Lo confesso: sono stato un accanito consumatore di caffè (fino a venti al giorno) durante il servizio militare – il barista della caserma era un amico e come tutti quelli del mio scaglione ero depresso, data l’età avanzata in cui eravamo stati costretti a partire per ‘servire la patria’. Del periodo immediatamente successivo ricordo la gastrite sul filo dell’ulcera e gli sforzi tremendi per smettere contemporaneamente di bere caffè e fumare. Sono passati quarant’anni e bevo caffè in dosi omeopatiche oltre a sniffarne inebriato il profumo dalla tazza di mia moglie; il tabacco in compenso va e viene, seppure anche quello a dosi ridotte e con lunghi periodi di assenza. Ma non è questo il punto di oggi. La mia serendipity nello scoprire testi mi ha fatto imbattere in un godurioso volumetto del grande Carlo Boccadoro: Bach e Prince: vite parallele (Einaudi, 2021), che ha funzionato come una madeleine per il bambino che ero e che ascoltava a ripetizione dei brandeburghesi; e ha risvegliato anche il DJ che sono stato e che amava U Got the Look e Sign o’ the Times.
Dico subito che questo volume e il precedente, Analfabeti sonori (2019), sono a mio avviso fondamentali per una resistenza umana efficace contro l’analfabetismo musicale. Ma mentre il secondo è una sorta di manuale operativo sul come ascoltare e se del caso consumare la musica – ogni musica, nessuna esclusa – il primo è un manuale scientifico per fare piazza pulita di tutti gli opinionisti della musica, dai critici ufficiali agli scassapalle da bar. Carlo Boccadoro è innanzitutto un sopraffino compositore di musica contemporanea uscito dal conservatorio; collateralmente è anche uno dei più divertenti e competenti divulgatori musicali che abbia mai incontrato; da ultimo, ma solo da ultimo, è anche un musicologo. Soprattutto è un curioso e un non-accademico, anche se avrebbe tutti gli strumenti per esserlo. Per sua stessa ammissione ama la musica antica (da Bach all’indietro), e ama ancora di più il jazz e il rock in proporzioni decisamente crescenti a favore delle due ultime forme musicali. La curiosità è il detonatore per le sue ricerche. La tecnica della composizione invece è ciò che permette, a chi indaga, di scoprire com’è fatta una specifica composizione musicale. In questo senso chi studia composizione ha a che vedere con fatti, brutalmente concreti, che sono quanto di più lontano si possa immaginare dal risultato acustico della musica specifica che si analizza.
Detta in maniera più semplice: il 95% abbondante di ciò che viene detto sulla musica è opinione: il fan del tale gruppo o del tale cantante parla di null’altro che dei suoi gusti personali, assolutamente rispettabili ma altrettanto assolutamente opinabili, e si permette anche di perdersi in chiacchiere interminabili o addirittura in veri e propri litigi feroci con i sostenitori di altri artisti. Il critico musicale che per buonissima percentuale non solo non sa suonare uno strumento, ma non sa neanche leggere uno spartito, è di fatto sullo stesso piano dei fan. In più il critico si permette, di tanto in tanto, di inventare di sana pianta delle categorie dove collocare e catalogare la musica o il musicista che non entra nelle sua personale collezione di scatolette. Nelle loro opinioni c’è nulla che riguarda come il tale musicista ha composto il tale brano. Nulla che riguardi le circostanze di tempo e luogo, le eventuali pratiche musicali legate a fatti sociali o cerimoniali, nulla di musicologico. La musica per tutti costoro è un fatto accidentale, per giunta ridotto a complemento di arredo (per esempio i componenti del proprio HI-FI) o del proprio look estetico (per esempio le cuffie acustiche che isolano dal mondo hanno un significato diverso dagli auricolari). Pensate che esageri? Che cosa significa concretamente «Chi è il musicista o compositore che ti ha influenzato di più?» Di per sé avrebbe anche un senso, come domanda; fatto sta che chi deve rispondere non esce praticamente mai dalla vaghezza e le sue risposte sono un semplice ribattere la pallina nel campo dell’altro come a ping-pong: «Penso che il tale o la tale o il tal gruppo mi abbia influenzato». Il giornalista si guarda bene dall’affermare e chiedere conferma, o anche semplicemente ipotizzare, che secondo lui i riff di chitarra nel brano tale sono stati campionati o semplicemente rubati da un altro brano famoso. Guai! Si naviga nell’indeterminatezza. Ok, end of rant, perdonate lo sfogo.
Adesso: perché Bach e Prince: vite parallele? Mi sono andato a vedere la registrazione originale di una lunga intervista a Boccadoro…
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