Domenico Corrado
Andrea Papoff e Gianluca Rubini sono due militanti del centro sociale Sos Fornace di Rho, il territorio dove materialmente sorgeranno i padiglioni che ospiteranno l’Esposizione, e che ha subìto la maggior parte delle trasformazioni messe in moto da Expo 2015. Dal marzo 2008, quando Milano ha vinto la candidatura della ‘sfida Expo’, Sos Fornace è impegnata a denunciare la logica del grande evento e gli appetiti che si sono raccolti intorno alla città meneghina. Tangenti, turbative d’asta e mafia free, e poi: devastazione dell’ambiente e del territorio, repressione del dissenso e sfruttamento e precarietà del lavoro. Insomma, dieci anni di grandi aspettative e promesse secondo cui Milano doveva diventare la capitale mondiale dell’alimentazione con il suo orto botanico e i suoi dibattiti, e “rilanciare l’economia e l’orgoglio nazionale” di un’Italia che “ce la può fare”. E invece, tra indagini della magistratura, arresti e ritardi non rimane più nulla, tranne la retorica ormai scadente e la beffa del lavoro gratuito di 18.000 persone: l’unica reale opportunità messa in campo da Expo e di cui potranno godere i cittadini del territorio.
“Senza reddito non si vive, gratis non si lavora”. Con questo slogan, il giugno scorso, la Fornace ha inaugurato la campagna di boicottaggio del reclutamento del lavoro gratuito per Expo 2015. Che cosa contestate?
A. Papoff: Expo 2015 aveva promesso 70 mila posti di lavoro, ma a meno di un anno dall’inizio dell’evento rimangono solo stime ottimistiche a cui ormai non crede più nessuno. Secondo il commissario unico di Expo 2015 Giuseppe Sala, i posti di lavoro retribuiti saranno tra i 15 e i 16 mila. Di questi, 4 mila saranno creati dai Paesi partecipanti e 9 mila dalle aziende che lavoreranno nei padiglioni, a cui vanno aggiunte 195 posizioni di stagisti. Tutti contratti precari e a tempo determinato, che difficilmente, malgrado le promesse di trasformarli in opportunità di lavoro a lungo termine, verranno prolungati. Ad oggi, al di là delle buone intenzioni, i posti creati realmente sono 650 – le posizioni che andranno a completare lo ‘Staff Expo’, ovvero coloro che ricopriranno i ruoli di supervisione e gestione nelle attività logistiche e organizzative dell’evento – mentre gli altri 16 mila che dovrebbero essere creati dagli appaltatori rimangono ancora nell’ambito delle ipotesi. Tutte cifre astratte che stridono con un Expo che non ha mai avuto un vero interesse a mettere in campo un progetto credibile di rilancio dell’occupazione.
Ci dicono che vogliono rilanciare l’economia, e lo intendono fare attraverso un evento che per sua natura, essendo di durata limitata, non può che offrire possibilità di lavoro precarie; vogliono rilanciare l’economia e l’unica opportunità che offrono è lavoro non retribuito che serve solo a inverdire il curriculum e ad alimentare la politica dell’aspettativa e della precarietà. Infatti buona parte dell’evento verrà sostenuto dal lavoro gratuito di 18.000 volontari, che nei sei mesi si avvicenderanno per un periodo massimo di due settimane nell’opera di assistenza e accoglienza dei visitatori, compito che normalmente viene affidato a stuart e hostess in cambio di una retribuzione.
È arrivato il momento di dire che le promesse di rilancio dell’occupazione con Expo sono solo menzogne, e per questo invitiamo tutte le cittadine e i cittadini e le forze politiche e di movimento a sostenere la campagna di boicottaggio contro il lavoro gratuito per Expo 2015.
Come funziona il sistema di reclutamento dei volontari e chi ne è responsabile?
A. Papoff: Expo 2015 spa, CSVnet (Coordinamento nazionale dei Centri di servizio per il volontariato) e Ciessevi Milano hanno siglato il “Programma Volontari per Expo”: in particolare Ciessevi accoglierà le candidature degli aspiranti ‘volontari’ occupandosi quindi dell’attività di intercettazione e orientamento dei lavoratori. La campagna di reclutamento dei 18.000 è iniziata il 16 maggio scorso con un convegno tenuto a Palazzo Reale di Milano in cui erano presenti, oltre al sindaco Pisapia, al commissario unico Giuseppe Sala e al direttore Risorse umane di Expo 2015 spa Davide Sanzi, alcuni rappresentanti del terzo settore e del mondo del volontariato: da Sergio Silvotti, in rappresentanza del Forum terzo settore e presidente della Fondazione Triulza, a Carlo Vimercati, presidente della Consulta nazionale comitati di gestione fondi speciali per il volontariato. Con questa ‘tavola rotonda’ è stata lanciata la campagna di comunicazione dedicata al “Programma di coinvolgimento dei cittadini e del terzo settore nelle attività dell’Esposizione Universale”, in cui il lavoro volontario viene presentato come un’opportunità per vivere la cittadinanza in modo attivo e per “trovarsi ogni giorno in oltre 145 Paesi del mondo”, come recita uno degli slogan.
Insomma, una grande fregatura mascherata da opportunità, appoggiata da una campagna mediatica e di marketing imponente che coinvolge e si insinua in tutti i meandri della società. Saranno previste diverse forme di partecipazione che possono impegnare da un giorno fino ai dodici mesi del servizio civile, anche se la maggior parte dei servizi di volontariato sono stati inquadrati in un progetto della durata di due settimane, più accessibile e meno impegnativo, in cui i volontari verranno ‘retribuiti’ con un Tablet. Per cui pensare – come ha dichiarato al convegno Stefano Tabò, presidente di CSVnet – a Expo “come un’opportunità unica per il volontariato italiano di espressione delle proprie caratteristiche di partecipazione, solidarietà e pluralismo”, oppure per “proporre nuovi modelli economici e sociali, inclusivi e solidali, che vanno al di là dei particolarismi e che richiamano tutti a una responsabilità personale e sociale di pensiero e azione”, è del tutto ipocrita e privo di fondamento. La verità è che con la scusa delle finalità filantropiche di Expo 2015 si introduce una forma di sfruttamento del lavoro, neanche a basso costo, ma addirittura gratuito!
Quale ruolo ricoprono i grandi nomi del terzo settore nel legittimare Expo 2015?
G. Rubini: Il modello Expo è fondamentalmente un’economia delle buone intenzioni, che attraverso la retorica di “Nutrire il Pianeta” giustifica il lavoro gratuito. Questo modello rinnova radicalmente il ruolo e il senso del terzo settore che si presta a queste operazioni di vero e proprio marketing in cui i progetti di rilancio dell’occupazione hanno un ruolo secondario rispetto all’appoggio mediatico che danno all’evento. Un appoggio che funge da giustificazione culturale e strategia comunicativa di Expo e alle sue politiche di precarietà. Un esempio? Quello della Società Civile, il padiglione situato all’interno della Cascina Triulza – uno dei pochi manufatti che rimarrà come lascito dopo la chiusura dei cancelli dell’Esposizione – in cui il terzo settore metterà in mostra, sotto il cappello di Fondazione Triulza, tutte le iniziative operanti in diversi ambiti della società civile con il fine di promuovere un’idea di sviluppo sostenibile, ovvero l’etica del capitalismo verde promossa da Expo. Un ossimoro in cui la ricerca di profitto da parte di un’azienda come San Pellegrino, che venderà le proprie bottigliette d’acqua a tutti i visitatori, potrà convivere con la distribuzione di acqua del rubinetto in modo gratuito, e questo perché diverse organizzazioni che hanno dato vita alla Fondazione hanno anche partecipato alla campagna referendaria del 2011 per L’Acqua bene comune, e quindi sarebbe stato quantomeno imbarazzante vendere solamente acqua della Nestlé – di cui San Pellegrino è un marchio – o di qualunque altra azienda.
Nel maggio scorso la multinazionale Manpower Group Italia e Iberia guidata da Stefano Scabbio ha vinto l’appalto del reclutamento e della formazione del personale che verrà impiegato nei lavori di gestione della logistica e della sicurezza durante i mesi dell’Esposizione. A che punto sono le selezioni, e cosa ne pensi dell’ingresso di un colosso del genere nella gestione di una questione cosi delicata?
G. Rubini: Da settembre il portale “Lavora con Noi” di Expo 2015 è andato in pensione per fare spazio al nuovo creato ad hoc: “ManpowerGroup4expo”. Una nuova veste che non cambia le carte in gioco. Tutte le candidature inviate precedentemente al sito di Expo 2015 sono state girate a Manpower, che si impegna a reclutare 650 lavoratori che saranno assunti con contratti d’apprendistato e a tempo determinato: 59 tecnici di gestione, 296 area team leader, 298 operatori grandi eventi. A questi si devono aggiungere i 195 tirocinanti dello “Youth Training Program”, che avranno diritto al rimborso spese e ai buoni pasto. La selezione dei 650 è partita lo scorso 8 settembre, e i primi colloqui dovrebbero iniziare entro fine settembre. A quanto riporta il sito di Manpower, lo stipendio degli apprendisti sarà intorno ai 1.100 euro netti, mentre i lavoratori assunti a tempo determinato guadagneranno di più a seconda del livello d’esperienza.
Per Expo affidarsi a un’agenzia come Manpower significa da una parte diminuire i costi, e dall’altra delegare la gestione di ogni possibile conflitto sociale che dovesse scatenarsi sul posto di lavoro. Un sodalizio che alimenta un circolo vizioso in cui Expo 2015 spa recita la parte del vitello d’oro a cui tutti potremo attingere, e la Manpower quella di un moderno ed efficiente ufficio di collocamento. Un sodalizio figlio di un meccanismo di lungo corso, che ha visto il settore pubblico affidare in modo sistematico la gestione dei servizi a terzi privati in nome dell’efficienza e della razionalità economica. Una manovra che ha cambiato il rapporto tra il pubblico e il privato, e che ha scatenato gli appetiti più eterogenei.
Quali sono quindi le rivendicazioni della campagna di boicottaggio?
G. Rubini: Nell’ottica generale vogliamo che le prestazioni non retribuite vengano pagate, eliminando nei fatti il sistema dei freejobs, e che queste 18.000 posizioni siano assegnate a chi sul nostro territorio un lavoro non ce l’ha, per porre un primo, parziale, tampone alla caduta di massa del reddito. Troppo alti sono stati i costi sociali, economici, ambientali scaricati sulla metropoli e in particolare su Rho, e come primo passo vogliamo che qualcosa torni in mano a chi questi costi li ha subiti e li sta ancora subendo. Intendiamo costruire una piattaforma di precari e disoccupati che occupi un ruolo sociale e politico forte sul territorio, puntando alla riappropriazione dal basso dei bisogni di una vita dignitosa, sempre con la prospettiva di una società il cui centro non sia il profitto ma le persone. Solo con l’organizzazione di una lotta che cresca gradualmente potremo incidere su queste novità infelici nel rapporto tra Capitale e lavoro e in generale sul corso degli eventi.
Abbiamo iniziato la nostra campagna nel giugno di quest’anno denunciando il ruolo di CSVnet nell’oliare la macchina del lavoro gratuito, e intendiamo attaccarne via via ogni ingranaggio affinché si costruisca una contestazione che sia in grado di trasformare il malcontento in rivendicazioni, obiettivi da conquistare gradualmente.
In conclusione possiamo dire che delle promosse di rilancio dell’occupazione ne rimane solo la beffa, e che Expo è stato uno strumento per legittimare, e testare, i possibili futuri cambiamenti dei rapporti di forza all’interno del mondo del lavoro. Cosa ne pensi?
A. Papoff: La retorica dei posti di lavoro, delle opportunità per il territorio si è sciolta a contatto con la realtà. Ciononostante, a tutti i livelli istituzionali si continua a parlare di cogliere le opportunità generate da Expo. L’unica opportunità offerta è stata quella di riformare il mercato del lavoro infliggendo un duro colpo ai diritti dei lavoratori. Mi riferisco al decreto Poletti – la prima parte del Jobs act – che ha generalizzato i contenuti dell’accordo sindacale del 23 luglio 2013 tra Expo 2015 e i sindacati confederali. In questo accordo venivano già previste deroghe significative ai contratti a termine e di apprendistato. Il decreto Poletti è andato oltre, abolendo le causali ai contratti a tempo determinato che servivano a impedire il ricorso abusivo a questo tipo di assunzione, e squalificando il piano ‘formativo’ previsto dai contratti di apprendistato.
Expo è stato inoltre un acceleratore di grandi opere, perché nella data del primo maggio 2015 hanno trovato un’ipotetica dead line in cui essere concluse. Dico ipotetica perché diverse opere incluse nel dossier di candidatura vedranno in realtà la luce solo dopo il mega evento. In più, Expo è stata la foglia di fico con cui giustificare la messa in cantiere a Milano di un nuovo quartiere, realizzato attraverso una speculazione edilizia su un’area agricola di oltre un milione di metri quadrati. Quindi sì, in conclusione sono d’accordo con te.