Virginia Benenati
24/7: economia digitale, produttività e bisogni biologici: costruire un’umanità sub specie delle macchine utile a un inarrestabile processo operativo
Non pare senza ragioni avvalerci, per questo contributo, del titolo del libro di Jonathan Crary, pubblicato per la prima volta nel 2013, in lingua originale, 24/7. Late Capitalism and the Ends of Sleep. Invero, il professore di Modern Art and Theory alla Columbia University di New York s’incarica di trattare, in maniera diffusa, i danni – lascito sempre più oneroso dell’odierno capitalismo – perpetrati a detrimento dei nostri bisogni primari, uno su tutti, quello fisiologico di dormire. Il suo lavoro è pertanto ben rappresentativo della nostra epoca, e si può considerare una delle più oculate analisi degli ultimi anni: ci si dispiega davanti ai nostri occhi una molteplicità di implicazioni di fronte a una routine sempre più stringente.
Produttività continua e ininterrotta
Se Internet ci avesse reso più stupidi se lo domandava Nicholas Carr nell’ormai lontano 2010. Che Internet ci stia trasmutando, in maniera tanto capillare quanto inesorabile, in esseri i cui organismi mal conciliano i loro bisogni naturali e afferenti alla biosfera (sonno, protezione, calore, ecc.) con le esigenze di mercato, in senso lato, ce lo disvelano, senza mezzi termini, autori eterogenei tra loro, il cui background spazia dalla sociologia, alla storia dell’arte, alla filosofia, al giornalismo. Günther Anders, nel 1956 (in L’uomo è antiquato volume I, Bollati Boringhieri), osservando la proliferazione incontrollata di radio, televisori ecc., notava sapientemente come “i nostri bisogni non sono ormai altro che le impronte e le riproduzioni dei bisogni delle merci stesse”. L’autore tedesco è abile, già negli anni Cinquanta, a sottolineare l’estensione e la coappartenenza tra la sfera dei consumatori e quella dei produttori. Esse sembrano sempre più inestricabilmente interconnesse, tanto che ciascuno di noi indossa i panni ora degli uni ora degli altri, senza soluzione di continuità. Non senza una vena ironicamente contestatrice, egli tratteggia la figura, allora sempre più in voga, del “lavoratore a domicilio”. Si tratta del lavoratore-consumatore che, non soltanto non viene retribuito per il tempo diligentemente trascorso davanti agli schermi della televisione e del cinema e con l’orecchio sempre teso all’ascolto di qualche réclame (che, letteralmente, reclama la sua attenzione), ma che, anzi, paga egli stesso con l’acquisto di apparecchi e prodotti. Anders si spinge oltre, in L’uomo è antiquato volume II (Bollati Boringhieri), arrivando a prefigurare un futuro per così dire 24/7, in cui ognuno di noi oscilla senza tregua tra il ruolo di lavoratore e quello di consumatore, interpretandoli in alternanza.
La notte, in particolare, diviene indicativa ed emblematica del potere d’un capitalismo incapace d’arrestarsi. Le prime tattiche di invasione del sonno vengono immaginate dall’autore portate a effetto per il tramite di segnali acustici subliminali, capaci di penetrare nel sonno e di rifornire l’uomo con offerte (Angebote), durante i suoi momenti di abbandono.
Quello che Anders non poteva prevedere è la realtà dell’oggi, in cui siamo sì lavoratori virtualmente attivi, ma non solo in relazione alla consumazione, bensì anche alla produzione. Crary pare recuperare, riaggiornandolo, il medesimo filone argomentativo. Giacché l’ambito professionale (come tutti gli altri, del resto) è dominato dall’avanzare tecnologico, i nostri impulsi si rivelano essere quasi una sorta di escrescenza delle macchine. Crary, nel suo 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno (Einaudi) – questo il titolo in italiano – s’addentra in una critica al capitalismo sfrenato e scriteriato, i cui effetti maggiormente deleteri sono ravvisabili in una sfida – piuttosto impari – tra una soffocante bulimia di prodotti, da una parte, e l’indifeso baluardo di certi nostri bisogni viscerali, dall’altra. “Dietro la vacuità del facile slogan, il 24/7 rappresenta una forma di sovrabbondanza statica che rinnega ogni legame con il tessuto di ritmi e scansioni periodiche dell’esistenza umana. È basato su uno schema rigido e arbitrario”, non si perita di asseverare l’autore. Il libro si presta anche a considerazioni di carattere più squisitamente filosofico, dal momento che le questioni investono la sfera dei nostri desideri, della loro abile manipolazione, e altresì delle ricadute sul piano sociologico. Necessari, certo, almeno per ora, ma in funzione delle macchine stesse, non nostra.
Finanche sul bisogno di dormire – che è quanto di più fisiologico e vitale possiamo concepire (non a caso, come ci ricorda lo stesso Crary, la privazione del sonno è un antico strumento di tortura, così efficace da essere praticata fino ad anni recenti) – la ricerca scientifica sta attuando prove e indagini. Nell’incipit del testo troviamo, a tal proposito, l’esempio del passero dalla corona bianca. Questo volatile ha una peculiare capacità: rimane in stato di veglia per un’intera settimana durante la migrazione. Avvalendosi di questa facoltà, il passero non rimane mai inoperoso. Di notte è in grado di volare seguendo la rotta, mentre di giorno può dedicarsi alla ricerca del cibo, senza essere afflitto dal bisogno di riposare. Fin dalle le prime, avvincenti pagine, veniamo informati riguardo agli studi, sovvenzionati dal dipartimento della Difesa americano, riguardanti tali uccelli. Lo scopo della ricerca, lungi dall’avere a che fare con interessi meramente etologici, è interamente teso ad altro. Il segreto che ci s’ingegna di carpire verte sul modo in cui può risultare possibile “un’astensione completa dal sonno e al contempo un funzionamento produttivo ed efficiente”. Ecco il principio – che si sta avvicinando a un comandamento – del 24/7, di una produzione incessante e senza tregua, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. Come possiamo rendere le persone utili a un tale, inarrestabile, processo operativo? Quali caratteristiche esse debbono modificare? Senza alcun riguardo all’eco di bisogni primordiali, come il riposo e il sonno (e mille altri, che è facile pensare compromessi), ciò che viene richiesto a gran voce è un’umanità sub specie delle macchine. Ciò che prima era riconosciuto palesemente come un evidente supplizio (la privazione del sonno), oggi diviene un merito o un vanto, e presto potrebbe assurgere a dovere.
La tesi è facilmente suffragata dalle evidenze empiriche provenienti dal mondo del lavoro, come si premura di osservare, tra gli altri, il documentario Take your pills di Alison Klayman, del 2018. Raccogliendo svariate e diverse testimonianze – tra studenti del college, professionisti dello sport, della finanza, dell’informatica, e così via – ivi si giunge ad asserire che “esiste una cultura che dice: devi lavorare sedici ore al giorno, sette giorni su sette”. Ciascuno, s’insiste a più riprese, ambisce a essere quella persona; in grado di non stancarsi mai, di procedere indefessamente nel proprio lavoro. Il caso del sonno è, a un tempo, fattuale e paradigmatico. In atto, difatti, pare esserci un’abdicazione di massa alla premura verso bisogni e urgenze reali, eminentemente umani. Ciò su cui invece si fa leva sono le apparecchiature e i servizi digitali, nella loro veste sia di oggetto del desiderio, sia di germinatori di pseudobisogni ed esigenze per cui essi vengono visti come l’unica soluzione possibile. Non è incidentale notare, insieme a Günther Anders, Jonathan Crary, a Nicholas Carr (non solo in Internet ci rende stupidi? ma anche in La gabbia di vetro. Prigionieri dell’automazione, Edizioni Cortina), Nicola Zamperini (Manuale di disobbedienza digitale, Castelvecchi) e ad altri, come vi sia in atto una omogeneizzazione sempre crescente di quelle che, una volta, erano aree dell’esperienza nettamente distinte e separate. Rimanendo in Italia, il giornalista Davide Mazzocco nel suo Cronofagia. Come il capitalismo depreda il nostro tempo (D Editore) denuncia, senza ambagi, l’asservimento più o meno volontario a cui ci sottoponiamo inconsapevoli, in quanto utenti assidui dei social network, nei confronti di aziende come Facebook.