A quale potere abbiamo consegnato le popolazioni dell’ex blocco sovietico dopo averle affrancate dal millantato ‘impero del male’? Nel 1989 della caduta del Muro di Berlino il mondo conclama il superamento dell’accezione monolitica dei poteri politici per consegnarsi al potere parcellizzato delle lobby economiche. Non essendo stata eradicata la piaga virulenta del sistema (il Sistema si abbatte, non si cambia) esso si è frammentato in una miriade di espressioni di potere interconnesse al sistema ulteriore del Capitale. Gurdjieffiani re del mondo gestiscono la competizione economica e l’operato dei governi. Fiancheggiano le industrie delle armi e quelle farmaceutiche. Pianificano, di conseguenza, guerre e pandemie. Depauperano moltitudini e torturano il pianeta. Come scrive Paolo Cacciari (Re Mida, Edizioni La Vela): “Il compromesso sociale tentato dal costituzionalismo postbellico e dalle carte internazionali sui diritti umani non ha retto all’urto neoliberale e neoliberista. La logica del capitale […] non concepisce limitazioni; né dell’estrazione di risorse vergini naturali, né dello sfruttamento del lavoro umano”. I falsi miti di progresso hanno artificializzato il mondo e alterato l’ontologia umana. Attraverso la loro diffusione capillare, le tecno-fedi contaminano industrie, ambiente, medicina, informazione, relazioni, e di conseguenza capacità autonomia di scelta e volere globali. Le più fosche proiezioni futuriste sono realtà poste in essere mediante sperimentazioni su vasta scala, tra il plauso funzionale dei nuovi potentati e la manipolazione dei popoli. La neo-divinità tecnologica ha soppiantato i credo eretti sull’idea di un “radioso avvenire”, in quanto il radioso avvenire – il migliore dei mondi possibili – è adesso e qui. Il passato ideologico è vetusto – il vecchio Dio è morto e il sol dell’avvenire tramontato – né più né meno che il passato merceologico. Soppiantato dal turbo-consumismo, dai flussi e riflussi di una tecnologia digitale quintessenza quotidiana.
Se il presente è da brividi, il futuro un’ipotesi: l’analisi del sociologo Vincenzo Susca (Tecnomagia. Estasi, totem e incantesimi nella cultura digitale, Mimesis, 2022) si radica come endoscopia esatta della fine globale. La tecnomagia come “danza sulle rovine”, come “estasi nel cuore della distopia”. Sì, perché i piani di occupazione del mondo tracciati dai demiurghi del capitalismo tecnologico sono editti subliminali, coattazioni di massa realizzate attraverso l’attrazione ipnotica di spot pubblicitari estesi ai telegiornali e ai tweet della nuova politica, così da favorire la spontanea (?) adesione al pensiero e all’agire unici della neo-massa spettatoriale (persino della propria vita). L’ego-referenzialità del modello economico capitalista aliena l’essere umano da se stesso, colonizzando la salute psicofisica della Terra attraverso il falso mito dello sviluppo e del progresso tecno-scientifico senza limiti.
L’attualità ci sbatte in faccia che siamo a un passo dal punto di non ritorno. Nel milieu della dittatura liberista, la reviviscenza della consapevolezza sociale riguarda anche in primo luogo la riappropriazione di un immaginario supino al sistema di potere. Lo diceva anche Lenin: sognare è necessario, ma nel modo giusto. Che non è certo quello distraente-edulcorato proposto dal sistema mediatico e pubblicitario. Se sottratto alla pervasiva gestione dell’Autorità, l’immaginario (tutto ciò che attiene all’immateriale – arte, cinema, letteratura fantastica, persino la semplice fantasticheria a occhi aperti) – potrebbe costituire in potenza veicolo di affrancamento. Nel primo Zombi di George Romero (1) l’archetipo del non-morto deroga dalla propria accezione orrifica, convertendosi nella configurazione politica del semi-vivo, cioè – in emblema – ingranaggio interno alla catena produttiva. E come scrive Slavoj Žižek, persino nel mediocre Essi vivono di John Carpenter “intravedi una dittatura nella democrazia, l’ordine invisibile che sostiene la tua apparente libertà”.
Questa è la sintesi del contesto su cui tace la surrogata e presunta canzone d’autore di adesso. Morta vivente tra i morti viventi in quanto finita col finire della Storia sociale (negli Ottanta del Novecento). Continuano a chiedermi i nomi di epigoni e di eredi dei cantautori ‘classici’, nomi che non faccio e non ci sono. Il genere cantautorale andrebbe ormai storicizzato in quanto privo del suo collante civile. Nel deserto delle coscienze e della musica attuale, Davide Giromini scrive benissimo, rema sui generis e controvento, e in quanto controvento non è espressione di alcuna reviviscenza cantautorale: seguono appunti ispirati (d)alle sue utili ballate post-cantautorali di fine comunismo nell’evo svigorito del neoliberismo…
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