41bis e diritto penale del nemico. Dai prigionieri politici, ai mafiosi, a Cospito, dalla teoria di Jakobs alla legge attraverso gli anni ‘70 e ‘90 per arrivare all’oggi: inchiesta dentro il 41bis
“Se le scimmie ci hanno insegnato qualcosa, è che devi imparare ad amare prima di imparare a vivere”. Sono parole di Harry F. Harlow, lo psicologo statunitense, noto per i suoi esperimenti condotti sulle scimmie, che alla fine degli anni Sessanta rinchiuse dei macachi in gabbia per studiare gli effetti negativi prodotti dall’isolamento prolungato. Per le piccole celle a forma di piramide rovesciata, Harlow seleziona dei cuccioli che hanno già avuto dei rapporti sociali con altri animali della loro stessa specie, in modo che subiscano il passaggio alla totale segregazione: da una condizione relazionale, le scimmiette si trovano al buio, senza possibilità di guardare all’esterno e l’unico contatto con un essere vivente è rappresentato dalle mani della persona che quotidianamente si occupa di fornire acqua e cibo. Alcuni macachi vengono lasciati in questa condizione per trenta giorni, altri per sei mesi e altri ancora per un anno: se il primo gruppo esce con enormi disturbi comportamentali, il terzo non reagisce più agli stimoli esterni. Indicativo è il nome che lo stesso Harlow attribuisce alle gabbie dove gli animali vengono ridotti a nuda vita: la fossa della disperazione.
La cessazione delle relazioni e l’isolamento è anche quello che prevede il regime carcerario speciale dell’articolo 41bis, uno strumento legislativo che, come vedremo, per sua stessa natura ha l’obiettivo di ridurre i detenuti a una condizione di privazione. Ma prima di inoltrarci nei tecnicismi della legge, è utile menzionare la teoria del “diritto penale del nemico” di Günther Jakobs.
Il diritto penale del nemico
La categoria del “diritto penale del nemico” è stata concettualizzata dal giurista tedesco Jakobs nel 1985. Con questa definizione “si intende una dimensione del diritto volta a colpire e reprimere alcune precise categorie sociali, che assumono di per sé valenza deviante” (1). L’introduzione di un ‘altro’ diritto penale che corre lungo un binario parallelo e separato – quello del nemico, che si dispiega accanto a quello ordinario – consente a Jakobs di affermare che lo Stato di diritto non viene intaccato (2). Vengono infatti individuati due gruppi differenti di soggetti: il ‘cittadino’ e il ‘nemico della società’. In tal senso, scrive il giurista: “Chiunque sia in grado di promettere almeno in qualche misura fedeltà all’ordinamento [giuridico], è titolare di una legittima pretesa a essere trattato come persona di diritto. Chi non offre simile garanzia in modo credibile, tendenzialmente viene trattato da non cittadino”, cioè da “non-persona in diritto”. Jakobs afferma che la società contempla già, di fatto, un diritto penale del nemico, perché il principio secondo il quale un essere umano è titolare di diritti fondamentali e inalienabili in quanto essere umano, è vero solo sul piano teorico: nella realtà, sostiene il giurista tedesco, una persona è titolare di diritti solo se inserita in un contesto di reciprocità, ossia come membro di una comunità che, rispettando i diritti altrui, può pretendere vengano rispettati i propri; non facendolo, il soggetto diviene un nemico interno alla società e il rapporto con lui si configura come una “relazione non giuridica”.
Il concetto di ‘nemico’ risponde infatti alle regole della guerra e non a quelle del diritto. Per Jakobs il nemico non è in sé il ‘criminale’ che commette un reato ma “un individuo la cui stabilizzazione cognitiva rispetto alla norma non è più possibile, e contro il quale ci si può difendere solo tramite la neutralizzazione” (3): una finalità che, esplicitamente, legittima dispositivi persecutori e repressivi. Il diritto penale del nemico è dunque riservato a determinate figure considerate particolarmente pericolose e trasgressive non tanto di singoli articoli di legge, quanto per l’intero ordinamento giuridico-istituzionale: una distinzione che fa sì che a essere giudicato e punito non sia l’illecito, ma ciò che rappresenta colui che compie l’illecito – il nemico è tale non per gli atti compiuti, ma per la minaccia costante che incarna. E richiamandosi alla difesa della sicurezza collettiva, ridisegna la gerarchia dei diritti confermando il concetto di non-persona: il diritto alla sicurezza collettiva può così prevalere sui diritti umani dell’individuo.
Per come si configura, il regime speciale del 41bis può essere concettualmente inscritto nel diritto penale del nemico. A partire dalla stessa nozione di ‘nemico’ di Jakobs, colui da colpire è individuato non per ciò che ha fatto ma per ciò che è. Nemici possono allora essere considerati anche coloro che non sono ancora – e forse non saranno mai – riconosciuti colpevoli di un reato e coloro che hanno terminato di scontare la pena: a febbraio 2023, dei 740 detenuti sottoposti al 41bis, 127 sono in misura cautelare e 6 sono internati nelle “case di lavoro” (4), di fatto luoghi di duplicazione detentiva poiché vi si accede quando il giudice, ritenuta quella persona “socialmente pericolosa”, applica un’ulteriore misura di sicurezza all’ex detenuto che ha già interamente scontato la propria pena. Utilizzando questa chiave interpretativa e individuando i reati che prevedono il 41bis, è possibile riconoscere chi lo Stato considera a lui nemico.
41bis e prigionieri politici
Il 41bis può essere applicato a diverse fattispecie di reato (5). Eppure, a conferma di una visione che si rifà al diritto penale del nemico, sottoposte al regime speciale ci sono solo due categorie di persone…
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