Valzer con Bashir di Ari Folman. Sabra e Shatila ieri, Libano e Gaza oggi, il passato che non passa
Beirut Ovest, 16-18 settembre 1982. I profughi palestinesi nei campi di Sabra e Shatila subiscono un eccidio da parte delle Falangi Libanesi – Katāʾeb in arabo – milizia cristiano maronita di estrema destra, fondata nel 1936 da Pierre Gemayel in seguito a una sua entusiastica visita alla Germania nazista; milizia che sarebbe diventata presto uno dei principali alleati di Israele sul territorio libanese, insieme all’Esercito del Libano del Sud di Sa’d Haddad, anch’esso presente al massacro. Ancora incerto il numero delle vittime, tutte civili, dal momento che i guerriglieri dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) si erano già ritirati da Beirut Ovest, dopo un assedio di quasi tre mesi da parte dell’esercito di Tel Aviv: si va dalle stime al ribasso degli israeliani, alcune centinaia di morti, a quelle probabilmente al rialzo dei dirigenti palestinesi, oltre 2.000 (1).
Tra i motivi per cui Yasser Arafat, all’epoca comandante dell’OLP, temeva di lasciare Beirut Ovest, c’era appunto la preoccupazione per la sorte di coloro che sarebbero rimasti all’interno dei campi profughi in seguito alla partenza dei combattenti; e solo dopo che Philip Habib, l’inviato speciale di Ronald Reagan in Libano, ottenne l’assicurazione da parte di Menachem Begin – all’epoca primo ministro di Israele – che il suo esercito non sarebbe entrato in quel settore della città, nonché l’assicurazione da parte del neo presidente del Libano, Bashir Gemayel, figlio di Pierre, eletto il 21 agosto 1982, che i profughi non avrebbero subìto ritorsioni da parte delle Falangi, Arafat si decise a lasciare Beirut, dove, nel frattempo, era giunta una forza multinazionale, composta da Usa, Francia e Italia, con lo scopo ufficiale di controllare le operazioni.
Senonché il 14 settembre Bashir Gemayel viene ucciso da un’esplosione nel quartier generale delle Falangi a Beirut Est, insieme ad altri ventisei dirigenti del partito. Da qui la rappresaglia delle sue milizie contro i profughi palestinesi a Sabra e Shatila, per quanto non vi fosse alcuna prova del fatto che l’OLP fosse coinvolto nell’attentato; questo non fu mai rivendicato da alcuno, e ancora oggi non è possibile stabilire con certezza chi abbia messo la bomba. Bashir Gemayel, del resto, aveva molti nemici: oltre ai palestinesi, i servizi segreti siriani, per conto dei quali, secondo i falangisti, un armeno avrebbe svolto il lavoro sporco; l’ex presidente Suleiman Frangie, in carica dal 1970 al 1976, il quale avrebbe vendicato così l’assassinio del figlio Tony, della nuora e del nipote, avvenuto nel 1978 per mano delle Katāʾeb nel contesto di una lotta di potere in seno al mondo cristiano maronita; addirittura, ipotesi ventilata sempre dai falangisti, gli israeliani, a causa del rifiuto di Bashir Gemayel – quello che avrebbe dovuto essere l’uomo di paglia di Begin in Libano – a firmare un trattato formale di pace con il loro Paese.
Qualunque sia stata la mano che ha ucciso Gemayel, il massacro di Sabra e Shatila si pone tuttora quale tragico emblema delle sofferenze di un popolo sottoposto a un esodo forzato fin dal 1948, anno della creazione dello Stato di Israele, quando migliaia e migliaia di palestinesi furono costretti ad abbandonare la propria terra natia alla volta del Libano, della Siria, della Giordania. Ad affrontare il tema in ambito cinematografico ci ha pensato Ari Folman, il quale nel 1982 si trovava a combattere in Libano tra le fila dell’esercito israeliano ed è stato diretto testimone dell’eccidio. Ma prima di entrare nel dettaglio del suo film di animazione, Valzer con Bashir (2008), sarà bene, per una maggiore comprensione, definire il contesto storico – seppure in estrema sintesi…
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