White collar crime e High frequency trading: perfetto e organizzato, il nuovo crimine dei colletti bianchi della finanza globale
«Il più ricco 1% del Paese possiede metà della ricchezza del Paese, cinque trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, due terzi vengono dai beni ereditati, interessi sugli interessi accumulati da vedove e figli idioti, e dal mio lavoro, la speculazione immobiliare e mobiliare. È una stronzata. C’è il 90% degli americani là fuori che sono nullatenenti o quasi; io non creo niente, io posseggo. E noi facciamo le regole. Le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo; tiriamo fuori conigli dal cilindro mentre gli altri seduti si domandano come accidenti abbiamo fatto. Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia, vero Buddy? È il libero mercato, e tu ne fai parte». Gordon Gekko in Wall Street (Oliver Stone, 1987)
Che cos’è la ‘criminalità organizzata’? Il concetto apparentemente è chiaro, eppure tracciarne i contorni, da un punto di vista legislativo e sociologico, pare non sia semplice. Una definizione sommaria vuole che sia un gruppo composto da più di due persone, in forma stabile, al fine di commettere reati alla ricerca del profitto e/o del potere; ma se si entra nei dettagli, tutt’altro che secondari quando si tratta di fare analisi sociale o di muovere incriminazioni – quale tipologia di reati, uso o meno della violenza, caratteristiche dell’organizzazione (struttura verticistica o orizzontale, gerarchica o flessibile) ecc. – a tutt’oggi non esiste una definizione univoca riconosciuta a livello internazionale.
Parte della difficoltà probabilmente nasce dal fatto che ciò che è considerato ‘crimine’, sia sul piano individuale che organizzato, non è altro che il frutto di un processo culturale, e in seconda battuta occorre riconoscere che anche quello che, all’interno di una società, è ritenuto ‘fenomeno criminale’, muta e si evolve di pari passo con i cambiamenti del sistema sociale, politico, economico e, non ultimo, con i cambiamenti tecnologici. Il problema quindi appare duplice: si tratta di valutare che cosa è considerato crimine nella odierna cultura capitalistica, e quali caratteristiche connotano una ‘organizzazione’.
Com’è ovvio che sia, nelle società capitalistiche il concetto classista pervade ogni spazio, in modo più o meno consapevole; e dunque la criminalità organizzata è individuata – salvo rare eccezioni – nei ‘colletti blu’ dei bassifondi sociali e nella natura violenta dei crimini (droga, furti, omicidi, prostituzione, tratta di esseri umani ecc.). Il white collar crime, come lo definì Edwin Sutherland già nel 1939 nel corso di conferenze e successivamente nell’omonimo saggio (1), stenta a farsi strada, nelle aule giudiziarie e nella cultura, come concetto di forma organizzata. La criminalità in colletto bianco, scriveva il sociologo americano, è quel crimine “commesso da una persona che gode di rispettabilità e di elevata condizione sociale nel corso della sua attività”. Non si tratta quindi di quella che in Italia è definita ‘zona grigia’, ossia politici, imprenditori, magistrati, liberi professionisti, uomini delle forze dell’ordine ecc. che agiscono esternamente alle associazioni mafiose, contribuendo al loro rafforzamento; si tratta della criminalità endogena alla classe dirigente, alle élite economiche e finanziarie.
Negli ultimi anni, qua e là, soprattutto nei Paesi anglosassoni, alcuni operatori di Borsa o manager di grandi banche sono stati incriminati per reati finanziari, ma quasi sempre singolarmente. Eppure, “i crimini in colletto bianco non sono solo deliberati, essi sono anche organizzati”, scriveva Sutherland; e infatti, non si vede per quale ragione la borghesia economica e finanziaria, nella commissione di reati, dovrebbe essere meno capace di associarsi e organizzarsi, in forma stabile e duratura, delle classi subalterne.
Un esempio recente è lo scandalo del Libor: nel luglio 2012 la britannica Barclays Bank ha ammesso obtorto collo di aver manipolato, tra il 2005 e il 2009, il tasso Libor – il più importante indice del mercato interbancario, che incide anche su mutui ipotecari, prestiti ecc. – per trarre maggiori profitti, in accordo con almeno una quindicina di altre banche, tra cui Royal Bank of Scotland, Citigroup, Ubs, Deutsche Bank, Credit Suisse e JPMorgan. Un crimine deliberato e organizzato di miliardi di dollari, talmente nascosto nelle pieghe dell’attività delle diverse banche che diviene impossibile calcolare con esattezza l’ammontare dell’illecito.
Eppure non è il caso peggiore: esistono crimini finanziari ancora più organizzati.
High frequency trading
L’High frequency trading (Hft, letteralmente: scambio ad alta frequenza) è un sistema di negoziazione sui mercati finanziari basato su sofisticati algoritmi matematici, software che generano automaticamente ordini di acquisto e vendita di titoli alla velocità di nanosecondi – possono arrivare a oltre 5.000 ordini al secondo.
Il rapporto 2012 del Financial stability oversight council, organizzazione governativa statunitense per il controllo della stabilità finanziaria, stima che il 56% degli scambi sul mercato delle azioni, il 52% sul mercato dei contratti a termine (i cosiddetti futures) e il 35% sul mercato dei cambi sono oggi effettuati tramite Hft. Goldman Sachs e Morgan Stanley sono tra le banche d’affari che più utilizzano gli algoritmi ad alta frequenza, ma tutti i principali operatori ne fanno uso, al punto che si stima che il 75% degli istituti finanziari si avvalga dell’Hft, anche sul nebuloso mercato dei derivati e su quello dei titoli di Stato. Si tratta dunque di una tecnologia, nata negli anni Novanta, ormai utilizzata in modo massiccio.
Ma definirla semplicemente una ‘tecnologia’ è riduttivo: le sue caratteristiche hanno modificato radicalmente il mondo della finanza.
Tramite l’High frequency trading, banche e operatori finanziari agiscono contemporaneamente su diverse piattaforme – regolamentate, come le Borse, o prive di ogni controllo, come gli Over the counter (Otc) – e i loro profitti sono di natura speculativa: grazie alla velocità di esecuzione delle operazioni, infatti, immettono, modificano e cancellano milioni di ordini al giorno, giocando sulle minime differenze di prezzo tra vendita e acquisto, e chiudendo tutte le posizioni entro fine giornata.
Il punto focale è proprio la velocità: gli algoritmi, sempre più complessi, ‘vedono’ gli ordini di un titolo, effettuati dai concorrenti nei diversi mercati, in quel brevissimo lasso di tempo (frazioni di secondo) tra l’istante in cui l’ordine viene immesso e quello in cui compare nel cosiddetto book di negoziazione di ogni mercato, ossia il prospetto telematico che contiene le proposte di vendita e acquisto, con quantità, prezzo e operatore; frazioni di secondo nelle quali il software inonda i mercati di ordini, ricercando su altre piattaforme lo stesso titolo, e riuscendo così a chiudere la negoziazione a un prezzo più conveniente, qualche centesimo in più o in meno, battendo i concorrenti; migliaia di ordini che hanno l’unico scopo di alzare o abbassare la quotazione di quel titolo, per la legge della domanda e dell’offerta, e che vengono poi cancellati, a negoziazione conclusa, in altrettante rapide frazioni di secondo.
Gli organi di controllo dei diversi Paesi stimano che appena il 10% degli ordini effettuati con l’High frequency trading venga portato a termine; il rimanente 90% viene cancellato. Si tratta quindi di una tecnica speculativa che realizza esigui margini di profitto per singola transazione, ma muovendo elevati volumi di negoziazioni; e che, come tutte le speculazioni, non mira ad avere titoli in portafoglio ma a guadagnare dal loro continuo scambio.
Anche chi non è esperto di Borsa è in grado di comprendere facilmente che quelle frazioni di secondo che permettono di vedere gli ordini dei concorrenti prima che entrino nel book è una nuova forma del reato di insider trading (compravendita basata su informazioni riservate che creano un vantaggio rispetto agli altri operatori) – Gekko non ha più bisogno di sguinzagliare Buddy dietro Larry Wildman, per sapere quale titolo ha intenzione di comprare – ed è altrettanto evidente che immettere migliaia di ordini, con la consapevolezza che saranno poi cancellati, è una nuova forma del reato di aggiotaggio (divulgazione di notizie false, esagerate o tendenziose al fine di manipolare il mercato causando un aumento o una diminuzione del prezzo di un titolo).
Ma l’aspetto più significativo di questo nuovo modo di far finanza – ché non si può certo chiedere ai lupi di essere agnelli – è l’atteggiamento delle diverse piattaforme finanziarie e delle autorità di vigilanza.
Piattaforme finanziarie e autorità di vigilanza
In continua e affannosa ricerca di volumi di scambi e di liquidità per mantenere o accrescere la propria quota di mercato, in un sistema finanziario caratterizzato da una forte competizione tra le varie piattaforme, queste ultime si ingegnano per trovare sempre nuovi modi per facilitare lo scambio ad alta frequenza. Offrono il servizio di co-location, ossia affittano degli spazi nei quali gli operatori Hft collocano i propri server, i computer utilizzati per il funzionamento degli algoritmi. È un aspetto fondamentale, poiché la velocità, requisito essenziale, come abbiamo visto, non è data solo dal software, ma anche dall’hardware, perché i flussi di dati passano attraverso cavi. La vicinanza fisica all’edificio dove è situata la piattaforma diviene dunque fondamentale per operare con l’High frequency trading.
Modulano poi sapientemente le commissioni, inventandone alcune, come la maker/taker – ma non è l’unica – che sembrano disegnate apposta per l’Hft: la piattaforma paga coloro che ‘forniscono’ liquidità al mercato, immettendo un elevato numero di ordini – indipendentemente dal fatto che saranno poi cancellati – e incassa da coloro che ‘assorbono’ liquidità, ossia da coloro che gli ordini li chiudono, in acquisto o vendita. Un meccanismo grazie al quale un operatore Hft conclude le proprie giornate segnando al proprio attivo sia profitti da speculazione che profitti da commissioni.
Rendono infine possibile operare in perfetto anonimato, tramite il Direct Electronic Access, che permette di agire sulla piattaforma senza diventarne membro, totalmente nell’ombra. Nel frattempo, mentre lo scambio ad alta frequenza si diffonde come un virus, le varie autorità di vigilanza dei diversi Paesi, l’italiana Consob compresa, non hanno ancora deciso, bontà loro!, se considerarlo un crimine oppure no. Questo nonostante abbiano già individuato e denominato alcune sue caratteristiche “potenzialmente manipolative dei prezzi”, come scrive la Consob a dicembre 2012 (2).
Il quote stuffing, per esempio (letteralmente: imbottire di proposte) che altro non è che la pratica di immettere un elevato numero di ordini sui mercati; ordini che “possono generare fenomeni di congestione e compromettere l’accesso al mercato da parte degli slow trader [gli operatori che non usano gli algoritmi ad alta frequenza, n.d.a.]”; situazione che “può consentire agli Hft di eseguire con profitto operazioni sul mercato a scapito di taluni operatori” (3). Lo smoking (letteralmente: fumo): immissione di allettanti “ordini civetta” che sono poi “modificati rapidamente attraverso l’inserimento di condizioni meno favorevoli prima ancora che le controparti attratte nella transazione possano rendersi conto del mutato scenario” (4 ). Lo spoofing (letteralmente: imbroglio) e il layering (letteralmente: sovrapposizione): immissione di una serie di ordini di vendita (o acquisto) – che saranno poi cancellati – a prezzi migliori della quotazione del mercato, con lo scopo di indurre i concorrenti a credere che sia iniziata una fase di ribasso (o di rialzo) e quindi poter poi acquistare (o vendere) quel titolo a un prezzo migliore.
Strategie di insider trading e di aggiotaggio che, come abbiamo visto, sono l’High frequency trading, non una sua criminale deriva: a null’altro servono l’anonimato, la velocità e l’automatismo degli algoritmi. Eppure è altro a preoccupare le autorità di vigilanza.
Ufficialmente, passano notti insonni nel tentativo di capire se l’Hft sia o meno una ‘tecnologia’ in grado di sabotare la salvifica mano invisibile del libero mercato, intaccando la perfetta concorrenza – a loro dire messa in crisi dal ‘vantaggio tecnologico’, poiché solo i grandi operatori, con possibilità di forti investimenti in algoritmi e hardware, si possono permettere l’Hft – e l’efficienza informativa che regola il corretto processo di formazione dei prezzi – a loro dire falsata dal fatto che gli ordini generati automaticamente da un software non tengono conto dei fondamentali economici del titolo negoziato. Non fanno tuttavia alcunché per tentare di venire a capo del dubbio – sebbene sia un dubbio dalla potenza amletica, per l’etica ufficiale capitalistica.
Non impongono infatti agli operatori alcun obbligo di comunicazione in merito all’utilizzo degli algoritmi ad alta frequenza e, di conseguenza, nemmeno in merito alle loro caratteristiche e ai relativi sistemi di gestione del rischio – per questa ragione i dati relativi all’Hft possono solo essere stimati: quello che dunque le piattaforme chiamano ‘anonimato’, nelle relazioni delle autorità di vigilanza è declinato con il termine più rispettabile e culturalmente accettabile di ‘riservatezza’.
Una contraddizione – affermare di voler indagare l’eventuale esistenza di un problema e contemporaneamente fare nulla per raccogliere i dati del problema stesso – che è molto più di una curiosa impasse: essa rivela l’etica non ufficiale dell’intero sistema. Le autorità di vigilanza si dimostrano infatti ben consapevoli che la ‘mano invisibile’ è solo un’illusione teorica di Adam Smith; sanno che la ricerca egoistica del proprio interesse non giova all’interesse dell’intera società; sanno che la ‘concorrenza perfetta’ non esiste e che il libero mercato non è altro che il selvaggio Far West; e dunque sanno che il loro compito è mantenerlo allo stato brado. Non sono ingenue come Buddy: conoscono il libero mercato, e sanno di farne parte.
Tuttavia, l’High frequency trading un problema lo crea, ed è il peggiore che possa presentarsi alla porta del mondo finanziario, chiedendo il conto: il rischio sistemico. E dunque gli organi di controllo stendono analisi e aprono discussioni, appoggiandosi ai dati stimati, cercano di capire quanto la ‘tecnologia’ sia diffusa e di identificare gli operatori Hft in base alle parziali informazioni sulle negoziazioni fornite dalle varie piattaforme, o in base alle caratteristiche degli scambi (operatori che hanno posizioni prossime allo zero a fine giornata, che effettuano un numero elevato di ordini, che ne cancellano la quasi totalità nel giro di nanosecondi ecc.).
L’High frequency trading, infatti, proprio per l’automatismo e la velocità che lo caratterizzano e l’effetto a catena che innesca, può amplificare la tendenza del mercato, destabilizzandolo e creando crolli improvvisi. Ne è un esempio l’evento che è passato alla storia (finanziaria) come il flash crash del 6 maggio 2010, quando il Dow Jones della Borsa di New York ha perso oltre il 10% in pochi minuti, chiudendo poi la seduta con una perdita del 3%. Questo perché, come già accennato, il tipo di speculazione che si avvale dell’Hft mira a chiudere la giornata senza titoli in portafoglio; non è una speculazione che attende il giorno successivo, per guadagnare; e dunque, se il mercato entra in una spirale ribassista, il software tenta di ribilanciare la propria posizione generando ordini di vendita.
Inoltre, se è indubbio che l’Hft aumenti la sacra liquidità dei mercati, visto i milioni di ordini che immette ogni giorno, le autorità di vigilanza sanno bene che è una liquidità solo apparente: la chiamano infatti ghost liquidity (letteralmente: liquidità fantasma), perché appare e scompare in pochissimo tempo.
Quando infatti la speculazione si conclude, in frazioni di secondo vengono automaticamente cancellati tutti quegli ordini immessi sulle diverse piattaforme al solo scopo di manipolare il prezzo del titolo, e d’improvviso la liquidità crolla (fino alla successiva impennata); una situazione circolare che rende i mercati estremamente volatili; mercati che sono, in pratica, costantemente dopati. E anche questo aumenta il rischio di bolle finanziarie e di spaventosi crolli.
Il crimine perfetto
Il 3 luglio 2009, su denuncia di Goldman Sachs, l’Fbi arresta Sergey Aleynikov: programmatore software alla banca di affari dal maggio 2007 al giugno 2009, nel momento di passare alla concorrenza Aleynikov ha rubato 32 mega byte di codici sorgenti del sistema di High frequency trading utilizzato dalla banca. Il giorno successivo all’arresto, per rappresentare alla Corte la gravità dell’azione commessa da Aleynikov, qualcosa che va oltre il semplice furto, e dunque il suo repentino arresto da parte dell’Fbi, il procuratore generale afferma che la Goldman Sachs ha manifestato il possibile “pericolo che qualcuno che sappia come usare il programma potrebbe utilizzarlo per manipolare i mercati in modo sleale” (5). Per la prima volta, una delle più grandi banche d’affari svela il segreto di Pulcinella a voce alta: a saperlo usare (!) il trading ad alta frequenza è in grado di manipolare i mercati – come tale manipolazione possa essere sia leale che sleale, sarebbe stata una bella domanda da porre a Goldman Sachs.
Eppure a oggi, a conoscenza di chi scrive, nessuna magistratura è riuscita a portare a processo un operatore Hft. Insider trading e aggiotaggio sono reati contemplati nelle giurisdizioni di tutti i Paesi; potenzialmente, quindi, è possibile. Ma perché accada, occorre innanzitutto che una procura sia in grado di intuire e ipotizzare la commissione del crimine, e poi di provarlo. E, allo stato attuale, entrambe le cose sono praticamente impossibili. È la stessa tecnologia che rende vano il tentativo.
Innanzitutto, il volume degli scambi: non solo migliaia di ordini al secondo, ma anche suddivisi, per operatore e per titolo, in ordini di piccoli importi – poiché questo aumenta quell’opacità che rende più facile la manipolazione delle quotazioni. Tra questi, una parte va a buon fine, e poiché la speculazione non è considerata un crimine, come trovare gli ordini immessi per manipolare i prezzi da quelli che rispondono semplicemente alla logica della domanda e dell’offerta del mercato finanziario? Non solo da un punto di vista del riconoscimento, ma proprio sotto l’aspetto della capacità tecnologica di individuarli: con quali strumenti?
Occorre poi poter comprendere la dinamica del crimine, e questo significa poter accedere agli algoritmi, ma le banche d’affari oppongono il segreto professionale e il diritto alla proprietà intellettuale.
La scena del crimine è poi frammentata e transnazionale: a chi chiedere i dati delle negoziazioni? Le autorità di vigilanza sono a carattere nazionale, e nessuna ha accesso a tutte le informazioni del mercato mondiale; nessuna ha una visione completa e complessiva delle attività degli operatori Hft sulle Borse di tutto il pianeta – le Borse regolamentate, ma poi ci sono anche gli Over the counter, che, come abbiamo detto, non sono soggetti ad alcun controllo. Non esiste quindi una memoria consolidata, al micro e al nanosecondo, delle transazione su tutte le piattaforme globali.
E i responsabili, come individuarli? Non solo, come abbiamo visto, i mercati offrono loro l’anonimato e le autorità di vigilanza la ‘riservatezza’, ma il concetto di responsabilità personale, fondamentale nei codici giuridici, dove si situa quando a operare è un algoritmo che ‘apprende’ dalle informazioni del mercato e agisce in modo autonomo? Responsabile è l’ingegnere informatico che lo ha creato, è il trader che lo utilizza, è la banca che investe per la sua realizzazione?
Occorre poi dimostrare il dolo, ossia l’intenzione consapevole di commettere reato. E qui gli operatori finanziari hanno una difesa pronta e difficile da smontare: possono appellarsi a un errore contenuto nell’algoritmo, o a una sua reazione imprevedibile ai dati che apprende ed elabora automaticamente dal mercato; ancor più imprevedibile per il fatto che il mercato è influenzato dagli algoritmi degli operatori concorrenti.
Il crimine organizzato
Il Sistema dell’High frequency trading è dunque composto da ingegneri informatici che creano gli algoritmi, dalle società che li utilizzano, dai trader, a libro paga delle società, che li applicano, dalle piattaforme finanziarie che creano un terreno favorevole alla loro operatività, dalle autorità di vigilanza che li coprono. Il tutto in forma stabile e pianificata. Come definire tutto questo se non una ‘organizzazione’? E poiché le azioni messe in atto sono giuridicamente considerate dei reati, e lo scopo è il profitto, come non riconoscere nell’High frequency trading una forma di crimine organizzato?
Si truffassero fra loro, i colletti bianchi della finanza, poco male. Creando nulla, distruggerebbero anche nulla. L’illusione del denaro che crea denaro, la chiamava Marx. O, come dice Gordon Gekko, “il denaro c’è ma non si vede. Qualcuno vince, qualcuno perde. Il denaro di per sé non si fa né si perde, semplicemente si trasferisce, da un’intuizione, a un’altra, magicamente. Quel quadro lì, lo comprai dieci anni fa per 60.000 dollari, oggi potrei venderlo a 600.000; l’illusione è diventata realtà. E più reale lei diventa, più accanitamente la vogliono. Il capitalismo al suo meglio”.
Ma il punto è che non esiste più separazione tra banche d’affari e banche di risparmio, per precisa volontà della politica. Le varie leggi nazionali che negli anni Trenta l’avevano imposta, dopo la crisi del ‘29, l’hanno via via abolita negli anni Novanta, quando il crollo del blocco sovietico ha aperto la strada alla globalizzazione e l’ideologia capitalistica non ha avuto più antagonisti, il neoliberismo è diventato dogma e il libero mercato dei capitali è esploso. Oggi le banche giocano in Borsa con i soldi dei propri correntisti: se perdono, e rischiano il fallimento, ne risente l’economia reale – è la storia dell’attuale crisi, innescata dai mutui subprime statunitensi.
Il punto è che la speculazione Hft gioca anche con i titoli di Stato, gettando nella miseria la popolazione di interi Paesi, come la Grecia.
Il punto è che la sovrastruttura politica usa la finanza come cavallo di Troia per smantellare il welfare e aggredire i diritti del lavoro (6).
Il punto è, in conclusione, che la criminalità organizzata dei colletti bianchi della finanza incide nella società e nella vita dei singoli individui al pari della criminalità in colletto blu. Ma quest’ultima è culturalmente riconosciuta, al contrario della prima.
Da una parte, la consapevolezza del semplice cittadino è pari a nulla. Le idee della classe dominante sono le idee dominanti, scriveva Marx. Ma, com’è ovvio, a livello popolare la cultura capitalistica è il risultato della propaganda, e dunque è stata assorbita nella forma fasulla dell’etica ufficiale: la mano invisibile, la perfetta concorrenza e bla bla bla, e le distorsioni sono una deriva morale da sanare, per approdare a un capitalismo etico.
Dall’altra, le élite dei colletti bianchi hanno invece ben presente che cos’è il libero mercato. Una consapevolezza talmente profonda da far sentire, probabilmente, tutti innocenti. Proprio perché il concetto di ‘crimine’ è un prodotto culturale. Una situazione che ricorda Todo modo, lo straordinario romanzo di Leonardo Sciascia, dove non ci sono colpevoli perché, ci dice lo scrittore, tutti sono colpevoli.
(1) E. H. Sutherland, White collar crime, Yale University Press, 1983. La prima edizione porta la data del 1949, ma fu censurata a causa dei processi intentati da alcune multinazionali citate nel libro
(2) Cfr. Il trading ad alta frequenza, Consob, Discussion papers n. 5, dicembre 2012
(3) Ibidem
(4) Ibidem
(5) D. Glovin – C. Harper, Goldman Trading-Code Investment Put at Risk by Theft, Bloomberg. com, 6 luglio 2009
(6) Cfr. G. Cracco, Europa: le menzogne sul debito pubblico e la costruzione di un nuovo modello di Stato, Paginauno n. 29/2012