista ma non così intuitivo.
Cosa succede se nella popolazione generale c’è una diffusione del virus dell’1%? Sulla base di questi calcoli, ci possiamo aspettare un ‘valore predittivo negativo’, cioè la probabilità che un soggetto che risulti negativo sia realmente negativo, del 99,9%; vuol dire, sostanzialmente, che solo lo 0,1% dei soggetti negativi sono falsi negativi. Nell’ipotesi di una diffusione del virus al 3%, il ‘valore predittivo negativo’ è comunque intorno al 99,7% (99,69%), quindi rimane estremamente alto…
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* Intervento al Convegno “Pandemia: invito al confronto” del 3 gennaio 2022, organizzato dal Coordinamento 15 ottobre. Marco Cosentino è medico chirurgo, Dottore di Ricerca in Farmacologia e Tossicologia, Professore ordinario di Farmacologia nella Scuola di Medicina dell’Università degli Studi di Insubria