Il neoliberismo trasforma la sicurezza in merce, lo Stato perde il monopolio della forza e l’ONU privatizza le missioni di pace: storia di un’ascesa favorita dal diritto internazionale
“Esprimiamo serie preoccupazioni per il reclutamento, il finanziamento, l’uso e il trasferimento di mercenari e attori legati ai mercenari dentro e fuori le diverse situazioni di conflitto in tutto il mondo. In molti casi, la presenza di questi attori privati prolunga il conflitto, agisce come fattore destabilizzante e mina gli sforzi di pace. Gli esperti sono anche preoccupati dal fatto che il reclutamento e l’invio di mercenari e attori legati ai mercenari nelle zone di conflitto esacerba il rischio che i conflitti si diffondano in altre regioni. […] Il Gruppo di Lavoro ha ampiamente evidenziato i modelli di gravi abusi e violazioni commessi impunemente da questi attori, come esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, stupri, violenze sessuali e di genere, detenzioni arbitrarie e torture.”
Sono parole del Working Group on the use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the right of peoples to self-determination (“Gruppo di Lavoro sull’uso dei mercenari come mezzo per violare i diritti umani e impedire il diritto dei popoli all’autodeterminazione”, indicato d’ora in poi con ‘Gruppo di Lavoro’), istituito nel 2005 dalla Commissione per i Diritti Umani dell’ONU; parole espresse nella dichiarazione rilasciata il 4 marzo 2022 (1), che si conclude ribadendo, per l’ennesima volta: “Tutti dovrebbero astenersi, in ogni circostanza, dall’utilizzare, reclutare, finanziare o addestrare mercenari o attori legati ai mercenari. […] gli Stati dovrebbero attuare un’efficace regolamentazione internazionale e nazionale. Gli abusi dei diritti umani e le violazioni del diritto umanitario da parte dei mercenari non devono restare impuniti”.
Il Gruppo di Lavoro dell’ONU
Nel 1987 la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (oggi Consiglio per i Diritti Umani) nomina un “Relatore speciale sull’uso dei mercenari come mezzo per impedire l’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione”. Precedentemente il Consiglio di sicurezza ONU aveva emesso Risoluzioni sull’utilizzo di mercenari per rovesciare i governi della Repubblica Democratica del Congo (1967), della Repubblica popolare del Benin (1977) e della Repubblica delle Seychelles (1981), e per tutti gli anni ‘60 l’Assemblea Generale aveva adottato diverse Risoluzioni che chiedevano l’attuazione del diritto all’autodeterminazione nel contesto coloniale africano; la delibera che istituisce il Relatore speciale riconosce che il mercenarismo è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali.
Nel 2005 al Relatore speciale subentra il Gruppo di Lavoro, incaricato di studiare – attraverso missioni conoscitive, studi tematici e singole denunce – le violazioni dei diritti umani commesse da mercenari e dalle Società Militari e di Sicurezza Private (Private Military and Security Companies, PMSC); sono infatti queste ultime, come vedremo, e non il tradizionale mercenarismo, ad avere mutato la dinamica dei conflitti a partire dagli anni ‘90. Il mandato evolve dunque, riconoscendo e focalizzando due attori e non più uno, e pone tra gli obiettivi la creazione di una regolamentazione internazionale vincolante per le PMSC e il miglioramento di quella già esistente sul mercenarismo (2).
Oggi possiamo dire che qualche risultato è stato raggiunto, soprattutto sul piano della consapevolezza e della denuncia, ma praticamente nulla su quello fattuale. Se i mercenari sono ora ridotti a essere una figura marginale, infatti, è solo perché, in linea con i cambiamenti politici ed economici degli ultimi trent’anni, sono stati sostituiti da efficienti aziende private che li ‘regolarizzano’, assumendoli a contratto e vendendoli a ‘clienti’ sotto forma di ‘servizi’. Si sono trasformati nei contractor, nell’alveo di un diritto internazionale umanitario che permette loro di agire tra le righe di normative lasciate intenzionalmente inadeguate rispetto ai mutamenti avvenuti. È in atto un tentativo di regolamentazione da parte delle Nazioni Unite, ma mostra a sua volta forti limiti. D’altra parte la stessa ONU utilizza le PMSC nelle operazioni di peacekeeping, e tutto assume il profilo del paradossale.
Dai mercenari alle PMSC
Su 28 guerre civili scoppiate in Africa tra il 1950 e il 2002, tredici hanno visto la partecipazione conclamata di mercenari: Katanga (ora Repubblica democratica del Congo) e Biafra (Nigeria) tra le più documentate sotto questo aspetto, con Francia, Belgio e Gran Bretagna impegnate nell’ingaggio ufficioso di bande di cani sciolti di ogni nazionalità e di esperti ex militari passati al mercenarismo. L’obiettivo è sempre stato economico: mantenere il controllo sulle risorse naturali anche dopo la fase di decolonizzazione (3). Governi occidentali, governi dei neo-Stati africani, oppositori interni, compagnie minerarie, gruppi di interesse privati… tutti hanno utilizzato mercenari negli anni ‘60, ‘70 e ‘80, soprattutto nel continente africano ma anche in Asia e in America Latina. Parliamo di figure individuali, generalmente veterani della seconda guerra mondiale o dei conflitti regionali successivi, non organizzati fra loro e spesso reclutati per passaparola; in cambio di denaro offrivano, soprattutto, ciò che nessun esercito regolare poteva dare: difendere interessi illegittimi nascondendo i mandanti. Fare insomma il lavoro sporco.
A partire dagli anni ‘90 la realtà muta: nascono le Private Military and Security Companies, la cui principale funzione non è celare l’identità di chi le ingaggia – che comunque resta un plus e una possibilità ancora utilizzata – ma affiancare gli eserciti regolari alla luce del sole. Fare direttamente la guerra, semplicemente. Nei soli anni ‘90 le PMSC addestrano i soldati di 42 Stati e partecipano a più di 700 conflitti (4). Tre sono gli elementi che nel decennio si compenetrano rendendone possibile la configurazione e l’ascesa.
Primo: la fine della guerra fredda. Il crollo del Muro porta al progressivo globale ridimensionamento delle forze militari nazionali: il numero di soldati effettivi passa da 28,7 milioni nel 1988 a 22,3 milioni nel 1997, con una riduzione del 22%. Il calo avviene soprattutto negli Stati Uniti, in Europa e nei Paesi dell’ex blocco sovietico (5). Accanto, si registra un surplus di armamenti che vengono resi disponibili alla vendita.
Secondo: l’attuazione di politiche neoliberiste. Dagli Stati Uniti (Reagan) e dalla Gran Bretagna (Thatcher) soffia il vento del “meno Stato, più mercato”, che diviene pensiero dominante nelle società capitalistiche. I Paesi avviano privatizzazioni ed esternalizzazioni: welfare, industria, settore bancario, energia, trasporti… il pubblico arretra a favore dei privati.
Terzo: l’imporsi dagli USA della cosiddetta Revolution in Military Affairs (RMA). Gli sviluppi tecnologici richiedono maggiore competenza tecnica, e prende piede la teoria che un numero relativamente piccolo di persone ben addestrate e dotate di armi a tecnologia avanzata possa facilmente avere la meglio su una forza militare più numerosa ma scarsamente addestrata e dotata di attrezzature meno sofisticate.
Muta la visione complessiva. Dall’essere considerata ‘bene pubblico’, la sicurezza diviene una merce acquistabile sul mercato sotto forma di servizio: quando serve, come serve, a prezzi ritenuti vantaggiosi grazie alla concorrenza. Nasce un settore commerciale aperto a una nuova tipologia di azienda privata, che va a prendere possesso di un terreno fino a quel momento indisponibile perché monopolio esclusivo dello Stato: l’uso della forza. Con tutto ciò che ne consegue, come vedremo.
Le PMSC
Non esiste una definizione univoca e ufficiale delle PMSC. Sulla carta, sono due diverse tipologie di società: le Private Military Companies (PMC) forniscono servizi militari, le Private Security Companies (PSC) di sicurezza. Le prime quindi dovrebbero muoversi in teatri di guerra, le seconde nello spazio delle pratiche di polizia. Il fatto stesso che l’acronimo generalmente usato le tenga insieme (PMSC), mostra quanto la distinzione sia inconsistente e fuorviante, perché quasi tutte le imprese – sicuramente le più grandi e quotate – forniscono entrambi i servizi, e perché molti di quelli classificati come ‘sicurezza’ si svolgono in situazioni conflittuali, anche quando non apertamente dichiarate. Il Gruppo di Lavoro dell’ONU definisce dunque “una società militare e/o di sicurezza privata come un’entità aziendale che fornisce, a scopo di lucro, a realtà pubbliche o private, servizi militari e/o di sicurezza” (6).
Il ventaglio è estremamente ampio: pianificazione strategica, addestramento, intelligence, investigazione, comunicazioni; ricognizione terrestre, marittima o aerea; operazioni di volo di ogni tipo, con o senza equipaggio (droni); supporto logistico, materiale e tecnico; sorveglianza satellitare, qualsiasi genere di trasferimento di conoscenze con applicazioni militari o di polizia; sorveglianza armata o protezione di edifici, installazioni, proprietà e persone; combattimento e sicurezza nelle zone di conflitto.
Sempre più, nelle analisi critiche, viene a cadere anche la distinzione tra ‘funzioni passive’ di difesa/protezione e ‘funzioni attive’ di combattimento offensivo sul campo: perché le prime possono trasformarsi nelle seconde al rapido mutare della situazione sul terreno (la protezione di un sito o un convoglio diventa azione offensiva non appena viene attaccato), ma soprattutto perché attività come consulenza e addestramento dei soldati influiscono sostanzialmente sulle loro capacità in battaglia; così come intelligence, sorveglianza, operazioni di volo – sempre più con droni – intervengono attivamente negli scontri armati, modificandoli; e non si può definire estraneo al combattimento nemmeno il supporto logistico. Ogni funzione insomma, in una situazione di conflitto, sostiene e concorre alla guerra, anche se non preme il grilletto.
Le PMSC sono società commerciali private come ogni altra: sono regolarmente inscritte nel Registro delle Imprese dei Paesi dove hanno le sede legale e/o operativa, sono quotate in Borsa, hanno una struttura organizzativa tipicamente aziendale, sono finalizzate al profitto e competono apertamente fra loro sul mercato internazionale per aggiudicarsi le gare d’appalto indette da Stati, istituzioni e organizzazioni di vario tipo, pubbliche o private, come ONU, Unione europea, Ong o associazioni umanitarie, nonché imprese – spesso minerarie ed estrattive, ma non solo. Possono essere multinazionali – e avere la sede in paradisi fiscali – e, a loro volta, subappaltare servizi ad altre società. Attingono a un bacino di reclutamento tramite database di professionisti (generalmente ex militari) disponibili a chiamata e offrono contratti individuali di breve o lunga durata e ben pagati – i numeri sono riservati, ma pare che le retribuzioni superino da due a dieci volte quelle delle forze armate: un dato che spesso provoca la fuoriuscita di soldati e ufficiali dal pubblico a favore del privato. Muovendosi in tal modo, sono in grado di mettere insieme squadre operative in breve tempo.
È il business, bellezza!
Nel 2021 il mercato mondiale dei servizi militari e di sicurezza ha raggiunto 241,7 miliardi di dollari; si prevede che arriverà a quota 366,8 miliardi entro il 2028, a un tasso di crescita annuo del 7,2%. Gli analisti individuano nella lotta al terrorismo sia interno che esterno, nelle tensioni geopolitiche tra USA, Europa, Cina e Russia e negli appalti già pianificati per l’ammodernamento delle forze armate, un grande potenziale di crescita (7). Dall’altra parte, il pubblico continua a retrocedere. Non si può certo affermare che viviamo in un’epoca pacificata, eppure il numero globale di militari effettivi persiste nella diminuzione. L’ultimo report USA del 2021 riporta i dati del 2019: sono 20,4 milioni (8) (erano 28,7 milioni nel 1988 e 22,3 nel 1997, come abbiamo visto).
Non ha alcun senso dare la caccia ai più cattivi, sia in termini di aziende che di Stati: tutte le principali aziende si equivalgono, offrendo i medesimi servizi, e tutti gli Stati le utilizzano. Con poco timore di essere smentiti, si può dichiarare che non c’è oggi terreno – che si tratti di guerra aperta, di conflitto a bassa intensità o di situazione di rischio – che non veda qualche PMSC in azione. Di fatto impossibile avere i numeri che possano tracciare un quadro complessivo: i contratti di appalto sono confidenziali, in nome della sicurezza. Sappiamo dalle cronache locali che i privati sono presenti in Yemen, Libia, Siria, Bielorussia, Afghanistan e Ucraina e sono stati determinanti nel conflitto del Nagorno-Karabakh. Sono attivi anche nelle guerre dei cartelli in Messico e nel Golfo di Aden contro la pirateria. Il gruppo Wagner, collegato agli interessi russi, è in Ucraina, Africa, Medio Oriente e America Latina e il settore è in crescita anche in Cina. Ci sono poi aziende che lavorano per gruppi considerati terroristi, come Malharma Tactical, una PMSC con sede in Uzbekistan che si rivolge esclusivamente agli estremisti jihadisti (9).
I gruppi societari maggiori restano quelli statunitensi e britannici, che hanno inaugurato il settore – Constellis, di cui fa parte Academi (ex Blackwater, nota per il massacro di Nisour Square in Iraq, nel 2007: 17 morti e 20 feriti, tutti civili), G4S, DynCorp, Military Professional Resources (MPRI), Erinys International, Allied Universal, Aegis Defense Services – ma aumentano le società in Israele, Sudafrica e Colombia – terra di mercenari addestrati dagli Stati Uniti ai tempi della guerra al narcotraffico: oggi i colombiani sono ritenuti professionalmente preparati ed economicamente convenienti rispetto alle PMSC nordamericane, e hanno il pregio di essere numerosi: la maggior parte di loro proviene dalla fascia più povera della popolazione, con ben poche prospettive sociali ed economiche (10).
Se vogliamo qualche numero dobbiamo andare indietro nel tempo: a distanza di anni, sappiamo qualcosa sulle guerre in Iraq e Afghanistan relativamente agli Stati Uniti. Nel primo conflitto il picco è stato nel 2008: 160.000 contractor ingaggiati, in un rapporto di 1 a 1 con le forze armate. Nel secondo il livello massimo si è toccato nel 2012: c’erano più privati che truppe regolari: quasi 114.000 contractor contro 85.600 soldati, il 57% (11). Tra il 2003 e il 2016 il Dipartimento di Stato USA ha speso 196 miliardi di dollari in appalti a PMSC per la guerra in Iraq (12), e 108 miliardi per quella in Afghanistan tra il 2007 e il 2016 (13). Denaro pubblico con cui le Private Military and Security Companies hanno fatto profitti, facendo la guerra.
Forze armate vs contractor
I sostenitori delle PMSC elencano una serie di caratteristiche che le renderebbero la scelta migliore da parte degli Stati. Il generale Fabio Mini ha lo sguardo pragmatico di chi la guerra la conosce per esperienza diretta, e dunque ci offre un’analisi particolarmente utile sui singoli punti (14).
Flessibilità. È indubbia. Le aziende private tendono ad assumere qualsiasi tipo di incarico e spesso firmano i contratti senza avere a portata di mano ciò che è necessario. “La regola generale è: tu chiedi e noi forniamo. Qualunque cosa possa essere”.
Competenza. Le società rivendicano maggiore qualità operativa rispetto alle forze armate e affermano di avere ereditato dal settore pubblico un immenso patrimonio di conoscenze, tecnologie e formazione. “Se è vero, oltre ad aver perso quel patrimonio ora lo Stato deve pagare per averlo” afferma Mini; “se non è vero, le PMSC guadagnano un sacco di soldi per niente o per qualcosa già disponibile a livello pubblico”.
Convenienza economica. La presunta economicità del settore privato è controversa e deve ancora essere dimostrata. Il servizio di per sé può essere più vantaggioso, se non si conta che lo Stato ha già sostenuto le spese per la formazione dei militari, e l’evasione e l’elusione fiscale che la maggior parte delle PMSC realizza insediandosi nei paradisi fiscali.
Professionalità. Le PMSC attirano anche personale inesperto con grave instabilità psicologica. “Il processo di selezione è normalmente molto rigoroso, tuttavia per le competenze relative a compiti violenti o altamente tecnici nonché a lavori banali, gli standard non sono stabiliti secondo requisiti etici” scrive Mini. E continua: “Il fatto è che soldati normali e ben addestrati, che mantengono il loro equilibrio psicologico dentro e fuori dal servizio, sono difficili da ottenere, e quelli che lo hanno perso rappresentano un grande rischio. Quando le società private offrono davvero personale di alta qualità è perché hanno assunto professionisti militari, di sicurezza o d’élite di alta qualità. Questi individui vengono sottratti al circuito istituzionale e quindi per la collettività non sono un guadagno, ma una perdita”.
Esiste tuttavia una caratteristica su cui tutti concordano, annoverandola tra i punti che più fanno pendere l’ago della bilancia a favore dei privati: le PMSC limitano – o addirittura eliminano – i costi politici della guerra: del dispiegamento di soldati all’estero, dei morti e dei feriti e dei funerali di Stato in televisione, delle eventuali accuse di abusi, irregolarità e violazione dei diritti umani. Consentono dunque anche di aumentare il numero di missioni militari e di alzare l’asticella del grado di rischio che un Paese è disposto ad affrontare. Lo stesso Mini riconosce che la “nebbia legale” nella quale le PMSC si muovono – e che vedremo – è stata accolta con favore da chi affida loro gli appalti, siano governi o organizzazioni internazionali, e “da molti comandanti militari che preferirebbero trattare con società private non regolamentate piuttosto che confrontarsi con la varietà di vincoli legali e operativi sull’uso dei propri soldati. In un ciclo perverso, la mancanza di regolamentazione promuove un’ulteriore espansione delle operazioni non regolamentate”.
Il monopolio della forza
Sappiamo che nel pensiero liberale, da Hobbes in poi, il contrattualismo ha affidato allo Stato il monopolio della forza. Che lo stato di natura dal quale gli uomini dovevano uscire fosse considerato violento o pacifico, a seconda dei diversi pensatori, lo Stato moderno nasce come istituzione astratta, creata dall’Uomo e basata sul consenso. Nello Stato di diritto, la forza diviene legittima – discostandosi quindi dalla violenza, per quanto di violenza continui a trattarsi – perché autorizzata da una norma: tutti i poteri – anche quello deputato all’uso della forza – sono sottoposti al rispetto della legge. La violenza privata cede quindi il passo alla forza pubblica. Lo Stato costituzionale vede poi l’unione della forza e della giustizia: l’esercizio della prima deve essere finalizzato esclusivamente all’affermazione della seconda, scritta nei diritti e nelle libertà della Carta fondativa dello Stato.
Via via stratificandosi, il concetto di Stato moderno è dunque giunto fino a noi, ponendo alcune fondamenta indiscutibili: la forza è esclusivamente pubblica, la violenza privata è sempre unicamente violenza.
Non è un cavillo in punta di diritto, come può sembrare. Perché se ci muoviamo all’interno dei confini tracciati dal contrattualismo, quella che le Private Military and Security Companies esercitano è una forma privata di violenza organizzata, agita al fine di trarre un profitto economico: in uno Stato di diritto non è consentita, è un reato. Oltretutto, se la sicurezza di un cittadino non è più garantita da istituzioni pubbliche – forze armate e polizia – ma da aziende private, non si configura più come un diritto: divenendo merce, come abbiamo visto, si trasforma concettualmente in qualcosa disponibile solo a chi abbia denaro per acquistarla. O a chiunque abbia denaro per acquistarla – come le società minerarie ed estrattive. Le basi teoriche utilizzate fino a oggi ne escono stravolte e svuotate.
Certo, se usciamo dal pensiero liberale e adottiamo lo sguardo di Marx, l’aporia si sana. Per Marx lo Stato è borghese. Non è affatto quell’istituzione neutrale legittimata a esercitare la forza in quanto affermazione della giustizia, ma la sovrastruttura che favorisce e protegge gli interessi della borghesia, ossia del Capitale; ed esercita violenza, che è violenza di classe. Davanti alle PMSC, questa lettura mantiene logica e coerenza: il neoliberismo inaugurato negli anni ‘90 ha smantellato il monopolio della violenza dello Stato aprendo il ‘settore’ al libero mercato, di modo che il capitalismo ne potesse trarre profitti.
Il diritto internazionale umanitario
La prima definizione di ‘mercenario’ è del 1977 ed è contenuta nell’art. 47 del I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, considerate la base del diritto internazionale umanitario (15). Mercenario è colui che: a) sia appositamente reclutato, localmente o all’estero, per combattere in un conflitto armato; b) di fatto prenda parte diretta alle ostilità; c) prenda parte alle ostilità spinto dal desiderio di ottenere un profitto personale, e al quale sia stato effettivamente promesso, da una Parte in conflitto o a suo nome, una remunerazione materiale nettamente superiore a quella promessa o corrisposta ai combattenti aventi rango e funzioni similari nelle forze armate di detta Parte; d) non sia cittadino di una Parte in conflitto, né residente di un territorio controllato da una Parte in conflitto; e) non sia membro delle forze armate di una Parte in conflitto; f) non sia stato inviato da uno Stato non Parte nel conflitto in missione ufficiale quale membro delle forze armate di detto Stato. Queste sei caratteristiche sono cumulative: tutte devono essere soddisfatte.
È immediatamente evidente che la definizione non può essere applicata al personale di una PMSC, il quale può non avere direttamente un ruolo attivo nel combattimento ma funzioni di logistica, addestramento, intelligence ecc.; oppure può essere di nazionalità di una parte in conflitto (come i contractor statunitensi nella guerra USA in Afghanistan e Iraq); dimostrare poi che la retribuzione sia “nettamente superiore” è praticamente impossibile, vista la riservatezza dei contratti; infine, è sufficiente incorporare i contractor nelle forze armate, limitatamente al tempo del conflitto, per escluderli dalla categoria del mercenario. Oltretutto, il Protocollo si applica ai soli conflitti armati internazionali e non vieta il mercenarismo: il suo obiettivo è negare alla figura del mercenario lo status di combattente e di prigioniero di guerra – che certo non è un dettaglio da poco: traccia la separazione tra militare e civile, con tutto ciò che ne consegue in termini di diritto internazionale umanitario e di giurisdizione.
Per la criminalizzazione occorre aspettare la “Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’uso, il finanziamento e l’addestramento dei mercenari”, adottata dall’ONU nel 1989 (16). Come esplicitato nel titolo stesso, considera reato non solo il mercenarismo in sé ma tutte le attività collegate (reclutamento, uso, finanziamento e addestramento); si applica inoltre non solo a un conflitto armato internazionale ma “in ogni altra situazione”, e obbliga gli Stati firmatari a perseguire o estradare i presunti autori dei reati. È indubbiamente un passo avanti – anche se non è stato creato alcun organismo internazionale con il compito di monitorare, controllare e guidare l’attuazione della Convenzione – ma di contro la definizione di mercenario sostanzialmente ricalca quella del Protocollo del 1977: l’attività delle PMSC e dei contractor non può quindi essere qualificata come reato.
A livello regionale, nel 1977 vede la luce la “Convenzione per l’eliminazione del mercenarismo in Africa” redatta dall’Organizzazione per l’Unità Africana (oggi Unione Africana) (17). Segnati fortemente dall’uso dei mercenari sul proprio territorio nella fase di decolonizzazione, come abbiamo visto, i Paesi del continente africano pongono particolare attenzione al mercenarismo e lo criminalizzano nello stesso anno in cui il I Protocollo delle Convenzioni di Ginevra si limita a connotarlo. Tuttavia ne incorporano la definizione – con solo una modifica al punto c): deve esserci compenso materiale ma non necessariamente “nettamente superiore” a quello delle forze armate. Anche questo trattato internazionale quindi non può essere applicato al personale delle PMSC.
Nulla più. Qui termina il diritto internazionale umanitario relativo al mercenarismo. I suoi limiti sono evidenti, dovuti principalmente all’epoca in cui è stato scritto: gli anni ‘70 e ‘80. È chiaro che i contractor delle PMSC nate negli anni ‘90 sono mercenari, ma sfuggono a una regolamentazione che risulta datata. Anche se, di fatto, nemmeno i mercenari tradizionali sono stati messi al bando, perché la Convenzione del 1989 che li criminalizza è stata ratificata da appena 36 Paesi su 193 – e da nessuno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU – e quella regionale dell’Organizzazione per l’Unità Africana da 30 Stati su 55.
In un blando quanto inconsistente tentativo di legittimarsi, PMSC, Stati e organizzazioni varie hanno stilato linee guida, codici di condotta e standard globali che richiamano il rispetto del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani – Voluntary Principles on Security and Human Rights (2000), Montreux Document (2008), International Code of Conduct for Security Service Providers (ICOC, 2010) – ma si tratta di soft law, di auto-regolamentazione non vincolante.
La mancanza di un diritto internazionale pone le PMSC sotto la giurisdizione delle sole leggi nazionali, con quel che ne consegue: data la struttura sovrastatale, le aziende hanno gioco facile a impiantare le proprie sedi in Paesi che hanno vincoli legali meno stringenti, o disposti a non volerle perseguire in caso di violazioni. La Relazione del 2021 del Gruppo di Lavoro dell’ONU (18) denuncia la “carenza di informazioni pubbliche sui dettagli operativi e sui contratti di queste società con i loro clienti, che rimangono riservati”; la “mancanza di chiarezza in merito alle gerarchie contrattuali, alle strutture aziendali e ai rapporti tra società madri, filiali e subappaltatori”; il fatto che “queste società vengono spesso costituite, sciolte, fuse e trasferite o operano attraverso più filiali: ciò è associato a molteplici livelli contrattuali e assicurativi in tutte le giurisdizioni, il che complica ulteriormente l’accertamento a quale livello dovrebbe ricadere la responsabilità quando si verificano violazioni dei diritti umani”. È la stessa natura aziendale delle PMSC a rendere difficoltosa la ricostruzione della responsabilità: “L’opacità che circonda le condizioni in cui il personale è schierato, compresi i meccanismi di comando e controllo applicabili, oscura l’attribuzione di responsabilità e ha consentito a tali attori di operare con apparente impunità”.
L’approfondimento del Gruppo di Lavoro del 2020 (19) ha stabilito che “sebbene la maggior parte degli Stati disponga di sistemi per il monitoraggio delle PMSC che operano nel loro territorio, questi sistemi spesso non si estendono alle attività all’estero; mentre i processi di monitoraggio interno non riguardano generalmente il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale ma tendono piuttosto a concentrarsi sulle violazioni di ‘attività consentite, licenze, autorizzazioni, assunzioni e altri processi amministrativi’, con conseguenti possibili sanzioni amministrative”. Oltretutto, “il perseguimento del personale PMSC dinanzi ai tribunali nazionali è impegnativo, a causa di fattori quali la giurisdizione, la raccolta e la conservazione delle prove, lo svolgimento di indagini nei territori d’oltremare, la volontà degli Stati di perseguire tali casi e il trasferimento del personale”.
Senza contare che la riservatezza dei contratti può servire intenzionalmente a nascondere il coinvolgimento di un Paese in un conflitto, permettendogli di eludere le sue responsabilità in caso di violazione del diritto internazionale: “I rapporti condivisi suggeriscono che, in alcuni casi, ciò viene fatto proprio con l’obiettivo infausto di fornire una ‘negabilità plausibile’”. Mentre “il Gruppo di Lavoro continua a ricevere informazioni sul personale militare e di sicurezza privato che sarebbe stato coinvolto in violazioni dei diritti umani, comprese sparizioni forzate, esecuzioni sommarie, uccisioni indiscriminate, sfruttamento e abuso sessuale” (20).
L’ONU e la privatizzazione della pace
La relazione del Gruppo di Lavoro all’Assemblea Generale del 2014 (21) è focalizzata sull’utilizzo da parte dell’ONU delle PMSC, nelle operazioni di peacekeeping. I contractor assolvono principalmente a compiti di protezione delle sedi, dei convogli e del personale dell’organizzazione; a training, consulenza e analisi del rischio; forniscono equipaggiamento militare e relativa manutenzione (elicotteri, veicoli ecc. comprensivi di autisti), attività di sminamento, comunicazioni e logistica. Tra le prime e più note missioni quella in Bosnia nel 1992, dove l’ONU ha ingaggiato quattro aziende con contratti che hanno coinvolto circa 2.000 contractor per quattro anni.
Anche per le Nazioni Unite tutto comincia negli anni ‘90, e ricalca il percorso degli Stati. Sempre più spesso il Paese ospitante la missione non è in grado di garantire la sicurezza al personale dell’ONU; in seconda battuta, gli Stati vengono meno all’obbligo di mettere a disposizione militari delle proprie forze armate per consentire l’operatività delle missioni; infine, la mancanza di capacità interna dell’organizzazione stessa: da una parte i Paesi si oppongono all’aumento del personale, principalmente per ragioni finanziarie, dall’altra quello esistente non è adeguatamente formato, difficile da ridistribuire tra le varie sedi, privo di una ‘unità di comando’ unica interna e, non ultimo, economicamente costoso.
Di nuovo, conoscere i dati per avere un quadro non è facile. Tra l’altro, i contractor si possono trovare anche tra le fila del contingente messo a disposizione dagli Stati, che in missione inviano i privati anziché le proprie forze armate. Lo stesso Gruppo di Lavoro denuncia la mancanza di pubblicità e trasparenza dei contratti, lamentando il fatto che ottenere qualche numero dal Dipartimento ONU per la Sicurezza e la Protezione è stato un “compito impegnativo”. Sappiamo così che nel maggio 2014 le Nazioni Unite utilizzavano circa 30 aziende private, tra operazioni di peacekeeping e missioni politiche; ipotizziamo che i numeri non possano essere che aumentati.
Ovviamente, il tema del rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani si pone ancor più prepotentemente quando le PMSC si muovono in missioni di peacekeeping sotto la bandiera delle Nazioni Unite; e registra enormi deficit. La Relazione denuncia la mancanza di controllo da parte dell’ONU di ciò che avviene sul campo: spesso le PMSC ingaggiano personale locale, e si verificano casi come quello in Somalia nel 2012: “Il Gruppo di Lavoro è stato informato che diversi fornitori di servizi di sicurezza locali erano milizie basate su clan, che operavano dietro una facciata corporativa al fine di nascondere il coinvolgimento di singoli signori della guerra. […] quando si stipulano accordi per la fornitura di sicurezza privata questo modello è stato riscontrato in altri Paesi, incluso, implicitamente, il rischio di essere visti come parziali – ostacolando la percezione dell’indipendenza e dell’imparzialità delle Nazioni Unite agli occhi delle popolazioni locali”.
Priva di una regolamentazione internazionale, anche l’ONU ha fissato policy e linee guida per l’utilizzo delle PMSC, nel 2012; ma siamo al punto che “è opinione del Gruppo di Lavoro che le linee guida non affrontino la questione della responsabilità in caso di violazioni dei diritti umani commesse da società militari e di sicurezza private”, non prevedendo “indagini penali, cause civili e/o interdizioni” nei confronti delle aziende né la “pubblicazione di queste informazioni, ove possibile”. Senza tenere conto che “un’ulteriore preoccupazione per l’uso di società militari e di sicurezza private nelle operazioni di pace è che sono entità guidate dal mercato e la continua instabilità sostiene il settore. Ciò lascia aperte domande sugli interessi di queste società private nei risultati del processo di pace” (22).
Esiste infine un altro aspetto, più nascosto ma tutt’altro che secondario. La crescente dipendenza dalla sicurezza privata porta a un ruolo significativo delle PMSC nel plasmare sia la ‘politica di protezione’ delle missioni umanitarie – comprese quelle di Ong e organizzazioni varie – che le ‘politiche di sicurezza’ dell’ONU: lo spazio umanitario è trattato come carico di minacce, e la concettualizzazione dei problemi di sicurezza influenza e ridefinisce direttamente l’ambiente in cui le missioni intervengono.
La resa
Nel 2010 il Gruppo di Lavoro ha presentato una proposta di regolamentazione delle PMSC, sulla quale il Consiglio per i Diritti Umani tuttora discute (23). Tra gli aspetti più rilevanti la rivendicazione del monopolio della forza dello Stato: “Ci sono funzioni coerenti con il principio del monopolio statale dell’uso legittimo della forza che uno Stato non può esternalizzare o delegare alle PMSC, in nessun caso. Tra queste vi sono: la diretta partecipazione alle ostilità, allo svolgimento di operazioni di guerra e/o di combattimento; alla cattura di prigionieri, all’elaborazione di leggi, allo spionaggio, all’intelligence, al trasferimento di conoscenze con applicazioni militari, di sicurezza e di polizia; l’uso e attività correlate alle armi di distruzione di massa; l’uso e attività correlate ai poteri di polizia, in particolare i poteri di arresto o di detenzione, compreso l’interrogatorio dei prigionieri”. Include poi prescrizioni che obbligano i Paesi a uno stretto controllo sulle PMSC (registro, licenze, monitoraggio dell’import/export di servizi militari e di sicurezza, training sul diritto internazionale umanitario e norme sull’uso della forza e delle armi da fuoco), e l’adozione di una legislazione che garantisca la punibilità del personale delle società per le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani.
È facilmente ipotizzabile che la proposta non diverrà diritto internazionale, o se accadrà, sarà ratificata da ancora meno Paesi della Convenzione del 1989, che vietava l’uso del mercenarismo. Le ragioni sono evidenti: diversi Stati – su tutti USA e Gran Bretagna – hanno smantellato intere funzioni all’interno delle forze armate, e si ritiene che ormai non potrebbero combattere una guerra senza le aziende private (24). Nessuno può dunque permettersi di criminalizzare l’attività delle PMSC.
Proprio per questo, a ben vedere, la regolamentazione avanzata delude. Persa per persa, il Gruppo di Lavoro dell’ONU poteva permettersi maggiore coerenza e onestà intellettuale. Perché se la proposta è positiva – in ottica liberale – nel rimettere al centro la questione del monopolio statale della forza, tuttavia si inserisce nell’aleatoria distinzione tra funzioni attive (combattimento offensivo) e funzioni passive (difesa/protezione), vietando l’esternalizzazione delle prime e consentendo quella delle seconde – quando abbiamo visto come ogni attività contribuisca alla guerra, dall’addestramento alla logistica, dalla comunicazione al pilotaggio dei droni da ricognizione. Non solo. C’è un aspetto forse ancora più fondamentale. Se regolamentare le PMSC è preferibile al vuoto legale nel quale operano da trent’anni, è anche vero che significa legittimarle. Significa legalizzare un settore che ha tutta la convenienza ad alimentare i conflitti e l’insicurezza; in grado di moltiplicarli offrendo i propri servizi a chi ha denaro per comprarli. Significa accettare la trasformazione in merce di un ‘bene pubblico’, accettare l’entrata della guerra e delle missioni di peacekeeping nel libero mercato dei profitti. È una resa all’esistente invece di una caparbia resistenza contro ogni conflitto.
* Una versione di questo articolo è stata pubblicata nel 20° Rapporto sui diritti globali 2022, a cura di Associazione Società Informazione Onlus
1) UN Working Group, Statement by the UN Working Group on the use of mercenaries warns about the dangers of the growing use of mercenaries around the globe, https://www.ohchr.org/en/statements/2022/03/statement-un-working-group-use-mercenaries-warns-about-dangers-growing-use, 4 marzo 2022
2) Cfr. UN Working Group, Mercenarism and Private Military and Security Companies, aprile 2018
3) Cfr. Nihal El Mquirmi, Private Military and Security Companies: A New Form of Mercenarism? / Presence of Foreign Fighters: Concessions for Security?, in Policy Center for the New South, febbraio/marzo 2022
4) Cfr. Fabio Mini, An Analysis of Private Military and Security Companies, in European University Institute, luglio 2010
5) Cfr. U.S Department of State, Bureau of Verification and Compliance, World Military Expenditures and Arms Transfers 1998 (WMEAT), https://2009-2017.state.gov/documents/organization/110701.pdf, aprile 2000
6) UN Working Group, Report of the Working Group on the use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the exercise of the right of peoples to self-determination, 5 luglio 2010
7) Cfr. Vantage Market Reasearch, Private Military Security Services Market, https://www.vantagemarketresearch.com/industry-report/private-military-security-services-market-1578, maggio 2022
8) Cfr. U.S Department of State, Bureau of Verification and Compliance, World Military Expenditures and Arms Transfers 2021 (WMEAT), https://www.state.gov/world-military-expenditures-and-arms-transfers-2021-edition/, 30 dicembre 2021
9) Cfr. Matthew Sutherland, Market for Force: The Emerging Role of Private Military and Security Companies, in Security Distillery, 17 marzo 2021
10) Cfr. Pietro Orizio, L’assassinio di Jovenel Moïse ed il “business” dei golpe improvvisati in America Latina, in Analisi Difesa, https://www.analisidifesa.it/2021/09/lassassinio-di-jovenel-moise-ed-il-business-dei-golpe-improvvisati-in-america-latina/, 21 settembre 2021
11) Cfr. US Congressional Research Service, Department of Defense. Contractor and Troop Levels in Iraq and Afghanistan: 2007-2017, 28 aprile 2017
12) Cfr. US Congressional Budget Office, Contractors’ Support of US Operations in Iraq, agosto 2008 e USA Congressional Research Service, Department of Defense. Contractor and Troop Levels in Iraq and Afghanistan: 2007-2017, 28 aprile 2017
13) Cfr. US Congressional Research Service, Department of Defense. Contractor and Troop Levels in Iraq and Afghanistan: 2007-2017, 28 aprile 2017
14) Fabio Mini, op. cit.
15) Cfr. Convenzioni di Ginevra, Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, 1977
16) Cfr. ONU, Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’uso, il finanziamento e l’addestramento dei mercenari, 1989
17) Cfr. Organizzazione per l’Unità Africana, Convenzione per l’eliminazione del mercenarismo in Africa, 1977
18) UN Working Group, Impact of the use of private military and security services in humanitarian action, 2 luglio 2021
19) UN Working Group, Use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the exercise of the right of peoples to self-determination, 28 luglio 2020
20) UN Working Group 2021, op. cit.
21) Cfr. UN Working Group, Use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the exercise of the right of peoples to self-determination, 21 agosto 2014
22) UN Working Group 2021, op. cit.
23) Cfr. UN Working Group 2010, op. cit.
24) Cfr. Fabio Mini, op. cit.