A Classic Horror Story, R. De Feo e P. Strippoli, 2021
Anni di pellegrinaggi internettari alla ricerca di nuovi film a casaccio e… ‘Sto giro, oltre ad aver realizzato quanto effettivamente io sia uno stronzo prevenuto, ho deciso – anziché ‘cancellare’ questo mio ‘difetto’ da presuntuoso – di utilizzarlo come strumento a mio vantaggio; se una cosa mi sembra una cazzata, otto volte su dieci si rivela che avevo toppato alla grande. Sicché, d’ora in poi, quando vorrò vedermi qualcosa di appagante, che mi stupisca, che mi faccia annuire con aria saccente verso lo schermo manco fossi il portatore di chissà quale assoluta verità suprema a capo delle leggi che regolano le leggi che muovono il Sole e le altre stelle, basterà cliccare sulla prima ‘boiata’ che mi capiti a tiro – che è stato esattamente ciò che è successo con questo gioiellino risorgimentale del cinema ‘horror’ italiano (e dopo averlo visionato capirete perché horrortra virgolette). Inizia: solita sòla fatta col culo. Son’ lì che sto soffrendo incazzato, dispiaciuto, pensando a tutti quei poràcci pieni di idee valide ai quali Netflix ha strillato NO!!!,per poi andare a dare una manciata di sesterzi a gente che doveva fare tutto meno che buttarsi nel settore cinema. Tempo 15 min. e in me inizia ad avvenire un ribaltone emotivo. E ho assistito a qualcosa di originale. Grazie!
Baby Driver, Edgar Wright, 2017
Considero Edgar Wright uno dei più grandi registi in circolazione. Dai primi anni duemila a oggi (a mio avviso) si è rivelato ‘il più grande regista di film d’azione senza azione’. Voglio dire: tutte le sue opere hanno un ritmo adrenalinico dall’inizio alla fine, ma se vai a vedere (senza neanche troppi sforzi) t’accorgi che la sensazione di ‘ritmo’ è data dai movimenti della macchina da presa, dall’utilizzo del suono, dal montaggio videoclipparo soprattutto nelle scene ‘non action’; riesce a essere più action di Michael Bay senza deflagrare palazzi o far esplodere l’equivalente di tutti i proiettili sparati durante la prima e la seconda guerra mondiale nel giro di sole tre inquadrature. Qui il problema è proprio che c’è troppa azione, azione; inseguimenti, sparatorie, acrobazie con l’automobile a manetta. Di meno, Edgar. Un-po’-di-me-no. No? Stavolta non è stato amore immediato come tutte le altre volte; per apprezzarlo ho dovuto vederlo 2 volte… ma ciò che mi ha più sconvolto è stato vedere il mitico pubblicitario/pacifista/trombatore di Mad Men, Jon ‘Don Draper’ Hamm, interpretare uno sparatore/picchiatore in stile Frank Miller… In sintesi: remake apocrifo di Drive (di Refn) in stile Wright.
P.s.: leggere 20 volte filate ad alta voce la riga quassopra può curare la dislessia!
Pensavo fosse amore… e invece era un calesse, Massimo Troisi, 1991
Molti della mia generazione (classe 1984) conoscono Troisi principalmente per Non ci resta che piangere e Il postino; mica anche per tutte quelle genialate di sketch del trio teatrale di cui faceva parte, La Smorfia. Sprovveduti coetanei miei: andate a recuperare tutto. Per ‘tutto’ intendo l’Opera Omnia, cinema e teatro. Purtroppo Troisi lasciò questa dimensione da giovane; non ebbe tempo di scrivere, girare e interpretare molte pellicole. Recensisco questa perché era l’ultimo film dei suoi che mi mancava di vedere; con gli altri (soprattutto i primi due) ci sono andato avanti a rotazione per decenni. Quando avevo dodici anni per me era un idolo (insieme a Verdone e Moretti – se Nanni si possa definire comico; oh, a me faceva spaccare!). Molti sono più affezionati al postino – anche perché morì solo dopo un paio di giorni dalla fine delle riprese – però, secondo me, anche questo Pensavo fosse amore… è di una maturità, di una poesia, di un’ironia e di una bellezza straordinarie. Si ride, ma più che per gli sketch comici lo si guarda e apprezza per la sottile, tenera, abissale profondità. Il postino era serio, profondo, poetico; questo invece è una commedia, più leggera… ma con un finale che, per l’epoca, fu davvero ‘na mattonata contro i cattolici italiani.