Don’t Look Up di Adam McKay. Il film che meglio descrive il nostro tempo, con tragedie ribaltate in farse e farse in tragedie
A poco più di due settimane dall’uscita nelle sale cinematografiche, il 24 dicembre 2021 approda su Netflix Don’t Look Up – l’ultima fatica di Adam McKay, regista e sceneggiatore de La grande scommessa (2015)e Vice (2018) – scatenando subito un acceso dibattito in seno al pubblico e alla critica, tanto che a gennaio 2022 diventa il secondo film più visto di sempre sulla piattaforma di streaming fondata da Scotts Valley. Tra i detrattori del film, le condanne più battute riguardano la sua presunta banalità, dovuta a un impianto generalmente troppo didascalico. Tuttavia, leggendo tra le righe – o anche solo le righe – di molte di tali stroncature, si capisce come, più che l’aspetto formale dell’opera, a disturbare sia il suo contenuto. Del resto, è ovvio che nelle analisi degli intellettuali organici al sistema si rispecchi il punto di vista del mondo politico ed economico – proprio quello messo sotto accusa da McKay in rapporto a praticamente tutte le contraddizioni di cui è gravida la società occidentale.
Si pensi, per esempio, a quanto scrive David Rooney sull’Hollywood Reporter: “[Don’t Look Up] si guarda troppo allo specchio e vuole far sentire i suoi spettatori superiori a quegli amorali conservatori, quei liberali che pensano solo a se stessi e quei capitalisti avidi e insaziabili”. Oppure alla definizione tanto sprezzante quanto fuori fuoco che ne ha dato Peter Debruge su Variety: un Armageddon di sinistra (1). Per quanto riguarda i critici nostrani, Gianmaria Tammaro su La Stampa ci ricorda che esistono almeno cinquanta sfumature di grigio, prima di porsi una domanda degna di Amleto: “[…] c’è una semplificazione eccessiva della posizione delle due parti, del sistema politico e della società. Un film che nasce per mettere a nudo contraddizioni e assurdità non può limitarsi a tranquillizzare e a percorrere la strada più semplice, quella della battuta urlata e prevedibile, del potere brutto e cattivo, e di una verità che accoglie e riunisce tutti i giusti (ma chi sono, poi, i giusti?)” (2).
Inoltre, non sono mancati quanti hanno puntato il dito sui cachet astronomici riservati agli attori – trenta milioni di dollari per Leonardo Di Caprio e venticinque per Jennifer Lawrence – nonché sul fatto che il film sia stato prodotto e distribuito da Netflix, killer di sale cinematografiche e una delle colonne portanti di quel sistema massmediale contro cui si scaglia gran parte del j’accuse di McKay. Peccato che, al netto di tutto ciò, Don’t Look Up resti probabilmente il film che meglio descrive il nostro tempo con tutto il suo corredo di tragedie ribaltate in farse e farse in tragedie.
Quando l’astrofisico Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) prende a calcolare le effemeridi – tabelle da cui vengono desunti i valori di diverse grandezze astronomiche all’interno di un preciso arco di tempo – relative a una cometa appena scoperta dalla dottoranda Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), fa una scoperta sconvolgente: il corpo celeste – dal diametro stimato tra i cinque e i nove chilometri – impatterà direttamente contro la Terra entro sei mesi e quattordici giorni. Subito viene allertata la dottoressa Calder (Hettienne Park) – a capo della Nasa – senonché quest’ultima li fa attendere diversi minuti al telefono e, quando finalmente risponde, si lamenta del fatto che l’hanno costretta a lasciare una riunione in cui doveva comunicare al suo team la perdita di otto milioni di finanziamento. Vengono così introdotti sottotraccia alcuni elementi che rivestiranno in seguito un’importanza centrale nel film: lo spreco di tempo e l’assoluta priorità accordata al denaro anche rispetto alla sopravvivenza dell’intera umanità e di qualsiasi altra specie vivente a fronte di un evento apocalittico…
Continua a leggere acquistando il numero 76
copia digitale PDF: 3,00 euro
copia cartacea: 10,00 euro