ABOLIAMO LE PRIGIONI? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale, Angela Davis, Minimumfax, 265 pagg., 14,50 euro
Oggi nessuno mette più in dubbio l’istituzione del carcere; si parla al limite di riforma mai di abolizione, evitando accuratamente di ripercorrerne l’evoluzione storica. Introdotta come misura più clemente rispetto alle punizioni corporali, la carcerazione come pena in realtà consente, una volta abolita la schiavitù, di perpetuare lo sfruttamento: leggi ancora fortemente razziste riempiono le carceri di afro-americani trasformandoli da schiavi appena liberati in ‘detenuti in affitto’, manodopera a basso costo per le imprese private. Nel secolo successivo le corporation entrano nel complesso industriale-carcerario: nascono le prigioni private e la detenzione diventa un lucroso affare. Mentre la crisi industriale e la delocalizzazione producono disoccupati – condannati dall’assenza di uno stato sociale al ruolo di ‘criminali’ – ogni carcerato in più diventa fonte di profitto. Abolire le prigioni, sostiene la Davis, non significa demolirne a picconate le mura, bensì la società che le ha prodotte; riflettere “sulle insidie di quella particolare versione di democrazia rappresentata dal capitalismo statunitense”. (Gio Sandri)
PROFONDO NERO, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 295 pagg., 14,60 euro
La caduta dell’aereo di Mattei non fu un incidente; De Mauro scomparve perché stava indagando sulla morte del presidente dell’Eni; a massacrare di botte Pasolini furono più persone. Verità storiche che, al di là delle verità processuali, gli anni ci hanno consegnato. Se il legame tra i primi due eventi è ormai unanimemente riconosciuto, l’uccisione di Pasolini è ancora avvolta nel mistero. Lo Bianco e Rizza, appoggiandosi anche all’inchiesta – archiviata per mancanza di prove – del pm Calia, collegano i tre delitti con “un filo nero come il petrolio”. Un’ipotesi. Tuttavia, la fosca figura di Eugenio Cefis aleggia sulle tre morti; altri personaggi legati alla P2 sono inquietanti co-protagonisti delle tre vicende; il braccio armato della politica della tensione – mafia e delinquenza neofascista – fa capolino nelle tre storie; e approssimazioni e depistaggi accomunano le tre indagini. Pasolini stava scrivendo Petrolio, un romanzo a chiave nel quale proprio Mattei, Cefis e l’Eni erano i soggetti di una trama che ricostruiva la natura sanguinaria ed eversiva del potere politico-economico italiano; dalle pagine del Corsera svelava in tempo reale le dinamiche della strategia della tensione: je accuse. Io so. Noi, chi l’ha ucciso, non lo sapremo mai. Di certo sappiamo solo che l’Italia è paese di misteri, in cui spesso la verità è un’ipotesi senza prove. (Gio Sandri)
SOCIAL KILLER. La rivolta dei nuovi schiavi, Mark Ames, Isbn edizioni, 347 pagg., 29,00 euro
I massacri hanno inizio con Reagan e il neoliberismo; prendono avvio negli uffici postali – il primo ente a essere semi-privatizzato – si estendono ad altri luoghi di lavoro e infine approdano nelle scuole. I media li presentano come opere di pazzi, eppure nessun apparato riesce a tracciarne un profilo: diversissimi tra loro, la sola conclusione è che il ‘pazzo’ potrebbe essere qualunque americano medio. Sempre più spesso, uomini e ragazzini imbracciano un fucile entrano in ufficio o a scuola e fanno una strage. Ames li chiama “omicidi per rabbia”, ne racconta i protagonisti, contestualizza i massacri e propone una tesi difficilmente confutabile: gli impiegati sono i nuovi schiavi, gli studenti vivono un ambiente scolastico simile a quello lavorativo: vessazioni, competizione, repressiva omologazione. E quando è la struttura sociale a generare il crimine, anche un omicidio è un atto politico di ribellione. Una rivolta che come ai tempi della schiavitù non può che assumere la forma di ‘follia’ individuale: sfruttati, terrorizzati di perdere il lavoro, privati di un sindacato e di strumenti legali per far valere i propri diritti, isolati da una cultura dominante che vuole tutto questo ‘normale’ – come era considerata normale la schiavitù – il ceto medio è ‘impazzito’ e si è messo a sparare. Non nel mucchio, non per strada: contro le imprese e la scuola. (Gio Sandri)