Presentato a maggio e subito nascosto alla scena, il progetto prevede di ricostruire da zero la Striscia, collegarla alla penisola arabica con nuove infrastrutture, trasformarla in una zona di libero scambio detassata e offrirla ai “Paesi arabi moderati”
Il 3 maggio Netanyahu presenta Gaza 2035. Dalla crisi alla prosperità, il primo piano post guerra proposto da Israele (1). Di fatto appare più un desideratum che un progetto realistico, e probabilmente un primo amo lanciato ai Paesi arabi definiti “moderati”; tant’è che sparisce in fretta dall’agenda politica – anche se ciò non vuol dire che sia stato archiviato: potrebbe riapparire sul tavolo, con qualche modifica. Lo pubblichiamo integralmente, immagini comprese, con traduzione a cura di Paginauno, perché solo leggendolo direttamente e nella sua totalità è possibile comprendere a pieno la forma mentis colonialista che lo muove.
Al di là del contenuto, spicca in primo luogo l’assenza della voce dei palestinesi, non più soggetti bensì oggetti sui quali far ricadere e implementare le decisioni di Israele – in linea con la strategia militare che, nel migliore dei casi, li considera nulla più che ‘danni collaterali’ sacrificabili sull’altare del perseguito ‘annientamento’ di Hamas. Quale futuro, dunque, quale struttura economica, quale società, sono scelte che il governo Netanyahu prende al posto dei palestinesi stessi. D’altra parte, politicamente il piano non prevede la nascita di alcuno Stato di Palestina – tuttalpiù, a precise condizioni, l’instaurazione a lungo termine di un “autogoverno palestinese” – e “Israele si riserva il diritto di agire contro le minacce alla sicurezza”, ossia il diritto perpetuo a controllare militarmente Gaza e la Cisgiordania.
In seconda battuta, il piano dal punto di vista economico, aspetto tutt’altro che secondario. Guerra, distruzione e morte si trasformano in “opportunità” di investimenti, coinvolgendo direttamente Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto, Bahrein, Giordania e Marocco e indirettamente Stati Uniti ed Europa: i primi, soprattutto, troveranno un intero territorio sul quale “costruire da zero città pianificate, moderne e dinamiche” e un mercato per “materie prime e servizi” collegato alla penisola arabica con nuove linee ferroviarie, mentre tutti guadagneranno dalla creazione di una zona di libero scambio detassata e dalla costruzione di un’industria per auto elettriche e batterie la quale, supportata energicamente dal “bacino di gas di Gaza” e grazie a manodopera palestinese “relativamente economica”, potrà “stabilizzare la concorrenza con i produttori cinesi”.
Qualche dato sulla distruzione della Striscia di Gaza, per poter intuire la portata degli interessi che iniziano a muoversi intorno alla ricostruzione. Il 2 maggio Abdallah al-Dardari, direttore dell’ufficio regionale del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) per gli Stati arabi, presenta il report War in Gaza: Expected Socioeconomic Impacts on the State of Palestine (2): il 72% delle abitazioni è demolita, il sistema educativo è collassato (100 tra scuole e università sono totalmente disintegrate e 305 lo sono in parte), solo il 28% delle strutture sanitarie è parzialmente funzionante, strade, rete fognaria, condutture idriche e infrastrutture varie sono di fatto distrutte. Ci sono 37 milioni di tonnellate di detriti da rimuovere e per la ricostruzione occorreranno tra i 40 e i 50 miliardi di dollari e, “in uno scenario ottimistico”, almeno quindici anni, fino al 2040. “Per intensità, in un tempo così breve, e per scala di distruzione” afferma Abdallah al-Dardari, “non si vedeva qualcosa di simile dalla seconda guerra mondiale”. Insomma, Netanyahu si appresta a offrire un deserto di macerie su cui fare affari.
Dalla crisi alla prosperità
Piano per la trasformazione della Striscia di Gaza: dall’Iran a un asse moderato
L’obiettivo. Una Gaza prospera, facente parte di un’architettura regionale abramitica.
Il rischio. Gaza è un avamposto iraniano che sta sconvolgendo l’architettura regionale moderata, sabotando le catene di approvvigionamento emergenti dall’India attraverso la Striscia di Gaza fino all’Europa, e vanifica ogni futura speranza politica palestinese.
Opportunità. Gaza prosperò in passato come crocevia tra due antiche rotte commerciali: la rotta marittima (Egitto→Gaza→Babilonia) e la rotta dei profumi (India→Yemen→Arabia Saudita→Europa). Può ritornare e prosperare nel centro dell’architettura regionale moderata.
Il piano
Dalla crisi alla prosperità per costruire l’autogoverno a Gaza
12 mesi. Aiuto umanitario.
- Israele crea aree sicure libere da Hamas (iniziando dal nord della Striscia di Gaza e diffondendosi gradualmente all’intera Striscia di Gaza);
- Paesi arabi (Arabia Saudita, Emirati, Egitto, Bahrein, Giordania, Marocco) nominano e supervisionano gli aiuti umanitari nelle zone sicure;
- I palestinesi di Gaza gestiscono le zone sicure sotto la supervisione araba.
5-10 anni. Organismo multilaterale.
- Israele mantiene la responsabilità generale della sicurezza;
- I Paesi arabi formano un organismo multilaterale che supervisionerà, guiderà e finanzierà l’Autorità per la ricostruzione di Gaza (“Autorità per la riabilitazione”);
- I palestinesi di Gaza dirigono l’Autorità per la riabilitazione che si assume la responsabilità della gestione delle zone sicure;
- Attuazione del “Piano Marshall” e de-radicalizzazione…
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