L38, regia di Stefano Torrini, 2018
Fatto con passione – quella che ti fa bruciare il culo e t’obbliga a radunare una troupe e a girare per pura impellenza e non per altri fini – L38 mi ha steso. Quantocazzoècattìvo?! Quando escono robe così, automaticamente esce anche la frigidità di alcuni recensori, e ciò fa incazzare, perché (‘ste recensioni) spesso sono incentrate su dettagli inappropriati; molti non si rendono conto cosa significhi anche solo posizionare una mdp sul treppiedi e mettercisi davanti a recitare. I giudicatori in malafede ignorano che se hai pochi soldi, talvolta 0, la resa estetica non potrà MAI essere petergreenawayiana! Eh! Potenzialmente potresti essere l’Erede di Kubrick… senza denari non potrai mai girare il tuo 2001 con la cura del dettaglio di Barry Lyndon. Al massimo potresti giocartela con una storia tutta parlata, fatta di dialoghi superbi e sceneggiatura perfetta; ma potrai contare davvero poco su fotografia e FX. Eppure, questi, niente! Stroncano a tappeto, basandosi su dettagli sui quali potrebbero focalizzarsi se avessero a che fare con prodotti mainstream – o comunque opere con un minimo di cazzo di budget. Per gli amanti del cinema concepito alla vecchia maniera. Quello (quasi) sparito. Quello che quando (ri)prova a manifestarsi… viene demolito o ignorato a priori.
I figli della violenza, regia di Luis Buñuel, 1950
Presente Ragazzi di vita? Cinque anni prima dell’uscita del romanzo del nostro amato, compiantissimo PPP (fratè, ci manchi: oggi più che mai!), in Messico Buñuel girava questo shoccante ritratto di ragazzetti poràcci senza futuro, i quali sarebbero potuti tranquillamente essere i cuginetti di Riccetto&Co. Più che onirico e surreale come al solito, ‘sto giro Buñuel vuole solo pugnalarci al fegato, mostrandoci vita e infami gesta di una piccola banda di giovani mostri. (Da musicista) ciò che mi ha colpito (e spiazzato) è la particolare scelta pre-kubrickiana di utilizzare musica spensierata e sbarazzina per enfatizzare scene efferate (tipo il pestaggio del mendicante cieco). Un’avventura struggente da spararsi tutta d’un fiato (ahimè, dura poco più di 1h; troppo, troppo poco), magari una domenica pomeriggio, quando sarete blindati dentro casa coi droni che vi svolazzano accanto alla finestra, quando rimpiangerete questo analogico, arcaico passato fatto di tristezza, miseria, violenza… ma anche poesia: quella che oggi è stata messa al bando. Premiato a Cannes nel ‘51 (e ‘sti cazzi), nel 2003 fu inserito dall’Unesco nel Registro della Memoria del Mondo. …e vorrei ben vedere?!
Unfriended: dark web, regia di Stephen Susco, 2018
Questo è il cinema del futuro! Il futuro di domani, massimo dopodomani. Presto verremo sommersi da polpettoni con ‘sta impostazione e sarà da mettersi a piangere dalla tristezza. Ma tranquilli: ciò succederà dopodomani, non oggi. Perché Unfriended: Dark Web, è roba coi controcoglioni. Potrà avere tutti i difetti che vi pare; provateci voi a tenermi incollato allo schermo (anzi, agli schermi) per quasi noremmèzza con otto sfigati noiosi, ognuno rinchiuso nella propria stanza, intenti a spararsi una videochat di gruppo umanamente/intellettualmente stimolante quanto osservare due mosche che cercano di copulare sul vostro tavolo da pranzo ricolmo di avanzi… Curiosità: è ormai assodato che i “n. 2” spesso sono cagate di bassa manovalanza fatte in fretta e furia per cavalcare il successo del predecessore; Unfriended n. 1 non l’ho visto e nemmeno sapevo che l’Unfriended che stavo per accingermi a visionare era in realtà un “n. 2”, altrimenti lo avrei scartato – di solito ‘sti film on line sono già puttanate morte in partenza, per cui i sequel sono inutili orrori da suicidio assistito – così, per ignoranza e pressappochismo intriso di malafede mi sarei perso un buon esperimento di ‘cinema screen view’. Bravo Stephen Susco: soggetto, sceneggiatura e regia.