Minimalismo. Il meno è ora, documentario di Matt Davella, 2021
Tu e i tuoi parenti non avevate un cazzo da fare, giusto? Così, per gioco, vi siete messi a fare esegesi sugli studi di Malthus. E da lì v’è scattata l’idea che siamo in troppi sulla Terra… e ora volete rimediare, no? Ok. Per depopolare l’Occidente non potete attuare gli stessi metodi veloci e puliti che avete imposto nelle località ‘esotiche’, nelle quali avete fatto diventare ‘la norma’ combattere infinite guerre senza motivi concreti. Sicché dovreste creare una ‘guerra silenziosa’ affinché i popoli non s’accorgano mai d’essere in battaglia e si auto-eliminino educatamente, senza manco farvi sprecare un proiettile. Per fare ciò dovreste studiare le opere di Goebbels e Reich, stavolta però senza fare esegesi; seguite gli Insegnamenti alla lettera. Lì c’è già tutta la to do list. E ci sarà solo da divertirvi. Con cosa potremmo partire?, mi chiedi, Amico Mio? Mah. Potreste mettere in testa al ceto medio l’idea che vivere da poràcci sia Zen, il che “fa molto fico” e ti eleva. Fateli auto-costringere a prendere tutta la propria roba e a disfarsene; vi basterà metterli a credere che una vita finalizzata a questa Causa (che non è affatto una vera e propria ‘causa’) renderà la loro vita più… Questa se la inventeranno loro stessi …l’Obbiettivo di Minimalismo è questo.
Freaks Out, regia di Gabriele Mainetti, 2021
Ooooh, finalmente ce l’abbiamo fatta. Dunque: anche se migrammo (scappammo!) in America – lasciandovi una forte impronta culinario-economica (esportando cibi a base di carboidrati complessi e organizzazioni criminali di tutto rispetto) – dalla seconda guerra mondiale in poi, qui in Patria siamo sempre stati soltanto una colonia americana. No? Quante basi Nato americane c’abbiamo? Quante basi Nato italiane c’hanno? C’hanno colonizzati militarmente, e con la ‘cultura’ di massa hanno fatto il resto. Siamo americani… senza esserlo davvero. Pertanto di cose, spinti da eccellente fervore nazionalistico-apolide abbiamo tentato più volte di poter essere ancora un po’ più americani anche nell’arte. Abbiamo tentato scimmiottando. Perché abbiamo fallito? Ciò che ci ha impedito di essere americani pure nell’arte è: Se non siamo ‘americani americani’ nel DNA, come facciamo a produrre qualcosa che parte da un ‘quid’ non incluso e non scrivibile nel nostro codice genetico culturale? Presente la ‘dis-percezione cognitiva albertosordiana’? Scegli: o breakfast o spaghetti! Ecco: siamo andati oltre. Però: con Lo chiamavano Jeeg Robot + questo, il grande Mainetti è riuscito a creareun linguaggio cinematografico italiano-italoamericano naturalizzato apolide. Non male, per uno alla seconda opera. No?
Yes Man, regia di Peyton Reed, 2008
Hai mai provato a rispondere SÌ a tutte le proposte che ti fanno ogni giorno solo per vedere che succede? Non penso. Reduce da una serie di scazzi – tolto l’essersi ‘ritrovato per sbaglio’ al centro d’un raduno di esaltati per l’auto-motivazione, riuniti in favore del POTERE DEL SÌ – Jim Carrey lo fa. Uno che viveva dicendo NOa tutto. L’incarnazione del NO si mette a vivere in funzione del SÌ. Dire sempre SÌ a tutto, per un anno intero, non l’ho mai fatto; però c’ho provato, ogni tanto, dai 27 anni sino a mo. Cosa ne ho dedotto? Per far prolassare il Sistema dentro il suo stesso buco di culo, agire sconsideratamente non cambierà nulla… ma cambierà voi. E senza ognuno di voi così come siete sempre stati, Sistema adieu! Iniziatico, eretico, pericoloso; forse non l’hanno mai bandito perché si tende a censurare opere fintamente dotate di spessore, mentre quelle davvero ‘spesse’ in pochi le colgono, perciò le lasciano circolare. Viva l’ignoranza! Provate almeno mezza giornata a dire SÌ a tutti. Poi tornate a casa e studiatevi questo gioiello sovversivo. Il ‘castello’ è sempre rimasto su solo grazie alla meccanicità di noi servi; senza d’essa “conti, draghi e monti vari” al massimo possono andà a ròppe li cojoni solo su Games of Thrones, nel fantasy. Non nella realtà.