Diary of the Dead, George A. Romero, 2007
È uscito nel 2007; mi so’ ricordato presto a vedèmmelo, eh? Ma (forse) c’ho l’attenuante: sebbene Romero sia uno dei miei registi preferiti in assoluto – nonché uno dei più influenti cineasti della storia (ed è sempre stato un anarchico/socialista indipendente… vojo di’…) – c’era per me un grave, gravissimo problema: anche se Romero è stato il Padre degli zombi moderni (prima c’erano gli ‘automi voodoo’, mica gli umani morti/cannibali putrefatti simbolo di un capitalismo americano di merda che uccide le persone rendendole vegetali mossi dall’inerzia e da un’insaziabile fame di monnezza), da quando uscì 28 giorni dopo cominciai ad avere il rigetto verso ‘sti polpettoni con gli zombi che corrono tipo giaguari e che strillano come delle teste di cazzo. Nemmeno Rec. (altro zombie mockumentary) mi piacque affatto, sicché pensai Cazzo, ci si è messo anche George… e passai la mano. Grave errore; mai sottovalutare un Maestro. Mai. ‘Sto film stava avanti di dieci anni, nel senso: quando lo guarderete, invece di ‘epidemia zombie’, metteteci ‘pandemia ritardata’, e vi accorgerete che le dinamiche televisive e dei media in generale, grazie alle quali ci hanno costretto per mesi a stare tappati in casa col terrore di ‘essere contagiati’, sono le stesse. Da vedere almeno una volta.
In Fabric, Peter Strickland, 2018
Senza giri di parole: due ore di orgasmo puro per tutti gli irriducibili cinefili della vecchia scuola. Dico ‘vecchia scuola’ perché quelli della ‘nuova’ (che, secondo me, in realtà non esiste, ma vabbè…) dubito apprezzerebbero un’opera di pura atmosfera. Tutta atmosfera. Solo atmosfera, suggestioni. E nient’altro. Trovato a culo e scelto esclusivamente per la locandina… e perché avevo voglia di impiegare un paio d’ore a esercitare la mia creatività. Mi serviva qualcosa di inutile da guardare su cui poter suonare; mi diverto così. Scelgo un film che mi sembra sfigato, abbasso l’audio al minimo, prendo la chitarra e in tempo reale improvviso la colonna sonora durante la visione. Oh: c’è chi fa cose strane coi criceti… e chi si accontenta di pochissimo. Bella, la semplicità, no? Mai scomodato un criceto in vita mia! Volevo suonà; ma appena partito In Fabric so’ bastati pochi istanti prima di: 1. avvertire il richiamo di; 2. posare la chitarra; 3. annullarmi; 4. entrare; 5. nel piccolo, barocco, ipnotico e maledetto mondo di quello che, secondo me, è uno dei film più interessanti degli ultimi vent’anni. È stato etichettato come “commedia horror”; non c’è un cazzo da ridere né da rimanere orripilati o spaventati. Anzi: è di una bellezza che nsé pò narrà! Goduria pura.
Canone inverso, Ricky Tognazzi, 1999
Miracolo Italiano. Prezioso reperto archeologico di un decennio (anni ’90 del Novecento) riassumibile in: siamo stati capaci di tirare avanti co’ cazzate televisive (puntualmente spacciate per “prodotti destinati al Grande Schermo”) fino a mo, giacché negli anni precedenti abbiamo maturato un curriculum celluloideo (amato e apprezzato dappertutto) tale per cui ci siamo potuti permettere di sfornare a nastro quasi solo cagate di qualità medio/bassa/bassissima, crogiolandoci nel vivere di rendita… sino a ora. Per me gli anni ’90 in Italia furono un secondo medioevo (però più stupido dell’originale; ‘nammerda). Durante il medioevo medioevo te torturavano pe’ fatti confessà e poi t’annientavano comunque… eppure artisticamente fu rivoluzionario. Invece, nel nostro scarso remake del medioevo si veniva sì torturati pe’ fa’ confessà non si sa bene cosa (ricordate Tangentopoli? Ecco; a livello artistico quello fu il nostro personale “Trittico delle delizie” nazionale), e tutti eravamo aridi d’entusiasmo/accesi di rabbia, sicché ci beccammo una miriade di boiate (‘in’ e ‘fuori’ la Sala) senza battere ciglio. Quasi nulla lasciò un segno. Era il 1999; alle soglie del nuovo millennio qualcuno decise di cambiare rotta. Canone inverso rappresenta parte di quella svolta.