Nello scorso numero di Paginauno abbiamo analizzato i contatti fra il populismo alpino del defunto Jörg Haider e quello separatista del lombardo Umberto Bossi. Abbiamo visto come in ambo i movimenti vi siano degli intellettuali ‘organici’, formatisi tutti in quella nuova destra culturale che si ispira alle tesi imperiali, europeiste, differenzialiste ed etnofederaliste elaborate dal Grece, il think tank della Nouvelle droite di Alain de Benoist (1), persone come Andreas Mölzer, Jürgen Hatzenbichler, Gilberto Oneto e l’avvocato milanese Stefano Vaj, anello di congiunzione fra l’estremismo di destra (visto che collabora dal 1984 alla rivista neonazista L’Uomo libero e, dagli anni ’90, a Rinascita. Quotidiano della Sinistra Nazionale, diretta da Ugo Gaudenzi, ex leader nazimaoista di Lotta di Popolo), i circoli neodestri (è stato membro del Segretariato Studi e Ricerche del Grece, vicino a Guillaume Faye e Giorgio Locchi, e collaboratore di Nouvelle École, la rivista di de Benoist) e l’identitarismo leghista (visto che collabora a La Padania, a Il Federalismo e coordina le attività dell’associazione culturale Terra Insubre). Questi intellettuali utilizzano i partiti populisti per diffondere tesi comunitariste e neorazziste all’interno del ceto medio europeo, cosa un po’ difficile se fatta all’interno di formazioni palesemente neofasciste.
Le idee del pensatoio neodestro, però, non vengono diffuse solamente attraverso movimenti populisti di destra. Un qualunque osservatore riconosce che il Freiheitliche Partei Österreich e la Lega Nord sono partiti xenofobi e populisti di destra. Ma è possibile un’operazione simile attraverso un ‘moderatissimo’ partito membro del Partito popolare europeo? Sì, come vedremo analizzando il caso bavarese.
In Germania esistono due partiti ‘cristiani’: la Cdu (Christilich-demokratische union, o Unione democratica cristiana) e la Csu (Christilich-sozialen union, o Unione cristiano-sociale). I primi sono liberalconservatori di centro-destra, simili a partiti come l’Udc di Casini, ai cattolici del Pdl o alla vecchia destra democristiana. Visto che la Germania è un Paese a maggioranza protestante, la Cdu funge da luogo di incontro fra luterani conservatori e cattolici liberali, accomunati dalla comune identità cristiana. La Csu, invece, è molto più a destra della Cdu ed è, sotto certi aspetti, simile ad Alleanza nazionale e alla Lega Nord. Il suo raggio d’azione si concentra in Baviera, regione storicamente cattolica e da sempre connotata in senso autonomista. La Csu, infatti, è localista, federalista e favorevole all’autonomismo del Land bavarese (2).
Per diffondere queste tesi la Csu non interagisce direttamente col Grece, ma utilizza una sua personale fondazione, creata nel 1977, che gli permette di far interagire direttamente i teorici del federalismo etnico, una forma aggiornata di etnonazionalismo völkisch predicato dai pensatori pangermanici, dall’estrema destra nazista, dalla nuova destra, quelli della destra populista e gli esponenti delle associazioni revansciste fondate dai profughi tedeschi espulsi nel 1945 dai territori dell’Est europeo, con la politica ‘pratica’. Mi riferisco all’Intereg, l’Internationales Institut für Nationalitätenrecht und Regionalismus (Istituto internazionale per il diritto dei gruppi etnici e il regionalismo), un think tank bavarese finanziato dalla Csu attraverso la Bayerische Landeszentrale für Politische Bildungsarbeit, (Ente centrale bavarese di istruzione politica) (3).
L’obiettivo dell’Intereg, fin dall’inizio, consiste nella “relativizzazione degli Stati nazionali” al fine di conseguire “l’affermazione di un diritto dei gruppi etnici e dei princìpi dell’autodeterminazione e dell’autonoma stabilità delle regioni”. Il think tank è il perno della politica estera della Baviera cristiano-sociale fin dai tempi di Franz Josef Strauss ai giorni di Edmund Stoiber. Esistono delle associazioni collaterali all’Intereg, che permettono una maggiore manovra politica a destra: nel 1977, all’interno del Kuratorium, il gruppo che organizza le attività di ricerca dell’Intereg, figuravano personalità, come Theodor Veiter, Otto Kimminisch e Dieter Blumenwitz, che militavano nella Bund der Vertriebenen (BdV) (4), la Sudetendeutsche Landsmannschaft (Sl) (5), che aggrega i nazionalisti tedeschi dei Sudeti e la Fuev, cioè Federalistiche Union Europäischer Volksgruppen o Unione federalista delle comunità etniche in Europa. Altri collaboratori dell’Intereg erano il principe Otto d’Asburgo, deputato dell’Övp, il socialdemocratico ‘di destra’ Peter Glotz (un esponente della Spd critico verso il ’68), l’autonomista altoatesino Karl Mitterdorfer, della Svp, e i teorici del federalismo etnico Guy Héraud, Peter Pernthaler e Fried Esterbauer. Come vedremo, alcuni di questi teorici e di queste associazioni sono collegate direttamente al passato nazista e alla nuova destra europea.
I motivi che spingono il Land della Baviera a desiderare l’autonomismo di intere regioni d’Europa e il federalismo etnico, attraverso il finanziamento di tali associazioni, sono esclusivamente economici. La Baviera, in maniera del tutto simile al nord-est italiano, è uno dei motori economici della Germania. L’autonomismo completo di una Regione – vedi, come esempio nostrano, la campagna elettorale leghista per le elezioni regionali del 2013, con la promessa di mantenere il 75% di tasse in Lombardia – significherebbe una vera e propria ‘secessione fiscale’, visto che si allenterebbe uno dei legami che tengono una zona unita al resto dello Stato-nazione, situazione che recherebbe vantaggi per certi gruppi economici locali.
Il disegno geopolitico dell’Intereg e di queste associazioni – una federazione europea composta da tanti Stati-regione, che ricorda molto l’Europa imperiale e federale di Alain de Benoist & Co. – che porterebbe alla “relativizzazione degli Stati nazionali”, parte dal ruolo strategico svolto dalla Baviera nello scacchiere economico dell’area alpina all’interno del movimento che propugna l’idea dell’Europa delle patrie regionali europee. Il giornalista Bruno Luverà, studioso dei rapporti fra federalismo etnico, pensiero reazionario e nuova destra, cita a riguardo l’etnofederalista tedesco Lutz Roeheld, il quale scrive che, parallelamente alla costruzione di regioni autonome etnicamente omogenee, bisogna costruire regioni economiche per risolvere i problemi delle minoranze tedesche nel Belgio, nell’area tirolese e in Polonia. Come? Potenziando il ruolo della Germania nello scacchiere geopolitico continentale nell’ampio contesto di un ordine federalista europeo.
Secondo Roeheld, visto che le popolazioni “dal punto di vista del federalismo integrale, sono delle grandi comunità linguistiche e culturali, le sole questioni di politica scientifica e culturale devono essere disciplinate, legislativamente, esecutivamente e giudiziariamente a un livello pantedesco” (6). Questo può facilmente avvenire attraverso il federalismo etnico.
Perché? Perché all’interno di questa federazione di Stati-regione, che aggregherebbe in una grande confederazione tutti i popoli tedeschi al fianco di altre comunità, alcune realtà locali otterrebbero un trattamento di favore. Quali? Tutte quelle realtà europee dove esistono enclavi o microcomunità tedesche circondate da realtà diverse, come nei Sudeti, in Belgio (dove vive l’1% di tedeschi), i tirolesi, che abitano fra l’Austria e l’Italia, e altri gruppi, specie nell’est europeo. Come? Attraverso la nascita degli Stati-regione transfrontalieri.
La Regio Egrensis, le regioni transfrontaliere e il federalismo etnico neodestro
L’Intereg, fra il 1988 e i primi anni ’90, periodo contraddistinto dalla crisi dei Paesi sovietici, ha promosso la nascita della Regio Egrensis, una regione transfrontaliera europea fra la Germania e la Repubblica Ceca corrispondente ai Sudeti, in modo da favorire, secondo l’esponente dell’Intereg Rudolf Hilf, la cooperazione economica fra Est e Ovest per liquidare l’annosa questione fra tedeschi autoctoni, ‘espropriati’ delle loro terre dal governo comunista cecoslovacco, e i cechi. È una soluzione che l’Intereg propone anche per la zona tirolese, che diverrebbe l’Euregio tirolese, zona transfrontaliera che comprenderebbe tutto il Tirolo (Nord e Sud), in modo da renderlo autonomo sia da Roma che da Vienna. Colpisce il fatto che Luverà citi in alcuni suoi studi un documento, la Magna Charta Gentium et Regionum, proposta dall’Intereg in occasione della Conferenza internazionale di Maribor, in Slovenia, fra il 3-5 febbraio 1992, in cui si auspica il modello etnofederale per tutti i gruppi etnici europei (art. 11) e il superamento della forma statale centralistica (art. 17), il tutto in corrispondenza con il mattatoio balcanico proprio in quella che fino a un anno prima era la Jugoslavia (7).
È noto a tutti il fatto che gli Stati settentrionali della Federazione Jugoslavia, cioè la Slovenia e la Croazia – faccio questa puntualizzazione senza avere in alcun modo simpatie titine o serbe – accentuarono il loro desiderio di distacco da Belgrado perché erano le regioni più ricche dello Stato. Ed è noto a tutti il lavorio di Stati come la Germania per favorire queste tendenze secessioniste in seno ai croati e agli sloveni, facendo leva sulle citate ragioni egoistiche (di tipo economico), che permisero la rinascita di sentimenti revanscisti che si basavano su realtà storiche come lo Stato autonomo croato (retto dai fascisti ustascia di Ante Pavelic durante la guerra, responsabile del genocidio di serbi, ebrei e zingari) e la Slovenia in era asburgica. Una grave responsabilità che molti dimenticano o fanno finta di non ricordare.
Si accennava in precedenza ad alcuni componenti del Kuratorium dell’Intereg, personalità come Guy Héraud e Theodor Veiter, il primo ideologo del federalismo etnico e il secondo esponente di spicco della Bund der Vertriebenen, associazione che sostiene la causa dei tedeschi espulsi dai Paesi dell’Est dopo il 1945. Chi sono costoro?
Guy Héraud, uno dei massimi teorici del federalismo etnico, è stato un professore universitario francese, ed è stato coautore, assieme a Bossi e a Haider, del libro Europa der Regionen, uno dei testi base del regionalismo etnico curato da Mölzer e Hatzenbichler, i teorici neodestri austriaci al servizio del Fpö (8). Héraud, nel 1968, è stato uno dei primi in Europa – se si escludono i neofascisti francesi di Europa-Action, gruppo da cui si sviluppò la nuovelle droite, il cui principale teorico, Jean Mabire, ex collaborazionista, era un’autonomista normanno – a teorizzare l’idea del federalismo etnico nel saggio Les principes du fédéralisme et la Fédération européenne. Nel saggio Héraud propone la nascita di un nuovo ordine europeo fondato su un nuovo modo di concepire la sovranità. “Al posto di quella tedesca, francese, italiana”, scrive Héraud, “dovrebbe configurarsi un’unica sovranità, che nell’ambito di una comunità federale risulterebbe strenuamente diluita: la sovranità europea” (9).
La sua idea geopolitica è simile a quella della nuovelle droite. Infatti, come ci ricorda Luverà, “nella visione etnofederalista di Héraud la mappa geopolitica dell’Europa andrebbe ridisegnata attraverso la nascita di una Federazione europea etnica, costruita da Regioni-Stato, etnicamente omogenee. Nell’edificio europeo etnocentrico (Comuni-Stati regionali-Federazione) non vi sarebbe posto per lo Stato nazionale eterogeneo, perché secondo Héraud e i fautori dell’etno-federalismo «la convivenza interetnica, e l’esperienza lo dimostra, produce irrisolvibili conflitti fra nazionalità »” (10). Lo Stato multietnico, infatti, è qualcosa di riprovevole perché è “il più nefasto vettore di divisione, un ostacolo alla cooperazione fra i popoli e una minaccia alla pace” (11), in totale sintonia con le idee di Alain de Benoist: “Quando due popoli nettamente differenti dal punto di vista etnoculturale convivono, nel momento stesso in cui si oltrepassa un certo limite scaturiscono difficoltà di ogni sorta: discriminazione, segregazione, decadimento culturale, delinquenza” (12). Questa sintonia è tutt’altro che casuale, visto che Héraud compare nel Comité de patronage della rivista della nuovelle droite Nouvelle École nel 1971 (13).
Héraud non ha collaborato solo con la nuova destra francese, ma pure con quella europea: troviamo suoi saggi su Junges Forum, diretta da Henning Eichberg, il teorico neodestro dell’etnopluralismo, periodico a cui collabora anche Luc Pauwels, leader della Delta Stichting, il pensatoio della nieuw rechtse (nuova destra) fiamminga, direttore di TeKoS e anello di congiunzione fra il pensiero neodestro e gli indipendentisti fiamminghi di destra del Vlaams Blok e, ora, del Vlaams Belang (14). Yvo. J. D. Peeters, uno dei discepoli di Héraud, oltre a Junges Forum, collabora al settimanale neodestro Junge Freiheit.
L’Intereg quindi, anche se finanziata dai ‘moderatissimi’ cristiano-sociali bavaresi, flirta con personalità della nuova destra. Il Grece, quindi, oltre al citato Mabire, ha avuto alla sua corte Héraud, uno dei massimi teorici del federalismo etnico. Il nostro Héraud, oltre a collaborare con l’Intereg e con la nuova destra culturale europea, ha avuto moltissimi contatti anche con la Lega Nord, specie quando essa predicava la secessione della Padania dal resto del Paese. Il teorico, infatti, collaborò alla rivista leghista Federalismo & Società, dove si scagliò contro l’“idea civico-volontarista” nata dalla Rivoluzione francese in nome della nascita di una Blutdemokratie (democrazia del sangue etnica) (15), e, nel marzo del 2000, in occasione del suo ottantesimo compleanno, la Lega patrocinò a Venezia un incontro dal tema L’Europa delle Etnie e delle Regioni alla presenza di Borghezio, Yvo Peeters (Intereg) e di Massimo Fini, giornalista e leader del Movimento Zero, gruppuscolo antimondialista e antiliberale che predica la decrescita, il federalismo dei popoli, l’anticapitalismo, la democrazia diretta (16).
Il Movimento Zero ha redatto un manifesto politico, il Manifesto dell’Antimodernità, firmato da – tanto per cambiare – Alain de Benoist. In questo convegno Héraud citò uno dei suoi maestri, Max Hildebert Boehm, esponente dell’ala völkisch della Rivoluzione conservatrice tedesca e in seguito nazista (17), incaricato dal ministero degli Esteri nazista von Ribbentropp di elaborare una teoria del diritto delle minoranze che giustificasse la protezione delle minoranze tedesche in Europa il tutto contemporaneamente alla discriminazione delle minoranze di etnia ebraica che abitavano nei territori del futuro Reich germanico (leggi promulgate a Norimberga nel 1935). Il giornalista Bruno Luverà cita lo studioso tedesco Dick Gerdes, il quale mette in risalto come Max H. Boehm abbia modernizzato nella seconda metà degli anni ’30 le citate teorie völkisch di Riehl sulla centralità della tribù, sull’insediamento, sulle usanze e sulla lingua – che risalivano ai tempi del romanticismo tedesco, cioè al XIX secolo – concetti, che possiamo tranquillamente definire anti-illuministi e reazionari, che si esprimono con l’idea di radicamento blut und boden (sangue e suolo), ordinamento del popolo (il volk, da non intendere nell’accezione marxista, ma etnica), e volkstum, “che trovano il loro coronamento nella volontà appassionata verso il Reich nazionalsocialista” (18).
L’Intereg, inoltre, pubblica come organo ufficiale la rivista Europa Ethnica, pubblicazione che ha avuto Héraud come coautore per numerosi anni.
Europa Ethnica, e questo colpisce notevolmente chiunque sia disgustato dalla retorica etnocentrica e völkisch predicata dai nazionalsocialisti, si ispira graficamente e nei contenuti – moderandoli, ovviamente – alla rivista nazista Nation und Staat, periodico che diffuse negli anni ’30 le tesi pangermaniche e neoromantiche in tutto il mondo tedesco. Sul n. 1 di Europa Ethnica, datato 1958, comparve sull’editoriale redazionale, intitolato: “Da Nation und Staat a Europa Ethnica. Europa Ethnica continua sugli obiettivi ideali di Nation und Staat” (19). Insomma, per chi avesse ancora dei dubbi. Come spiega sempre Luverà, nel 1994 l’esponente dell’Intereg Felix Ermacora venne incaricato dalla direzione di Europa Ethnica di commemorare Theodor Veiter, ex esponente del Kuratorium dell’Intereg, membro della Bund der Vertriebenen, l’associazione dei profughi tedeschi espulsi dai territori del Reich, e teorico völkisch. Fin qui nulla di strano.
Sta il fatto che Veiter, come ci spiega Luverà nella sua biografia di Haider, è stato un teorico antisemita. In un suo libro datato 1938, anno del pogrom antiebraico in Germania meglio noto come “la notte dei cristalli”, Veiter scrive che la messa in discussione dei valori che tenevano uniti il popolo tedesco, diviso in tanti Stati-nazione che lo indebolivano, attraverso il giudaismo “dimostra come gli ebrei per il loro modo di pensare, si siano esclusi dallo spazio della vita etnica delle altre nazioni e che dalle altre nazioni debbano essere anche esclusi” (20).
Queste sono le idee dei maestri di uno dei principali teorici del federalismo etnico europeo, collaboratore alla stampa della nuova destra e, cosa che colpisce ulteriormente, della Lega Nord e dei ‘moderati’ della Csu. La Magna Charta Gentium et Regionum prima citata, è stata redatta anche da Veiter, la cui versione aggiornata del 1999 è stata spedita, col patrocinio dell’Intereg, a tutti i consigli regionali e provinciali delle zone d’Europa abitate da minoranze etniche, come il Consiglio provinciale di Bolzano.
La Fuev, un’associazione separatista in odore di nazismo?
Un’altra associazione, collegata direttamente all’Intereg e utilizzata dal governo bavarese per portare avanti la sua politica estera è la citata Fuev.
Questa associazione, il cui acronimo sta per Federalistiche Union Europäischer Volksgruppen, o Unione federalista delle comunità etniche in Europa, si batte per la preservazione delle comunità etniche esistenti sul continente. Fin qui nulla di errato. Preservare le tradizioni folkloristiche di un popolo è qualcosa di nobile, specie se esso è minacciato da fenomeni come la globalizzazione e l’americanizzazione forzata. Ma la Fuev, secondo il periodico QuestoTrentino, è un’associazione “separatista in odore di nazismo”.
Come mai? Per il suo modo di intendere il concetto ambiguo di “gruppo etnico”. Questo, secondo la Fuev, è da intendersi come una comunità che si definisce “attraverso caratteri che vuole mantenere come la propria etnia, lingua, cultura e storia”. Dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Urss, tre milioni di cittadini di origine tedesca erano presenti negli Stati post sovietici, per cui Bonn, dopo il 1989, ha iniziato a finanziare la Fuev, senza contare i finanziamenti della regione Trentino Alto-Adige attraverso le anime più conservatrici della Svp, un partito che in passato, vista la sua definizione di ‘popolare’, si imparentava sempre con la Dc (21). Ma non c’è da meravigliarsi, visto che tali dinamiche sono portate avanti in Germania, non dalla Npd o dalla Dvu, palesemente neonazisti, ma dalla Csu bavarese, democristiana.
Tali tesi in Italia, è il caso di dirlo, non si limitano al semplice universo leghista, ma sono molto diffuse in una regione come l’Alto-Adige sia fra i moderati della Svp, come già detto, sia in un partito che intrattiene rapporti con la Lega Nord che si chiama Die Freiheitlichen, che si ispira direttamente ai populisti di destra austriaci, un tempo guidati da Haider. La Fuev, che come prima sottolineato riceve finanziamenti diretti dalla regione Trentino Alto-Adige, secondo Alessandra Zendron non si è completamente posta in discontinuità con il suo passato ambiguo: di che tipo?
Per esempio, per la giornalista di QuestoTrentino la Fuev diffondeva dal 1996 l’Handbuch der Minderheiten, cioè il Manuale dei gruppi etnici, un testo razzista scritto dal vicepresidente dell’associazione. Non solo. La Fuev, che dovrebbe battersi a favore di tutte le minoranze etniche d’Europa, alla prova dei fatti, come è evidente nel caso della regione Trentino Alto-Adige, si spende esclusivamente per le minoranze di etnia tedesca, come avveniva con le associazioni pantedesche durante gli anni ’30, arma utilizzata dai nazisti per portare avanti una politica estera a favore dell’unità dei popoli di cultura e lingua tedesca. Questo, con una legge regionale che parla di minoranze in generale, non solo di quelle di lingua tedesca.
Nel 2001, anno della pubblicazione dell’articolo della Zendron, l’assessore provinciale alla cultura di lingua tedesca, che è anche vicepresidente dell’associazione pantedesca, affermava che ne facevano parte i rappresentanti di 75 gruppi etnici, cosa smentita da un’ex vicepresidente della Fuev durante un’intervista rilasciata a Dolomiten. Nel citato n. 1 della rivista Europa Ethnica, comparve un’interessante articolo in cui veniva elogiata l’opera dei Congressi dei popoli fra le due guerre, ergo, in era nazionalsocialista, a favore delle minoranze tedesche sparse su tutto il continente (non dimentichiamoci che all’inizio Mussolini non aveva simpatie per Hitler proprio per la questione del Südtirol; il nazismo, prima di avvicinarsi al fascismo, finanziò le associazioni revansciste tedesche trentine per destabilizzare la regione; moltissimi altoatesini, inoltre, servirono nella Wehrmacht e nelle Waffen-SS e nel secondo dopoguerra il neonazismo tedesco finanziò l’opera terroristica dei separatisti altoatesini).
La questione dell’etnismo nelle regioni transfrontaliere, che fu una delle cause della seconda guerra mondiale, è una questione molto seria. Le minoranze esistono, ma vanno rappresentate all’interno di una cornice ideologica capace di esaltare il rispetto dell’individuo all’interno della società, e non la reazionaria ‘comunità di destino’. È un problema che non si limita al semplice neofascismo, fenomeno sempre più ridimensionato in tutta l’Europa occidentale (a eccezione della Grecia di Alba Dorata). Infatti, è negli ambienti più conservatori della Svp e dei Freiheitlichen tirolesi che si è diffusa la logica etnarchica che cerca il superamento della triade rivoluzionaria, democratica e inclusivista Liberté Égalité Fraternité con l’esclusivista e suprematista Identité Inegalité Communauté, una logica sopravvissuta alla sconfitta del nazismo e a quella del comunismo, una logica che ha permesso il ritorno di temi come l’identità etnica, temi che non fanno appello alla ragione di illuminista memoria, ma alle emozioni, ai sensi di colpa e alla paura di chi, sentendosi in dovere di appartenere ‘anima e cuore’ a un insieme più ampio, a un gruppo, a una tribù, a una patria, a un’Heimat, a una piccola o grande volkgemeinschaft, non si sente di poter affrontare il giudizio altrui e l’ostracismo degli altri membri del gruppo.
L’etnismo identitario, elaborato ed esportato in tutta Europa anche dalla nuova destra di Alain de Benoist & Co., fa leva sull’egoismo della comunità che si chiude in se stessa per evitare il dialogo e il contatto con l’altro. E per fare questo, la comunità e chi la dirige fa sempre appello a richiami ancestrali, irrazionali come la tradizione, la religione, gli antenati e la patria, sia essa esistente e nazionale, o regionale o fittizia, come la nostrana Padania esaltata da Bossi, Maroni & Co.
(1) L’acronimo Grece corrisponde a Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne, o Gruppo di ricerca e di studio per la civiltà europea; cfr. grece-fr.com e alaindebenoist.com
(2) La Csu nel suo programma si autodefinisce come un “partito europeo per l’ordine federale, l’identità nazionale e la molteplicità regionale” e si batte per “l’introduzione di un garantito diritto internazionale dei gruppi etnici e un diritto delle minoranze affermativo”. Cit. da CSU, Landesleitung, Grundsatzprogramm der Christilich-Sozialen Union in Bayern, 1993, p. 124, cit. in B. Luverà, I confini dell’odio. Il nazionalismo etnico e la nuova destra europea, Editori Riuniti, 1999, p. 119. L’Unione cristiano-sociale, in maniera del tutto simile ai conservatori postfascisti di An e a quelli della Lega Nord, è contraria alla società multietnica “perché non vogliamo la nostra cancellazione”. Ibidem, p. 119
(3) Cfr. B. Luverà, I confini dell’odio, cit., pp. 119-142; Id., L’internazionale regionalista fra maschera e volto, in LiMes, n. 3, 1996; Id., Prospettive e rischi del neoregionalismo europeo, in Il Mulino, n. 1, 1996
(4) La BdV è l’associazione regionale dei tedeschi espulsi dopo il 1945 dai territori orientali del Terzo Reich. La BdV nasce grazie al contributo del Land della Baviera, dell’Intereg e su iniziativa dei profughi dei Sudeti, la regione popolata da tedeschi grazie a cui Hitler invase la Cecoslovacchia. Il BdV non riconosce gli attuali confini della Germania
(5) La Sl è la lega dei profughi dei Sudeti
(6) L. Roeheld, Regionalismus in Europa und deutsche Frage, in J. Slugocki (a cura di), Regionalism in Europe, Ginevra, European Centre for Regional ad Ethnic Studies, 1993, p. 83-84, cit. in B. Luverà, I confini dell’odio, cit., p. 121
(7) Cfr. Magna Charta Gentium et Regionum, in S. Devetak, S. Flere, G. Seewann (a cura di), Kleine Nationen und etnische Minderheiten im Umbruch Europas, Slavica, 1993
(8) Cfr. A. Mölzer, J. Hatzenbichler (a cura di), Europa der Regionen, Stocker, 1993
(9) G. Héraud, Die Prinzipien des Föderalismus und die Europäiche Föderation, Intereg, 1978, p. 64. Il corsivo è dell’Autore
(10) B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, Einaudi, 2000, p. 179. Luverà cita a riguardo G. Héraud, Die Prinzipien des Föderalismus und die Europäiche Föderation, Intereg, 1978, p. 50
(11) G. Héraud, Contre les États les Régions d’Europe, Presses d’Europe, 1973, p. 17
(12) A. de Benoist, Le idee a porto, Akropolis, 1983, p. 159. Secondo il teorico della nuova destra lo Stato giacobino in Francia, inoltre, avrebbe eliminato le differenze regionali (cioè i particolarismi feudali), mentre ora, si veda il caso degli Usa, attraverso la promozione del melting pot e dell’immigrazione, è per la cancellazione delle ‘naturali’ differenze culturali e perciò, “negli effetti, se non nelle intenzioni, un certo antirazzismo si mostra equivalente ai peggiori razzismi, perché sfocia nell’etnocidio, vale a dire la scomparsa delle etnie in quanto tali”. Ibidem, p. 152
(13) Cfr. Nouvelle École, n. 11, gennaio-febbraio 1971
(14) Cfr. P. Rentmeesters, Nieuw Rechts in Vlaanderen: een onderzoek naar de doorstroming van de Nieuw Rechtse ideologie in het Vlaams Blok, VUB, 1994 e P. Commers, De Conservatieve Revolutie in Vlaanderen. Een kritische analyse van het Nieuw Rechtse tijdschrift “Teksten, Kommentaren en Studies”, KUL, 1997
(15) Héraud scrive che “nel nome di questa volontà [l’idea civico-volontarista della Rivoluzione francese, n.d.a.] vengono sacrificate, sull’altare di una realtà artificiale scaturita dalle violenze e dalla casualità della storia, delle comunità naturali che sono il prodotto di una evoluzione organica e che presentano una perfetta unità. Nel nome di una volontà postulata, senza alcun rimorso, vengono consegnate delle nazioni, o parti di esse, alla legge della maggioranza etnica che domina lo Stato”. G. Héraud, Le comunità linguistiche alla ricerca di uno statuto, in Federalismo & Società, n. 2, 1996
(16) Cfr. Domani nel “Padania Day” convegno a Venezia. Viva l’Europa delle Regioni, n. f., in La Padania, 31 marzo 2000. Fini espose la seguente relazione: “Il futuro delle realtà etniche e regionali in Europa di fronte alle spinte all’omologazione”
(17) Max H. Boehm fondò nel 1919, insieme ai rivoluzionario-conservatori Arthur Moeller van den Bruck e Heinrich von Gleichen, il Juni-Klub, uno dei club che, assieme all’aristocratico Herrenklub, contattò il tradizionalista italiano Julius Evola. Cfr. S. Breuer, La rivoluzione conservatrice, Donzelli, 1995, p. 70
(18) D. Gerdes, Frankreich – “Vielvölkerstaat“ vor der Zerfall?, in Aus Politik und Zeitgeschichte, n. 12, 1980, p. 7, cit. in B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, cit., p. 181
(19) Europa Ethnica, n. 1, 1958
(20) Th. Veiter, Nationale Autonomie. Rechtstheorie und Verwirklichung im positiven Recht, Wien-Liepzig, Braumüller, 1938, p. 206, cit. in B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, cit., p. 182
(21) Cfr. A. Zendron, La Regione e la Fuev. 70 milioni di denaro pubblico a una associazione dalle indubbie nostalgie razziste?, in QuestoTrentino, 21 aprile 2001