Beatrice Fossati
Il diritto calpestato e la visione di Chelsea Manning. I limiti dell’AI Act europeo, le fumose privacy policy, la Black Box, la questione spinosa dei deepfake: crittografia e matematica avanzata ci potranno proteggere?
“Le recenti invenzioni e i metodi commerciali richiamano l’attenzione sul passo successivo che deve essere compiuto per la protezione della persona e per garantire all’individuo il diritto di ‘essere lasciato in pace’ […] Numerosi dispositivi meccanici minacciano di realizzare la previsione che ‘ciò che viene sussurrato nell’armadio sarà proclamato dalle cime delle case’”. Samuel D. Warren, Louis D. Brandeis, 1890
Oggi i sistemi di intelligenza artificiale generativa permettono di creare testi, immagini audio e video pescando a strascico informazioni disponibili nel web o immesse dagli utenti. I deepfake consentono di produrre video o immagini molto credibili e altamente manipolatori che mischiano elementi reali (come il volto o la voce di una persona) con altri contenuti presi da internet o creati artificialmente. A rischio ci sono le nostre identità – più che mai digitali – i dati biometrici come la voce o il nostro volto, che in virtù della loro disponibilità online possono essere presi, saccheggiati, campionati e riutilizzati da applicazioni per gli scopi più svariati, come il caso di Clearview AI, azienda con base negli Stati Uniti che dal 2021 è al centro di polemiche e indagini per aver collezionato oltre 40 miliardi di immagini di persone prese da internet senza consenso, con l’obiettivo di creare una banca dati per la polizia (1). Cosa può essere tutelato a questo punto dei nostri dati e della nostra persona?
La società civile è indubbiamente in balia di una tecnologia che galoppa spesso a briglie sciolte e che in virtù dell’assenza di una regolamentazione puntuale, sovverte i diritti delle persone, spesso in nome del profitto. Parlare di privacy oggi comporta entrare in contatto con diversi saperi: il diritto, la politica, l’economia, la cybersecurity, il funzionamento delle macchine. Il tema è spaventosamente vasto e coinvolge diverse competenze. L’obiettivo di questo articolo è fornire una panoramica dello scenario, certamente non esaustiva, e uscire dal groviglio con una risposta chiara alla domanda: il diritto alla privacy è rispettato?
L’origine della privacy
Prima di affrontare il presente, è interessante tornare all’epoca in cui è nato il concetto di privacy. È accaduto negli Stati Uniti nel 1890, dove si sono poste le basi per il moderno istituto giuridico della privacy con il documento “The right to privacy”, pubblicato sull’Harvard Law Review dagli avvocati Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis. È stato proprio il progresso tecnologico – la stampa quotidiana e il fotogiornalismo – a condurre all’azione i due professionisti, in particolare Warren, colpito dal gossip sulle abitudini mondane della moglie. L’evento portò Warren a ragionare insieme a Brandeis sulla necessità di aggiornare ciò che era consentito per legge, per difendere il diritto alla propria privacy, il diritto a “essere lasciati soli”. In seguito, la Corte Suprema riconobbe la validità del documento e fu posto come base del diritto costituzionale americano…
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