Gli anni ’90 furono per la Lega Nord un decennio di approdo governativo (nel 1994), di rottura con il leader del centrodestra Silvio Berlusconi e della creazione di una ‘parentesi’ secessionista, quando il Carroccio acquisisce l’odierna dicitura Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, che diventerà il nuovo nome del movimento con la modifica dello statuto, approvata il 15 febbraio 1997. Abbiamo già visto negli articoli precedenti (1) che è in quella fase di relativo isolamento che la Lega, se da una parte riscopre le sue radici movimentiste e populiste degli anni ’80 – quando le leghe regionali erano percepite come fenomeni folkloristici che riuscivano a malapena a entrare in qualche consiglio comunale, magari leggendo proclami in lingua vernacolare – con nuove simbologie identitarie, come il Sole delle Alpi verde su bandiera bianca, dall’altra si rinsaldano i rapporti con una certa area dell’estrema destra.
È nel decennio successivo, quando tra il 1999 e il 2000 il Carroccio si avvicina nuovamente alla coalizione di centrodestra, rinsaldando i rapporti con Berlusconi e Forza Italia, partorendo la Casa delle Libertà, la nuova alleanza tra Lega, Forza Italia, An e centristi che muove i primi passi già alle regionali del 2000, che la Lega cerca di costruire sulle pagine culturali delle sue riviste, dall’organo ufficiale La Padania fino a testate collaterali come Terra Insubre o il periodico di Oneto, una sorta di controstoria del periodo risorgimentale e della fase successiva alla rivoluzione francese. E nel farlo rinsalderà culturalmente i suoi legami già esistenti con una certa estrema destra e con l’integralismo cattolico, critico verso un fenomeno percepito come massonico, giudaico e sovversivo.
L’obiettivo di questo filone revisionista non è affatto legato alla metodologia gramsciana sull’analisi del Risorgimento (2), ma consiste nel contestare alle radici la cultura avversaria, che per la Lega ha da sempre annichilito le identità locali. I festeggiamenti del 17 marzo, festa dell’Unità d’Italia, vengono visti dall’organo leghista come i festeggiamenti di un “golpe” che sacrificava la festa del popolo e degli alpini per la festa della monarchia, “un’offesa alla memoria e un insulto alla storia” (3). Visto che l’orizzonte identitario leghista si forgia attorno al mito della Padania e delle piccole patrie declinate in senso regionale, è su questo che si basa il suo senso di appartenenza. Saranno quindi le storie locali o – usando il linguaggio leghista – le storie delle varie entità regionali che fondano lo Stato italiano a dover diventare l’“oggetto di feste preesistenti risemantizzate o di feste create ex novo, assunte come contrappeso della festa del 17 marzo” (4).
La stigmatizzazione del Risorgimento è evidente sin dagli albori delle leghe regionaliste, si consolida dopo l’unità dei vari soggetti localisti nella Lega Nord e si rafforza durante la fase secessionista, quando nasce il mito della Padania, che avendo bisogno, come ogni mito nazionalista, di simboli capaci di creare un forte senso di appartenenza, si nutre di rivisitazioni revisioniste del passato preunitario e della stessa epopea risorgimentale.
Come nel XIX secolo – per lo storico Eric Hobsbawm il secolo della “invenzione delle tradizioni” – gli Stati assoldano letterati, eruditi e accademici per forgiare discorsi di memoria atti ad animare una storia condivisa con lo scopo di “inventare” – e non semplicemente “inventariare”, visto che “all’alba del XIX secolo, le nazioni non hanno ancora storia […]. Alla fine del secolo [però], esse sono in possesso di un racconto continuo” (5) – entità nazionali che si ritenevano eterne, essenze precedenti a ogni esistenza, partorienti però una mitologia identitaria, anche la Lega Nord, ora con un piede nelle istituzioni l’altro all’opposizione, farà qualcosa di simile: per legittimare l’esistenza di una patria padana decostruirà l’identità italiana forgiatasi con il Risorgimento, partendo anche dai popoli autoctoni preromani – i celti e in parte i longobardi – esaltando il Medioevo delle patrie locali, alternativa al Risorgimento che le cancellò omologandole entro un unico contenitore.
Il ricorso di simboli già citati come il Sole delle Alpi, il fazzoletto e la camicia verde, l’invenzione dei giochi padani, della propria nazionale di calcio, l’elezione di Miss Padania, pur sminuite dai mass media come mero folklore – idem per l’associazionismo padano – hanno come scopo quello di creare un sentimento di appartenenza comune fondato sull’identità padana, una casa “dove preparare le condizioni per ritrovare le nostre radici, ricostruire la nostra identità” (6).
Fenomeno non limitato al Risorgimento: definendo mendace l’identità unitaria italiana, alcune testate fiancheggiatrici ricostruiscono in maniera mitizzata il passato celtico-insubrico e anti-romano del nord Italia e la civiltà longobarda, descrivendo l’Editto di Rotari come un “capitolo decisivo della storia del diritto europeo” (7) più di quello romano; si loda il periodo comunale, dal giuramento di Pontida del 4 aprile 1167 dei comuni della Lega lombarda (ma i documenti coevi la chiamano Societas Lombardorum) alla battaglia di Legnano fra Comuni lombardi e il Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa – appropriandosi di uno degli eventi più osannati dalla retorica risorgimentale, elogiato da Carducci, celebrato e diffuso nei circoli anti-austriaci dai versi di Giovanni Berchet (8), ripreso dai patrioti lombardi nel 1848, riferimento dei neoguelfi e utilizzato addirittura dai cattolici rispettosi del non expedit dopo la presa di Porta Pia – fino a usare il Va pensiero come inno leghista contro Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli, dipinto come un “ladro, per aver copiato le strofe da Anastasio Cannata, un frate amante della poesia che gli aveva offerto rifugio” (9).
Il Risorgimento è visto come figlio delle manovre della massoneria anglo-francese ai danni dei tradizionali Stati d’Europa, un punto d’incontro con la pubblicistica del radicalismo di destra: “[L]’unità d’Italia era una specie di Risiko, giocato al Tavolo Verde delle Logge” (10), “un gioco complesso e a tratti, persino, fortuito di azioni diplomatiche, trame massoniche, intrallazzi indicibili e iniziative militari” (11). Le figure chiave del Risorgimento sono demonizzate: Garibaldi è un “avventuriero”, un “cosmopolita massonico al soldo degli inglesi”, reo d’aver rovesciato uno dei “modelli migliori di onestà regia in Europa, devoto alla chiesa”, i Borboni, un “negriero e commerciante di schiavi” (12); nelle fiction Rai sul Risorgimento – elogiate in maniera eccessiva dall’agiografia di Stato, qui denigrate per valorizzare la natura fittizia dei ‘padri’ dell’Italia – “Vittorio Emanuele mal sopportava Cavour”, Mazzini, di cui si sottolinea l’affiliazione massonica, “era un pericolo pubblico”, il cattolico Gioberti invece un idealista (13), mentre Anita Garibaldi è dipinta come una donna dai facili costumi (14).
La Lega Nord arriverà ad appropriarsi delle Cinque giornate di Milano del 1848, decontestualizzando, destoricizzando ed elevando il tutto a insorgenza localista, non evidenziandone la portata europea ma, pur non negando la valenza anti-austriaca dell’evento (15), elogiando l’episodio come epopea prettamente cittadina e milanese (16).
Ergo, si elevano le Cinque giornate di Milano e Carlo Cattaneo – eletto a padre del federalismo, dimenticando la sua affiliazione alla massoneria – pensando alla battaglia di Legnano e ad Alberto da Giussano. Durante le celebrazioni del 150º dell’Unità d’Italia, l’unico che sembra esser rivalutato, paradossalmente, è Camillo Benso di Cavour, che secondo lo scrittore Arrigo Petacco “considerava l’unità una corbelleria […] e che era stato costretto a ricredersi quando Garibaldi gli aveva offerto su un vassoio il Regno delle Due Sicilie” (17).
Lo stesso dicasi per l’esaltazione delle insorgenze antifrancesi, rivolte popolari scoppiate in Italia negli anni tra il 1796 e il 1814 nei territori occupati dalle armate della Francia rivoluzionaria, organizzati nelle cosiddette Repubbliche sorelle, create con la partecipazione dei simpatizzanti filo-francesi e giacobini locali. Per il Carroccio tali insorgenze sanfediste – spesso supportate dalla nobiltà locale e dal clero – prefigurano la battaglia di libertà affrontata dai popoli della Padania per affrancarsi dal giogo romano-centrico, e vengono comparate con la rivolta antigiacobina nella Vandea francese, mito, tra l’altro, di Irene Pivetti, ex presidente della Camera eletta in quota leghista. Ovviamente la stampa del Carroccio analizza solo gli accadimenti del nord della penisola, ma il fenomeno porterà certi settori dell’area post missina – quelli che si rifanno alla destra sociale e precedentemente alla figura di Pino Rauti – a rivalutare addirittura il sanfedismo nel mezzogiorno italiano, una sorta di rivincita, su mensili politico-culturali come Area, L’Italia settimanale e Secolo d’Italia.
Il minimo comune denominatore fra Lega e radicalismo di destra: fra Localismo e Tradizione
Esiste un minimo comune denominatore antimoderno fra Lega Nord e radicalismo di destra su tali questioni storiografiche. In un ambiente dove è forte l’inclinazione cospirazionista, dove è facile somatizzare i processi storici specie se figli del 1789 e dei suoi valori, percepiti ovviamente come disvalori, tutti gli eventi “violatori dell’ordine tradizionale, a cominciare dalla Rivoluzione francese, sono addebitati a menti diaboliche organizzate (sette segrete massoniche, circoli finanziari, gruppi di rabbini in odore di miracoli e specialisti della Quabbalà e di altri testi esoterici ecc.) le quali agiscono nell’ombra”, osserva lo storico Francesco Germinario (18).
Julius Evola, filosofo tradizionalista, arrivò a elogiare il feudalesimo, in cui la cittadinanza non si fondava sulla volontà popolare, visto che il nazionalismo “nato presso alle rivoluzioni che hanno travolto i resti del regime aristocratico-feudale […] esprime dunque un puro ‘spirito di folla’, è una varietà dell’intolleranza democratica per ogni capo che non sia un mero organo della ‘volontà popolare’, in tutto e per tutto dipendente dalla sanzione di questa. Così noi vediamo facilmente che fra nazionalismo e anonimato alla sovietica o all’americana, in fondo vi è solo una differenza di grado: nel primo il singolo è ridissolto nei ceppi etnico-nazionali d’origine, nel secondo vien sorpassata la stessa differenziazione propria a questi ceppi etnici, e si produce una più vasta collettivizzazione e disintegrazione nell’elemento massa” (19).
La decadenza è accelerata per esempio in era medievale dalla rivolta dei comuni contro l’Impero – al contrario, un mito per la Lega – quando la Chiesa cattolica benedì la rivolta, evento che “esprimeva semplicemente l’insurrezione del particolare contro l’universale, in relazione con un tipo di organizzazione sociale rifacendosi non più alla casta guerriera, ma addirittura alla terza casta, al borghese e al mercante che usurpando la dignità del reggimento politico e del diritto alle armi, fortificano le loro città, innalzano i loro vessilli, organizzano i loro eserciti contro le coorti imperiali e l’alleanza difensiva della nobiltà feudale. Qui si inizia il movimento dal basso, il sollevarsi della marea delle forze inferiori” (20).
Vi è una differenza fra leghismo e destra radicale: se i primi esaltano l’epopea medievale della Lega lombarda come paradigma dell’autonomismo settentrionale, i secondi lo interpretano come il trionfo della decadenza mercantilistica e materialista iniziata “con la rivolta dei mercanti lombardi contro il Sacro Romano Impero nel XII secolo, in nome solamente di un mero interesse economico” (21). Il 1848, i moti precedenti e l’unificazione d’Italia rappresenterebbero una tappa fondamentale di quegli avvenimenti antitradizionali che, con la rivolta dei comuni lombardi, dissacrarono l’Impero conducendo l’Europa alle rivoluzioni del XVIII secolo (americana e francese) e a quella bolscevica del 1917; e dietro le quinte agivano ebrei o massoni quali capi dei movimenti rivoluzionari, coadiuvati dai gojm (gentili) appartenenti per lo più alla classe borghese o membri di una nobiltà decaduta perché contaminata dall’Illuminismo, antenato dell’internazionalismo marxista (22).
Da queste analisi la redazione di Orion concepisce “il Risorgimento come una delle tante creature del giudaismo sionista per mano della massoneria […] a cominciare dal massone Mazzini – allevato preso la sovversivissima Loggia di Londra – per finire a Garibaldi con tutto quello che sta in mezzo. Il fatto che lo ‘spirito nazionalistico’ abbia animato la lotta di tanti camerati che hanno persino dato la vita significa tutto e non significa nulla, così come è un nonsenso il moderno filonazionalismo e il nascente filoregionalismo che contraddistingue alcune formazioni politiche” (23).
Si contrapporrà al Risorgimento massonico il Medioevo, una “resistenza alla sovversione moderna” (24), contro la “destra patriottarda, coccardiera e cripto-risorgimentale” – il Msi, per esempio – che fonda l’idea di cittadinanza sulla democratica volontà popolare: come alternativa il radicalismo di destra propone di “aggregare gli ‘affini’ al di sopra dei […] particolarismi nazionali e culturali per ricomporre, anzi, rifondare un ordine politico strutturato sulla base di prospettive continentali e radicato nei comuni valori della Civiltà indoeuropea” (25).
Come nella pubblicistica leghista e addirittura post missina si elogiano poi le insorgenze popolari “contro i giacobini e contro le armate napoleoniche vengono viste […] come una resistenza naturale e spontanea alla modernità, la quale cominciava a proclamare quel progetto ideologico che mira a realizzare una umanità senza radici, il cui unico punto di riferimento è la mitologia del progresso”(26). Una lotta antimondialista ante litteram fatta a colpi di forcone.
1) Cfr. Matteo Luca Andriola, Alle radici del fascioleghismo. Gli anni ‘90: il Carroccio e la destra radicale, Paginauno n. 46/2016
2) Antonio Gramsci caldeggiava “la pubblicazione ed esame dei libri e delle memorie degli antiliberali e antifrancesi nel periodo della Rivoluzione francese e di Napoleone e reazionari nel periodo del Risorgimento […], in quanto anche le forze avverse al moto liberale furono una parte e un aspetto non trascurabile della realtà”. A. Gramsci, Il Risorgimento, in Quaderni dal carcere, n. ed. riveduta e integrata a cura di V. Gerratana, Editori Riuniti, 1977, p. 164
3) R. M., Il ‘golpe’ sul 4 novembre, La Padania, 19 febbraio 2011 e R. Ciambetti, Festeggiare il Regno Sabaudo? Vergogna, La Padania, 20-21 febbraio 2011
4) A. Di Qual, Revisionismo leghista a 150 anni dall’unità d’Italia, Italia contemporanea, n. 274, aprile 2014
5) A.-M. Thiesse, La creazione delle identità nazionali in Europa, Il Mulino, 2001, p. 127
6) Padanità, a. I, n. 0, marzo 1998, p. 1
7) E. Percivaldi, Il diritto Longobardo, barbaro o civile, Terra Insubre, a. VI, n. 18, 2001
8) ll giuramento di Pontida di G. Berchet, pubblicato a Parigi nel 1829 nella raccolta Le Fantasie, è oggi riprodotto nel sito del Movimento giovani padani: cfr. http://www.giovanipadani.leganord.org/articoli.asp?ID=5260, URL consultato il 2 maggio 2015
9) Cfr. Mameli, primo ladro della storia d’Italia. Risorgimento, l’altra verità, La Padania, 2 settembre 2009
10) G. Reguzzoni, 150 anni: meglio pensare, prima di festeggiare, La Padania, 5 marzo 2011
11) G. Reguzzoni, Plebisciti 1860. La grande truffa, La Padania, 16-17 gennaio 2011
12) La Padania, luglio 2007. L’articolo si riferisce all’episodio in cui Garibaldi aveva accettato di condurre una nave con lavoratori cinesi dal Perù a Hong Kong per conto di un armatore genovese, anche se non è confermato da fonti certe storiografiche
13) P. Franco, MassacreRai la storia, La Padania, 8 gennaio 2011
14) Quell’inutile fiction su Anita, La Padania, 28 gennaio 2011
15) Cfr. Polemica a Milano. V Giornate “tricolori”? Il Carroccio frena: prima parliamone, La Padania, 11 gennaio 2011
16) Cfr. Cinque Giornate, Milano celebra la sua epopea, La Padania, 16 marzo 2011
17) A. Petacco, Cavour considerava l’unità d’Italia una corbelleria, La Padania, 6 gennaio 2011
18) F. Germinario, Estranei alla democrazia. Negazionismo e antisemitismo nella destra radicale italiana, BFS, 2001, p. 18. Sulla massoneria e sulla sua evoluzione in senso ‘sovversivo’, si veda L. Castro, La massoneria tra tradizione e sovversione, in Heliodromos, nuova serie, nn. 19-20-21, marzo 1983-giugno 1984
19) J. Evola, Due facce del nazionalismo, La Vita Italiana, a. XVIII, n. 216, marzo 1931, p. 232
20) J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno [1934], Edizioni Mediterranee, 1993, p. 374
21) P. Rada, recensione a P. Rauti e R. Sermonti, Fascismo e Mezzogiorno, Settimo Sigillo, 1990, Avanguardia, n. 139, estate 1997
22) “[…] il risorgimento – scrive Evola – non fu un movimento nazionale che per accidente; esso rientrò nei moti rivoluzionari determinatisi in tutto un gruppo di Stati in conseguenza dell’importazione delle idee della rivoluzione giacobina. Il ‘48 e il ‘49, per esempio, ebbero un identico volto nei movimenti italiani e in quelli che si accesero a Praga, in Ungheria, in Germania, nella stessa Vienna asburgica, in base a un’unica parola d’ordine. Qui si ebbero semplicemente tante colonne dell’avanzata di un unico fronte internazionale, comandato dall’ideologia liberaldemocratica e massonica, fronte che aveva anche i suoi dirigenti mascherati”. J. Evola, Gli uomini e le rovine, Settimo Sigillo, 1990, pp. 117, 118
23) Uno scivolone immaginario, n. f. [ma attribuibile a M. Murelli], Orion, n. 20, maggio 1986. Un concetto tutt’altro che nuovo: basti sfogliare altre testate affini o quelle del Centro studi Ordine nuovo per veder descrivere nella stessa maniera negativa Mazzini e Garibaldi, il primo violentemente contestato perché il suo “populismo” “esalta il moto ascensionale delle plebi e guarda con soddisfatto disprezzo a quello discendente delle aristocrazie”. M. Franchini, Il ‘populismo’ di Mazzini è legato al pensiero democratico, Ordine Nuovo, a. II, n. 10-11, ottobre-novembre 1956. Cfr. L. Romano, Garibaldi, in Heliodromos, nuova serie, n. 18, gennaio-febbraio 1983
24) Cfr. P. Andriani, Medio Evo: magnifica resistenza alla sovversione moderna, Ordine Nuovo, a. II, n. 10-11, ottobre-novembre 1956
25) M. Lattanzio, Equivoche ‘introduzioni’, recensione ad A. Romualdi, Il Fascismo come fenomeno europeo, con un’Introduzione di M. Veneziani, Settimo Sigillo, 1984, Orion, n. 16, gennaio 1986, p. 53
26) Recensione a L. Tadolini, Contro il Tricolore, Edizioni all’insegna del Veltro, Aurora, a. VI, n. 2, febbraio 1994