I dettagli di un parere giuridico che sancisce le violazioni delle Convenzioni di Ginevra e dell’Aja da parte di Israele in Cisgiordania e Gaza: non si tratta solo di una annessione illegale, è un “regime di restrizioni che costituisce una discriminazione sistemica basata sulla razza, la religione o l’origine etnica”
“Jihad Suleiman Al-Sawafta, 46 anni, ha vissuto per tutta la vita nella sua fattoria nel villaggio di Bardala, nella Cisgiordania occupata. Ma quando i coloni israeliani si sono presentati a dicembre, Al-Sawafta ha detto che la sua terra e il suo sostentamento si sono ridotti a una frazione di ciò che erano prima. «I coloni hanno portato qui un altro colono e lo hanno piazzato nella nostra zona. Gli israeliani hanno costruito una strada che ci separa dalle aree di pascolo e agricole, e i coloni non ci permettono di coltivarle», ha detto alla CNN. Al-Sawafta ha affermato che l’esercito mantiene una presenza 24 ore su 24, garantendo la sicurezza dei coloni, rendendo pericoloso per lui attraversare e prendersi cura delle colture che ha piantato nei campi vicini”. Il 20 marzo 2025 la CNN pubblica l’ennesimo articolo sull’illegale occupazione israeliana della Cisgiordania da parte di Israele (*), una situazione tanto nota a livello internazionale quanto priva di conseguenze per lo Stato ebraico. “Sulla scia degli attacchi guidati da Hamas del 7 ottobre 2023, che hanno innescato l’invasione di Gaza da parte di Israele, i coloni hanno accelerato l’accaparramento di terre con il sostegno dello Stato”, continua la CNN, “secondo un rapporto congiunto condiviso in esclusiva con la CNN da Peace Now e Kerem Navot, due gruppi di pressione israeliani che si oppongono agli insediamenti e ne monitorano lo sviluppo, gli avamposti di pastorizia israeliani sono aumentati di quasi il 50% tra lo scoppio della guerra e dicembre 2024 […]: sul totale dei terreni confiscati dai coloni in Cisgiordania a partire dagli anni Novanta, tramite avamposti di pastorizia, il 70% è stato preso negli ultimi due anni e mezzo”.
Una situazione ben fotografata nel parere giuridico sull’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati, emesso dalla Corte internazionale di giustizia su richiesta dell’Assemblea generale ONU, di cui proseguiamo la pubblicazione – traduzione a cura di Paginauno, la prima parte si trova nel precedente numero (n. 90, marzo/aprile 2025), qui la seconda, la terza uscirà sul prossimo numero. Ancora una volta, a tenere banco sono i dettagli minuziosamente elencati dalla Corte, perché senza di essi non è possibile rendersi conto né della portata delle violazioni del Diritto internazionale operate da Israele, né di quanto il regime di occupazione incida sulla vita quotidiana dei palestinesi di Cisgiordania e Gerusalemme Est, né, infine, dell’arroganza di Israele, che pur consapevole – non può essere altrimenti – dell’illegalità delle proprie politiche, rifiuta ogni richiamo e risoluzione delle Nazioni Unite, arrivando ad accusare l’istituzione internazionale di essere, nelle parole pronunciata da Netanyahu all’Assemblea generale ONU il 27 settembre 2024, una “palude di bile antisemita” (**). Dopo aver analizzato il contesto storico, la questione dell’occupazione prolungata, la legislazione internazionale applicabile al caso Israele/Palestina – tra cui la Carta delle Nazioni Unite, il Diritto Internazionale Umanitario, la Convenzioni di Ginevra e dell’Aja e innumerevoli Risoluzioni ONU – e le politiche di insediamento messe in atto da Israele – sostegno agli avamposti e ai coloni, trasferimento e/o spostamento forzato della popolazione civile palestinese, confisca o requisizione di terreni, sfruttamento delle risorse naturali e violenza contro i palestinesi – (***) in questa seconda parte la Corte si focalizza sull’aspetto dell’annessione territoriale e della discriminazione.
Come prima cosa, il diritto internazionale stabilisce che “l’occupazione è una situazione temporanea per rispondere a necessità militari e non può trasferire il titolo di sovranità alla potenza occupante”, la quale ha quindi “il dovere di amministrare il territorio a beneficio della popolazione locale”; “di conseguenza, la condotta che dimostri l’intenzione di esercitare un controllo permanente sul territorio occupato può indicare un atto di annessione”. Ed è esattamente ciò che ci troviamo davanti, ormai da decenni. Israele ha infatti “affermato che Gerusalemme Est fa parte del suo territorio”, che essa “non è, in nessuna parte, ‘territorio occupato’ bensì la capitale sovrana dello Stato di Israele”; in aggiunta, ai sensi della Legge fondamentale del 2018, Israele ha dichiarato di considerare “lo sviluppo degli insediamenti ebraici un valore nazionale” e che “agirà per incoraggiare e promuovere la loro istituzione e il loro consolidamento”; “lo stesso vale per la politica israeliana di integrare le infrastrutture in Cisgiordania, inclusa la rete stradale, con quella di Israele, che si traduce nell’intrecciare in un’area contigua gli insediamenti con Israele, frammentando le aree rimanenti della Cisgiordania”: misure “progettate per avere una durata indefinita, come dimostrato dal fatto che non sono facilmente reversibili”. In conclusione, “le azioni di Israele che costituiscono di fatto un’annessione includono l’espropriazione di terreni e risorse naturali, la creazione di insediamenti e avamposti, il mantenimento di un regime di pianificazione e costruzione restrittivo e discriminatorio per i palestinesi, e l’estensione della legge israeliana extraterritoriale ai coloni israeliani in Cisgiordania”.
A seguire, la Corte è chiamata a rispondere se Israele adotti o meno misure e legislazioni discriminatorie nei confronti del palestinesi. Analizzando il dettaglio delle politiche attuate, la Corte rileva: “Almeno nella misura in cui è applicata a Gerusalemme Est, la politica israeliana sui permessi di soggiorno determina un trattamento differenziato dei palestinesi in relazione al loro diritto di risiedere a Gerusalemme Est”; in aggiunta, l’accesso dei palestinesi alle infrastrutture create da Israele nell’Area C della Cisgiordania, “tra cui un’ampia rete stradale che collega gli insediamenti israeliani tra loro e con il territorio di Israele”, è in gran parte “impedito, limitato o del tutto proibito” – creando impedimenti anche al raggiungimento di siti religiosi – e “laddove è consentito è subordinato all’ottenimento di un permesso di viaggio individuale che non è richiesto per i coloni israeliani”; infine, “meno dell’1% del territorio dell’Area C e il 13% del territorio di Gerusalemme Est sono destinati alla costruzione di infrastrutture per i palestinesi”, che dal 2009 hanno visto “quasi 11.000 strutture di proprietà” demolite da Israele, incluse “più di 4.500 strutture residenziali e di sostentamento, oltre 3.000 strutture agricole e quasi 1.000 strutture idriche, igienico-sanitarie e igieniche”. Per concludere: “La Corte ritiene che il regime di restrizioni globali imposte da Israele ai palestinesi nel Territorio Palestinese Occupato costituisca una discriminazione sistemica basata, tra l’altro, sulla razza, la religione o l’origine etnica”.
Conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e pratiche di Israele nel Territorio Palestinese Occupato, inclusa Gerusalemme Est. Corte internazionale di giustizia – ONU
Politiche e pratiche di Israele nel Territorio Palestinese Occupato. La questione dell’annessione del Territorio Palestinese Occupato
La Corte osserva che la questione posta dall’Assemblea generale si riferisce, in parte, alle conseguenze giuridiche derivanti dalla presunta annessione del Territorio Palestinese Occupato da parte di Israele. Per rispondere a questo aspetto, la Corte deve innanzitutto analizzare il concetto di ‘annessione’. In secondo luogo, la Corte esaminerà le politiche e le pratiche di Israele, al fine di determinare se esse equivalgano ad annessione. Infine, la Corte discuterà la legittimità delle politiche e delle pratiche di Israele…
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