- (Paginauno n. 74, ottobre – novembre 2021)
- (pubblicato online il 26 settembre 2021)
Una chiamata a “insorgere”: un collettivo di fabbrica di un’azienda di medie dimensioni è riuscito, in appena due mesi, a mobilitare migliaia di persone su scala nazionale. Non si vedeva una reazione simile da parecchio tempo
“La nostra famiglia non è solo la nostra fabbrica, la nostra famiglia è tutto il territorio, sono tutti gli ex licenziati che sono venuti a darci solidarietà, sono le precarie e i precari di questo Paese, le partite IVA, le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo…”
Dario Salvetti è un delegato RSU (Rappresentanza Sindacale Unitaria) dello stabilimento italiano della multinazionale britannica GKN. Insieme ai suoi compagni di lavoro, la mattina del 9 luglio riceve via email la comunicazione dello smantellamento del sito produttivo e dell’avvio di una procedura di licenziamento collettivo. Ma l’azienda ha fatto male i calcoli. Gli operai reagiscono, entrano in fabbrica e iniziano una lotta che li vede raccogliere giorno per giorno un sostegno e una solidarietà sempre più allargate. Organizzati sul modello dei consigli di fabbrica degli anni ‘70, arrivano a convocare per il 18 settembre una manifestazione nazionale per le vie di Firenze. Il grido che li accompagna è “Insorgiamo”, il motto della Resistenza fiorentina. All’appello rispondono migliaia di persone, più di 20.000.
Fortezza
Fortezza da Basso, Firenze. È all’incirca l’ora di pranzo quando gli operai della GKN cominciano a radunarsi nei giardini della Fortezza, e mancano ormai poco più di due ore alla partenza della manifestazione. Arrivano in piccoli gruppi e subito iniziano a organizzarsi, a ripetersi passo passo i dettagli di quello che hanno preparato. Maglietta blu per tutti i lavoratori, pettorina viola per il servizio d’ordine e arancione per gli addetti alla sicurezza. Non è la prima manifestazione che organizzano da quando hanno ricevuto l’email che annunciava il licenziamento: nell’ultima, il 24 luglio, erano circa 7.000 davanti allo stabilimento di Campi Bisenzio. Ma sanno che questa volta i numeri saranno diversi, che la mobilitazione sarà nazionale, perché da giorni stanno ricevendo adesioni da diverse parti d’Italia.
“La nostra famiglia non è solo la nostra fabbrica…” afferma Dario Salvetti al Ri-Make di Milano il 6 settembre, durante una delle assemblee in giro per l’Italia in cui hanno raccontato la loro storia e chiamato alla manifestazione del 18, e pezzi di quella famiglia si presentano alla fortezza, puntuali. Ci sono i lavoratori Texprint di Prato, quelli della Piaggio di Pontedera, dell’Alitalia, gli operai della Sanac di Massa Carrara, della Whirlpool di Napoli, della Embraco di Torino e immancabile la ‘Rimaflow fabbrica recuperata’ di Milano, Trezzano; ci sono i gruppi politici e sindacali del territorio, la Fiom e i sindacati di base, gli studenti delle scuole di Firenze e gruppi organizzati provenienti da tutta Italia, con macchine e pullman partiti – tra gli altri – da Milano, Venezia, Torino, Genova, Roma, Ancona, Taranto.
Camminando tra la folla che si raggruppa al concentramento ci si fa un’idea piuttosto chiara: la partecipazione è sicuramente ampia, ma è anche piuttosto settoriale, ha mosso per lo più realtà già politicizzate, per lo meno tra chi viene da fuori. Un fatto di cui i lavoratori hanno piena consapevolezza: “Attorno a GKN c’è un’attenzione nazionale” continua Salvetti al Ri-Make, “ma è un’attenzione nazionale che ha risvegliato solo il ceto politico e sindacale della sinistra radicale. Ancora siamo lontani dal fatto che GKN sia un caso che interessa le masse di questo Paese”. Solo localmente, per ora, la vertenza GKN è riuscita ad arrivare a un buon numero di persone senza bandiera, che sono pronte a scendere in piazza al fianco dei lavoratori perché si riconoscono nella loro lotta. “A livello locale è un movimento di massa, nell’accezione classica del termine: abbiamo con noi le lavoratrici e i lavoratori del commercio, i vigili del fuoco, l’ANPAS, settori della chiesa e delle parrocchie, i circoli tennistici, i circoli scacchistici… Abbiamo con noi un intero territorio insorto in nostra difesa”.
Sono le tre. Il ritmo dei tamburi sembra scandire il conto alla rovescia, mentre i cori intonati nei megafoni rimbalzano da una parte all’altra del concentramento. Monta l’attesa, mancano pochi minuti alla partenza del corteo. Nel cuore della fortezza, questa massa è pronta a partire. Un gruppo di donne, in cerchio, canta e batte le mani. Indossano una maglietta arancione con scritto Insorgiamo con i lavoratori GKN. “Siamo le mogli!” dice una. Cantano un coro che fino a sera fluirà per il corteo in movimento, crescendo nelle voci a migliaia, come un’onda che prende forza man mano che avanza e si mangia il mare: “…e non c’è resa, non c’è rassegnazione, ma solo tanta rabbia che cresce dentro me. Occupiamola, fino a che ce ne sarà…”.
Sì, perché gli operai della GKN quel 9 luglio la fabbrica l’hanno occupata, e sono in presidio permanente da allora.
Collettivo di fabbrica
GKN è una multinazionale britannica leader nei settori aerospaziale e automobilistico. Il compartimento automotive dell’azienda impiega 27.500 lavoratori in 51 sedi distribuite in 20 Paesi, tra cui l’Italia, poco fuori Firenze, a Campi Bisenzio. Qui vengono prodotti i semiassi destinati alle automobili fabbricate in Italia da Stellantis, il gruppo nato dalla fusione tra Fiat Chrysler e PSA, che costituiscono circa l’85% delle commesse. Un prodotto che continua a essere necessario anche in questa fase di transizione green del capitalismo che, nel settore automobilistico, punta sempre di più sui veicoli ibridi ed elettrici.
Nel 2018 GKN attraversa un periodo di flessione economica ed entra nel mirino del fondo d’investimento Melrose Industries, società che imposta il proprio business sull’acquisizione di aziende in difficoltà da rendere nuovamente appetibili sul mercato ai fini di una futura rivendita. È esattamente quello che ha intenzione di fare con GKN: fiuta l’affare e con un’offerta da 8 miliardi di dollari prende il controllo dell’azienda.
Sul sito di Melrose campeggia il motto “Buy, Improve, Sell”, compra, risana, vendi. “Sostanzialmente vuol dire licenziamenti, taglio del personale e chiusura degli stabilimenti”, sottolinea Matteo Moretti, altro delegato RSU di GKN presente al Ri-Make il 6 settembre. “Hanno iniziato in Germania, poi hanno annunciato la chiusura dello stabilimento inglese e poi sono arrivati a Firenze”. Nonostante tutto il settore produttivo automotive legato a Stellantis in Italia non attraversi un periodo particolarmente florido – anche a causa della ‘rivoluzione verde’ e al rallentamento della fornitura di componenti dalla Cina, come spiegano i lavoratori – la fabbrica di Campi Bisenzio non è un’azienda in crisi, anzi. “Non abbiamo fatto un solo giorno di cassa integrazione e nell’ultimo anno e mezzo circa” continua Moretti, “l’azienda ha fatto investimenti considerevoli nel reparto di assemblaggio semiassi, aumentando l’automazione con la tecnologia 4.0. Eravamo in una fase di rilancio dello stabilimento, o almeno questo era quello che l’azienda ci faceva credere”.
È venerdì 9 luglio quando GKN concorda con i lavoratori un giorno di ferie e la chiusura anticipata della fabbrica, proprio in ragione del rallentamento produttivo generale degli stabilimenti. Si riapre lunedì, li aspetta un fine settimana più lungo del solito. Nessuno di loro immagina che quel lunedì non arriverà. Poco dopo le 10 di mattina, via email l’azienda comunica la chiusura definitiva dello stabilimento e il licenziamento collettivo. Circa 500 lavoratori si trovano senza più nulla, da un giorno all’altro. Doveva essere un giorno di mare, sarà invece il primo giorno di lotta. Si danno immediatamente appuntamento davanti ai cancelli e, in non molto, riescono a entrare. Da quel momento prendono fisicamente il controllo della fabbrica. “Abbiamo una squadra di lavoratori che sorveglia tutto il perimetro dello stabilimento” prosegue Moretti al Ri-Make, “7 giorni su 7, 24 ore su 24. Da allora siamo in assemblea permanente, abbiamo votato un regolamento e tutte le decisioni vengono prese insieme. Ce la siamo ripresa, ora la bambina la stiamo curando noi”.
Probabilmente questa storia non sarebbe mai stata possibile se gli operai non avessero alle spalle un percorso maturato negli anni. Anni di confronti, di unità, di lotte. Una reazione così rapida e organizzata arriva per forza da più lontano. “Nei nostri primi anni in fabbrica assistevamo a divisioni sindacali interne basate sulla tessera che si aveva in tasca, una divisione che dal vertice delle organizzazioni si rifletteva poi anche tra i lavoratori. Durante le assemblee si arrivava a uno scontro vero e proprio. Quando noi siamo diventati RSU ci siamo detti che quello scontro non doveva essere nostro, che non avrebbe fatto parte della nostra azione sindacale. Per vincere quelle divisioni abbiamo fatto un patto: decidere sempre e comunque con la nostra testa e portare avanti una linea comune. Quel modo di lavorare è stato l’embrione del Collettivo di fabbrica, che oggi porta avanti la nostra lotta.”
La struttura sindacale interna in GKN vede al suo vertice l’assemblea generale dei lavoratori e una RSU composta da 7 delegati e un RLS (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza). Annualmente la RSU nomina, su approvazione dell’assemblea generale, 12 delegati di raccordo distribuiti nei vari reparti di produzione, sul modello dei consigli di fabbrica degli anni ‘70. In aggiunta, gli operai della GKN hanno costituito un gruppo aperto a tutti i lavoratori che consente alla RSU e ai delegati di raccordo di approfondire, fuori dall’orario di lavoro, le questioni discusse in assemblea: è questo il Collettivo di fabbrica, un luogo di confronto che di norma conta intorno alle 40-50 presenze.
Questo modo di operare ha permesso al Collettivo di conquistare una grande credibilità tra i lavoratori e una forza contrattuale considerevole nella discussione sindacale: “Dal 2008 abbiamo cominciato a prendere la fabbrica in mano: attraverso la lotta e l’organizzazione interna, per esempio, abbiamo fatto in modo che da noi, e in tutte le ditte in appalto, la modifica dell’articolo 18 non valga: il riferimento è ancora l’articolo 18 degli anni ‘70. Ci ispiriamo proprio alle forme rappresentative di quegli anni. Quando Melrose è arrivata qui ha trovato questo tipo di organizzazione, cosa che non è accaduta negli altri stabilimenti GKN”.
Da qui è partita la chiamata a “insorgere” del 18 luglio: da un collettivo di fabbrica di un’azienda di medie dimensioni che è riuscito, appena due mesi dopo, a mobilitare migliaia di persone su scala nazionale. Non si vedeva una reazione simile da parecchio tempo.
Unire le lotte
“Tutti gli operai devono stare davanti!” Il corteo parte quando sono passate da poco le tre e mezza. Alcuni lavoratori in maglietta blu si sono attardati tra la folla festante e vengono richiamati dai loro compagni. Immediatamente, come piccole gocce di mercurio che si ritrovano, ricompongono il blocco di testa. È uno scandire incessante di tamburi e di canti. Davanti a tutti, protetto da due cordoni del servizio d’ordine, il Collettivo di fabbrica. Cantano, urlano, battono le mani, trascinano quella marea ordinata che avanza dietro di loro. A separarli dal resto del corteo è il gruppo di donne in maglia arancione: si tengono per mano, quasi a voler saldare l’unione tra il gruppo di testa e la folla al seguito. Man mano che avanza, il corteo si aspetta. Divora l’asfalto, poi si ferma, riparte. Canta e si ascolta cantare. Sembra riprendere fiato. Procede compatto sotto gli occhi dei passanti che si affacciano ai lati, che applaudono, che incitano, che vogliono testimoniare il loro sostegno.
Appena uscito dai giardini della Fortezza, il corteo si dirige verso viale Strozzi, uno dei viali di Circonvallazione che attraverserà nel percorso: un tributo dichiarato, simbolico, alla manifestazione no-global tenutasi in occasione del Social Forum di Firenze del 2002, quando più di mezzo milione di persone da tutto il mondo si riversarono nelle strade della città. Poco più avanti, superata la via adiacente al binario 16 della stazione di Santa Maria Novella, il percorso imbocca un sottopasso. Le pause si fanno più lunghe, quasi fosse quel luogo a richiederlo. Nel tunnel illuminato dal rosso dei fumogeni, un coro si prende la scena, lo stesso che si cantava al ritrovo, quello che fin dal primo giorno accompagna la lotta del Collettivo di fabbrica. Isolati tra le pareti del tunnel lo cantano tutti, e lo cantano insieme: “Occupiamola, fino a che ce ne sarà…” Le voci prendono sempre più forza, tra i lavoratori qualcuno piange e si abbraccia: in quella frazione di spazio in cui il tempo sembra sospeso, la famiglia la sentono addosso.
La manifestazione avanza, tra canti, fumogeni, ancora altri cori. A metà percorso si ferma, alcuni lavoratori prendono la parola e tutti osservano un minuto di silenzio per l’ennesimo operaio morto in fabbrica, la sera prima in un’azienda di Campi Bisenzio. Il corteo prosegue fino ad arrivare a piazzale Michelangelo, capolinea della manifestazione, intorno alle 20. Il numero esatto di partecipanti è impossibile da stabilire: il Collettivo comunica 40.000 persone, mentre la cronaca del giorno dopo parlerà di 20.000. Sia come sia, la manifestazione arriverà a dispiegarsi lungo un intero chilometro.
Nel piazzale, il corteo si raggruppa ai piedi di un piccolo palco. A chiudere la giornata un messaggio che arriva forte e chiaro: è ora di unire le lotte, di lavorare insieme per creare una contrapposizione reale, un movimento di massa che combatta per i propri diritti di lavoratori. “Noi non siamo una lotta minoritaria, non ci interessa far polemica di bottega, non ci interessa segnare il punto nel dibatto politico. Per noi questa visibilità è un onere, non è un onore”, scandisce Salvetti del Collettivo di fabbrica. “Però alla fine è semplice: se ci sono delle vertenze in crisi le si uniscono, se ci sono delle lotte le si coordinano, le si convoca nella stessa piazza. È semplice. Se hai una manifestazione come questa ti chiedi anche se non sia arrivato il momento di convocare lo sciopero generale, prima regionale e poi nazionale e di unire le vertenze. È questa la domanda che rimane sospesa a ogni organizzazione politica e sindacale di questo Paese: lo sciopero generale, se non ora quando?”
Intanto, a due giorni dalla manifestazione, il Tribunale del Lavoro di Firenze ha accolto il ricorso presentato dalla Fiom contro i licenziamenti collettivi che sarebbero scattati il 22 settembre, stabilendo che l’azienda ha violato l’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori (condotta antisindacale) non avendo posto in essere “le procedure di consultazione e confronto” con il sindacato come invece previsto anche da un accordo aziendale del luglio 2020. Per ora le lettere di licenziamento sono state bloccate, quindi. Se questo si rivelerà solamente un modo per far calmare le acque e giungere comunque al licenziamento e alla chiusura, oppure se sia il primo passo verso un finale ancora da scrivere, lo capiremo presto.
“La mobilitazione continua perché non c’è salvezza fuori dalla mobilitazione” è stata la risposta del Collettivo di fabbrica alla sentenza, “e perché ci sono trent’anni di attacchi al mondo del lavoro da cancellare. Stiamo imparando tante cose in questa lotta. Iniziamo anche a masticare qualcosa di finanza. E quindi, fossimo un azionista PLC Melrose inizieremmo a pensare che forse i nostri soldi non sono proprio in buone mani. Inizieremmo a diversificare il portafoglio. È una semplice opinione, sia chiaro. Noi non siamo azionisti del resto. Siamo gli operai GKN. E questo è quanto. Noi non giochiamo in Borsa. Facciamo semiassi. E insieme a tutti voi, noi insorgiamo.”
E due giorni dopo, il 24 settembre, i lavoratori GKN erano a Roma a manifestare accanto ai lavoratori Alitalia.