Beatrice Fossati
Vivere per sempre: realtà virtuale e intelligenza artificiale promettono di sconfiggere la morte e il dolore: il metaverso che ci vuole per sempre connessi e per sempre disponibili
“Maybe I don’t really wanna know How your garden grows ‘Cause I just wanna fly Lately, did you ever feel the pain In the morning rain As it soaks you to the bone?” Oasis, Live Forever
Una fiction può trasformarsi in realtà? Sì, accade con Black Mirror, una serie televisiva che viene presa come parametro quando ci si confronta con scenari tecnologici inquietanti. La fiction britannica, lanciata nel 2011 e scritta da Charlie Brooker, è ambientata in un futuro distopico, seppur non troppo lontano dalla realtà in cui viviamo. Il titolo Black Mirror è un chiaro riferimento allo schermo nero di smartphone, computer e tv, nei quali ci rispecchiamo. Ciascun episodio trasporta lo spettatore in scenari futuri, mostra l’uso di dispositivi che non esistono ma si agganciano concettualmente a quelli oggi già presenti, trasformando in vittime i protagonisti della serie: condannati a subire quello che la tecnologia impone.
Nell’episodio Be Right Back, uscito nel 2013, il tema è la morte e l’immortalità. Martha e Ash sono una giovane coppia felice. Ash muore in un incidente stradale. Martha è distrutta dal dolore. Al funerale, per consolarla, un’amica le parla di un servizio online che potrebbe aiutarla: si tratta di una app in grado di raccogliere online e sui social media tutte le informazioni disponibili di Ash, per costruire una sua identità virtuale. Dopo un’iniziale resistenza, Martha cede. La scoperta di essere incinta del compagno scomparso la porta a ricercare una connessione con lui, accettando di esplorare il servizio suggerito dall’amica. Prima solo attraverso la scrittura, poi il contatto si trasforma in telefonico, infine, assuefatta, si convince a fare il passo successivo e ad accedere alla versione premium seppur sperimentale, ovvero la riproduzione del defunto marito in carne sintetica.
Martha si ritrova così in casa una versione del tutto somigliante ad Ash, ma è una macchina che non respira, non mangia, e che interagisce solo dietro sollecitazione o richiesta della stessa Martha; la quale si rende presto conto che per quanto identico ad Ash, nel corpo e nella voce, l’automa sia molto lontano dalla persona che era il suo compagno.
E qui ci fermiamo. Perché lo scopo di questa analisi non è condividere la sintesi di una serie tv, ma di osservare cosa sta accadendo oggi, a distanza di quasi dieci anni.
Dalla fiction alla realtà, virtuale
Arthur Sychov è il CEO e fondatore di Somnium Space, una piattaforma open source nata nel 2017 in cui gli utenti possono acquistare ‘lotti’ di terreno digitale, costruire case, progettare videogame e molto altro. Quello che oggi chiameremmo un metaverso. In una recente intervista online, in cui si è presentato sotto forma di avatar, passeggiando in uno scenario virtuale, ha raccontato la sua visione (1): “Mentre creavo lo spazio Somnium, mentre creavo il mondo, mio padre era in ospedale e ho pensato: come possiamo utilizzare questa incredibile tecnologia?”. Live Forever è il risultato di questa riflessione e Sychov sta progettando di renderla un’opzione disponibile su Somnium Space, dove chi vorrà potrà registrare i propri comportamenti e renderli disponibili dopo la propria morte. “Se muoio – e ho fatto raccogliere questi dati – le persone o i miei figli potranno accedere e avere una conversazione con il mio avatar, che avrà la mia gestualità e la mia voce”, racconta. “Incontrerai la persona che ero. E per i primi dieci minuti non capirai che si tratta di un’intelligenza artificiale. Questo è l’obiettivo” (2).
Com’è possibile riprodurre un defunto nel metaverso?
“Ho pensato che possiamo registrare tanti campioni audio di una persona mentre legge o dice qualcosa, questo è ovviamente un aspetto. Ma la realtà virtuale è molto più olistica, e molto più di una semplice voce o di un testo o di una semplice azione; in realtà, è tutto questo combinato.” Continua Sychov: “La quantità di dati che potremmo raccogliere su di te è probabilmente dalle 100 alle 300 volte più ampia, realisticamente parlando, di quanto avviene tramite uno smartphone. La tecnologia della realtà virtuale può raccogliere informazioni sul modo in cui muovi dita, bocca, occhi e tutto il tuo corpo e identificarti rapidamente in modo più preciso di un’impronta digitale” (3).
Rispetto allo scenario proposto da Black Mirror, che si limita a fare incetta dei dati disponibili online, qui si partirebbe dunque collezionando i movimenti della persona (che prima o poi morirà): “Quando siete nella realtà virtuale, otteniamo una quantità enorme di dati su di voi: tutti i movimenti, tutti i dati biometrici, tutti i suoni, tutti i gesti e tutto ciò che è incluso nello spazio virtuale. Possiamo anche registrare il battito cardiaco e utilizzare questi modelli per ricrearne una funzione realistica”. La parte sensoriale sarà supportata da un’azienda partner di Somnium Space, che ha progettato tute che consentono “di trasmettere un feedback aptico e catturano sia il movimento che i dati biometrici” (4).
E se i dati non dovessero bastare? Se il tempo di registrazione dovesse improvvisamente interrompersi causa morte? L’intelligenza artificiale potrà essere di supporto: “Applicando l’IA a tutto ciò, possiamo ricreare voi, o il vostro avatar, o il vostro second you in modo molto più realistico. E poiché l’intelligenza artificiale si sviluppa così rapidamente, nel tempo possiamo rendere, anche con un insieme limitato di dati, il vostro second you migliore”.
Ma lo scenario del possibile si spinge oltre: “Cosa succede se continuiamo a raccogliere i dati o a raccogliere la seconda serie di dati sul tuo avatar IA, che è già stato creato dalla serie di dati reali? Pensateci. Sareste una sorta di personalità in evoluzione, perché incontrerete persone negli ambienti virtuali e il vostro avatar, il vostro second you, interagirà con quelle persone”. Potremo vivere per sempre, con in più la possibilità di evolverci nello spazio digitale.
Potremo lasciare una traccia: “Non sto vivendo solo per i miei pensieri, le mie idee, il mio io interiore che ha vissuto qui. Le persone potranno ancora comunicare con me e avere un’idea di chi fossi durante la mia vita”. Sychov immagina un futuro in cui “forse i figli dei vostri figli saranno in grado di avere una conversazione completa con voi, con la vostra identità digitale, in un modo molto più significativo. Sono convinto che sarà così”.
La raccolta di dati sarà consensuale, non è prevista alcuna estrazione del dato e cessione a terzi, così come l’intervento dell’IA dovrà essere scelto volontariamente. L’inizio delle prime registrazioni è previsto entro la fine del 2022.
È chiaro che per Sychov la realtà virtuale e quella reale sono la stessa cosa: “Guardatemi, sono in realtà virtuale, ho la mia telecamera, sono qui in un ambiente spaziale: quando parlo con le persone è come se lo facessi nella vita reale. Ho lo stesso tipo di conversazioni, gli stessi gesti. Faccio tutto come nella vita reale”. E aggiunge: “La coscienza è un insieme di input, un insieme di dati nella nostra mente che, interagendo tra loro, creano il nostro essere, giusto? Chi siete è di fatto un insieme di dati, l’insieme degli input che avete avuto nel corso della vostra vita, mescolati con la vostra percezione di essa. La percezione della vita: ciò che avete visto, ciò che avete fatto, ciò che avete sentito. È questo che fa una personalità, giusto?”. Davvero Sychov? È tutto qui?
Tuttavia non è insolito che persone immerse nel mondo tecnologico vedano dati ovunque, anche negli stessi esseri umani. Come riporta Nicholas Carr nel suo libro Internet ci rende stupidi?, nel 2007 Larry Page, uno dei fondatori di Google, afferma alla riunione plenaria dell’American Association for the Advancement of Science: “La mia teoria è che se guardi alla tua programmazione, al tuo DNA, ci sono circa 600 megabyte compressi, perciò è più piccolo di Linux o di Windows, e tutto questo include anche l’avviamento del tuo cervello. Quindi i tuoi algoritmi di programmazione non sono poi così complicati; [l’intelligenza] ha probabilmente più a che fare con il calcolo globale”. Carr afferma che studi neuroscientifici dimostrano che “i nostri cervelli imitano spontaneamente il comportamento delle altre menti – reali o immaginarie – con cui interagiamo. Questo rispecchiamento neurale aiuta a spiegare perché siamo cosi predisposti ad attribuire caratteristiche umane ai nostri computer e caratteristiche informatiche a noi stessi”.
Ora però scendiamo dalla giostra e prendiamoci un momento per analizzare queste informazioni un po’ per volta, partendo da alcune domande.
Reale e virtuale, quali sono i confini?
Nella società di oggi, con un universo digitale sempre più pervasivo, in che modo possiamo parlare di ‘reale’? In quale dimensione viviamo, in quella materiale o in quella digitale? È rimasto spazio per la morte o dobbiamo vivere per sempre? Peraltro – stando alle prospettive di Sychov – in una modalità che sarà il risultato di un processo artificiale, che con il tempo e l’intervento dell’IA si allontanerà dalla nostra identità originale, diventando un second you e forse anche un terzo e un quarto. E in presenza di avatar con un battito cardiaco, come percepiremo i corpi? Le parole di due filosofi contemporanei possono essere di aiuto nell’identificare dei punti fermi.
Il primo interrogativo che il metaverso sollecita è il confine tra reale e virtuale. Ovvero dove iniziano e finiscono le nostre vite, in presenza di spazi virtuali. Cosa possiamo ancora definire vita?
Jean Baudrillard, sociologo e filosofo, critico rispetto al pensiero scientifico tradizionale, in un articolo del 1999 già aveva una visione chiara di questi confini: “Il reale ci sta pur sempre di fronte, e noi ci confrontiamo con esso, mentre con il virtuale non ci si confronta. Nel virtuale ci si immerge, ci si tuffa dentro lo schermo. Lo schermo è un luogo di immersione, e ovviamente di interattività, poiché al suo interno si può fare quel che si vuole; ma in esso ci si immerge, non si ha più la distanza dello sguardo, della contraddizione che è propria della realtà. In fondo tutto ciò che esisteva nel reale si situava all’interno di un universo differenziato, mentre quello virtuale è un universo integrato” (5). È l’universo integrato scolpito nelle parole del CEO di Somnium Space: “Faccio tutto come nella vita reale”. Nessuna distinzione. In questa dinamica, “nella dimensione virtuale non c’è più né soggetto né oggetto, ma entrambi, in via di principio, sono elementi interattivi”;“da una parte c’era il mondo reale,” continua Baudrillard “e dall’altra l’irrealtà, l’immaginario, il sogno, eccetera. Nella dimensione virtuale tutto questo viene assorbito in egual misura, tutto quanto viene realizzato, iper-realizzato. A questo punto la realtà in quanto tale viene a perdere ogni fondamento, davvero si può dire che non vi siano più riferimenti al mondo reale”.
Si perdono le coordinate spaziali e temporali: “In relazione allo spazio si ha l’impressione che esso si moltiplichi nel mondo virtuale, che si abbia la capacità di abbracciare tutti gli spazi possibili; per quanto riguarda il tempo, al contrario, si percepisce una contrazione straordinaria, la quale fa sì che tutto si riduca all’istante dell’operazione che avviene in quel momento particolare, e che subito dopo non vi sia più ricordo”. Nel virtuale la scansione temporale tra passato, presente e futuro non ha più valore, “il tempo reale è l’istantaneità, è il tempo stesso dell’operazione, e perciò ciascuna operazione ha in un certo senso un tempo proprio, che però non corrisponde più a una cronologia”.
Nel virtuale inoltre ci troviamo in un mondo alternativo, ma è artefatto; non è il risultato autentico della nostra mente, figlio del nostro inconscio, come avviene in sogno: “Soltanto nel sonno, nell’incoscienza e nella morte noi esistiamo in tempo reale e siamo identici a noi stessi”.
Il virtuale, secondo Baudrillard, uccide il nostro rapporto con le illusioni, “vale a dire una parte diversa del nostro rapporto con l’esistente”. E per ‘illusione’ si riferisce a “l’illusione vitale di cui parla Nietzsche, costituita da apparenze, fantasie, e tutto ciò che può essere la forma di una proiezione, come una scena diversa da quella della realtà”.
Nel mondo reale “anche la morte diventa reale e secerne un terrore a sua misura, mentre in un mondo virtuale, facciamo a meno della nascita e della morte, e a un tempo ci liberiamo di una responsabilità talmente diffusa e opprimente che diventa impossibile da assumere”. Il virtuale invece “propone soluzioni semplici, così non dobbiamo esercitare perpetuamente il compito schiacciante di dover distinguere il vero dal falso, il bene dal male ecc.” (6).
Secondo Baudrillard, “questo universo reale, imperfetto e contraddittorio, pieno di negatività, di morte, viene depurato, lo si rende clean, pulito; lo si riproduce in maniera identica ma dentro a una formula perfetta”. Dove persino il tempo si dissolve. È tutto lì, disponibile, in ogni momento e a portata di visore: anche la vita dei nostri cari defunti sarà pronta a ripartire ogni qualvolta lo desideriamo. A mitigare la nostra sofferenza.
Il virtuale elimina negatività e dolore
“La morte e il dolore non rientrano nell’ordine digitale. Rappresentano solo dei disturbi. Persino il lutto e lo struggimento sono sospetti. L’ordine digitale livella la vicinanza rendendola assenza di distanza, affinché non faccia più male. Ogni cosa diventa subito raggiungibile e subito consumabile”, riflette Byung-Chul Han nel suo recente libro La società senza dolore (7). Già, perché nel progetto di Sychov che fine fa il lutto? Il dolore? La trasformazione che ogni fine porta con sé?
Viviamo nella società della prestazione e secondo Byung-Chul Han non c’è spazio per il dolore: “È un segno di debolezza. Qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Non è compatibile con la performance”. Nella società neoliberista dobbiamo produrre, e soffrire potrebbe essere un impedimento. Dunque ogni sofferenza va eliminata: “Nulla deve più far male. Non solo l’arte, ma anche la vita stessa deve essere instagrammabile, ovvero priva di angoli spigoli, di conflitti e contraddizioni che potrebbero provocare dolore”.
La visione di Byung-Chul Han è critica rispetto alla tecnologia: il suo pensiero pone al centro la totale assenza di dialettica nella società di oggi, che porta gli esseri umani a navigare nel futuro a vele spiegate spinti da un eccesso di positività. Mossi da un corale Yes we can! “La positività porta l’essere umano di oggi a non considerare il negativo in ogni sua forma. Anche la morte è negativo. Il dolore è il negativo per antonomasia”. La soppressione del dolore porta inevitabilmente alla fine di ogni possibile trasformazione, qualsiasi processo di catarsi viene reso impossibile. “L’algofobia, la paura del dolore, porta a evitare qualsiasi circostanza dolorosa”.
Sychov cavalca questo bisogno. Mettendo però in grave pericolo quel poco di reale che ci resta o per cui valga la pena lottare: il nostro pensiero, la nostra unicità, la nostra irripetibilità.
Anche in Black Mirror la protagonista realizza che, per quanto uguale nell’aspetto e in alcuni modi, il marito artificiale non è in alcun modo reale. Manca totalmente di imprevedibilità, del mistero che ognuno di noi porta con sé. Poco prima che Ash morisse, Martha aveva scoperto la sua passione per una canzone che lei non avrebbe in alcun modo associato ai suoi gusti; dopo anni passati insieme, pensava di conoscere tutto di lui. Il mistero e l’imprevedibilità rendono autentici e originali gli esseri umani. Per Byung-Chul Han “trasparenza è invece il motto dell’ordine digitale. Essa elimina qualsiasi essere nascosto. Una volta trasformato in dati, il mondo diventa trasparente. Gli algoritmi rendono trasparente, quindi prevedibile e influenzabile, anche il comportamento umano”.
Per funzionare bene, gli algoritmi devono avere una base di dati in ingresso costante. Senza quelli non hanno alcun appiglio, è pur sempre l’essere umano che li istruisce; gli algoritmi costruiscono sulla base di incroci e di calcolo. Ci sono cose che facciamo fatica a confessare persino a noi stessi, ma sono parte integrante delle nostre vite e del nostro essere; come possiamo immaginare che una macchina sia in grado di apprenderle, per giunta solo attraverso i movimenti? Nel virtuale, l’inconscio sparisce. “Al contrario del calcolo, il pensiero crea uno sguardo diversissimo sul mondo, proprio un altro mondo. Solo la vita che vive, che è capace di provare dolore e riesce a pensare. All’intelligenza artificiale manca proprio questa vita”.
Cosa accade però, se anche noi decidiamo di mollare la presa? Lasciando alle macchine il compito di decidere, al posto nostro, i percorsi, le relazioni e la nostra stessa vita oltre la morte? Ci giochiamo la nostra umanità. In questo processo la relazione è compromessa, l’Altro scompare. Come afferma Byung-Chul Han, “nel virtuale manca la distanza originaria: l’altro non è un tu. Viene reificato diventando un Es”. L’Altro diventa una cosa, non è più un essere vivente.
Mentre la morte di qualcuno a cui teniamo provoca resistenza, negazione. L’Altro non c’è più, non è più qui con noi e non lo potremo mai più raggiungere, non ci potremo mai più parlare. C’è tensione tra il desiderio che la morte non sia accaduta e il senso di vuoto, da cui ci sentiamo improvvisamente invasi e sopraffatti. Affrontare un lutto può portare a sentirsi incapaci di distinguere il reale dall’irreale: è accaduto davvero, non lo sto sognando? Ma è un’irreale vivo, pienodi emozioni, di sofferenza. È un confronto, perché anche se non vogliamo accettare la realtà, ci pone faccia a faccia con il dolore. Ma è dal confronto tra negazione e accettazione della mancanza, che ci trasformiamo. “Il dolore è realtà. Sortisce un effetto di reale. Noi percepiamo la realtà soprattutto a partire dalla resistenza, che provoca dolore”; “il dolore apre un’altra visibilità. È un organo percettivo che oggi abbiamo smarrito. L’ordine digitale è anestetico. Abolisce determinate forme temporali e percettive. Heidegger direbbe che conduce alla dimenticanza dell’essere”.
La vita, il significato stesso della nostra esistenza, si trovano oggi in serio pericolo. Anche se le sue parole sembrano ispirate da accadimenti recenti, Baudrillard ci dava già per spacciati nel 1999: “Noi, ossessionati dalla realtà oggettiva, scarichiamo sulla tecnica la nostra illusione di esistere. Allora lo sviluppo tecnologico significherebbe che l’uomo non crede più in una sua esistenza propria e ha scelto una sua esistenza virtuale, un destino per procura. Diventa un’arte di scomparire. La sua finalità non sarebbe più quella di trasformare il mondo, ma avere un mondo autonomo, pienamente realizzato, da cui potremmo ritirarci. Se il mondo deve essere perfetto allora bisogna fabbricarlo. E se vogliamo guadagnare questa sorta di immortalità, anche l’essere umano deve prodursi come artefatto, espellersi da se stesso in un’orbita artificiale dove potrà ruotare per l’eternità” (8).
Quindi che fare? Abdichiamo, così come stiamo già facendo con i nostri dati, perché ‘tanto non abbiamo nulla da nascondere’? Allo stesso modo possiamo vivere una vita circondati da defunti virtuali (non saprei nemmeno come chiamarli), perché non vogliamo più soffrire? Desideriamo lasciare che la tecnologia e la scienza invadano ogni aspetto, l’alterità, l’aldilà, lo sconosciuto, la morte, l’assenza, l’indisponibile?
La scelta
La tecnologia sta smantellando a colpi di confortevolezza ogni negatività. Saremo sempre connessi, sempre disponibili, anche da morti. Il ciclo di vita ci porta inevitabilmente ad avere a che fare con l’assenza, l’irreperibilità, concetti che questa società sta cercando in tutti modi di eliminare, già nell’ambito del lavoro, ora anche nella vita/morte. Per Byoung-Chul Han siamo di fronte alla cancellazione dell’Uomo: “La vita priva di dolore e munita di costante felicità non sarà più una vita umana”. La vita all’interno della dimensione virtuale si auto-elimina perché senza spazio, senza tempo, senza l’Altro, progressivamente senza memoria e quindi senza Storia, sempre attiva in un eterno presente. Cosa resta? “Un’interrotta capacità di prestazione”, ci dice Baudrillard (9). La vita viene sacrificata in nome di una sopravvivenza confortevole. E così diveniamo “attori della performance, sempre più integrati nel suo svolgimento”. Continua Baudrillard: “Siamo indifesi davanti all’estrema realtà di questo mondo, davanti a questa perfezione virtuale” (10). Indifesi, ma indifferenti, immersi in un digitale che non ci fa percepire alcun contrasto, a partire dall’assenza di dolore.
Per poter sistemare le cose, forse, siamo già in ritardo. Per Baudrillard “si tenterà di eliminare davvero la morte, quella individuale: è di essa che parlo, perché della morte in quanto tale resterà comunque il fantasma, uno spettro che attraversa le varie epoche, è vecchio come il mondo, e appartiene alla nostra civiltà in quanto essa è stata la prima a dotarsi dei mezzi tecnici per tentare di realizzare la morte. Finché un fantasma resta fantasma, bene, fa parte dell’immaginario, ma quando d’un tratto si hanno gli strumenti per farlo divenire realtà, allora il pericolo è massimo, direi, proprio in quel momento, perché davvero si rischia di riscontrare come questo fantasma sia egli stesso mortale, nel senso peggiore del termine. Ciò può significare in effetti niente meno che la scomparsa della specie, ma tale è la posta in gioco”. La società può ancora fare qualcosa, continua Baudrillard, “ma deve contemplare un’immagine simile a se stessa, nutrire una qualche specie di nostalgia per un sistema di valori, ma tale sistema di valori viene spazzato via da questa impresa scientifica, o forse para-scientifica”. Possiamo invertire la rotta ma per attivare una trasformazione storica, un rinnovamento radicale, contro un transumanesimo che ci vuole felicemente anestetizzati, dobbiamo tornare a soffrire e a provare emozioni nel mondo reale.
1) Salvo diversamente indicato, tutti i virgolettati riferiti ad Arthur Sychov sono tratti (tradotti) da Inside Somnium Space’s Live Forever mode with Founder & CEO Artur Sychov, intervista rilasciata da Sychov a Kalkine Media, 22 aprile 2022, https://www.youtube.com/watch?v=7rWZG6hOysk
2) Maxwell Strachan, Un’azienda del Metaverso vuole offrire ‘l’immortalità’ ai suoi utenti, Vice, 20 aprile 2022
3) Ibidem
4) Dal sito di Teslasuit, produttrice delle tute
5) Salvo diversamente indicato, i virgolettati di Jean Baudrillard sono tratti da Il virtuale ha assorbito il reale, intervista a Jean Baudrillard a cura di Mediamente-Rai Educational, 26 aprile 1999, https://www.repubblica.it/online/internet/mediamente/baudrillard/baudrillard.html
6) Jean Baudrillard, La scomparsa della realtà, Fausto Lupetti Editore
7) Tutti i virgolettati riferiti a Byung-Chul Han sono tratti da La Società senza dolore, Einaudi
8) Jean Baudrillard, La scomparsa della realtà, op. cit.
9) Ibidem
10) Ibidem