L’autentica semplicità di Blick Bassy
La prima volta che ho ascoltato un brano di questo incredibile musicista non ho potuto fare a meno di andare con la memoria agli stati quasi estatici in cui mi lasciava, anni fa, l’ascolto della Penguin Cafe Orchestra. E, allora come oggi, mi sentivo libero: libero dalle etichette, libero dalle scatolette pseudo-concettuali in cui i critici tentano disperatamente di racchiudere ciò che non capiscono musicalmente, libero come un uccello che percorre una pianura sterminata e quasi si perde nel suo orizzonte, che si tratti del Delta del Mississipi o della rigogliosa costa atlantica del Camerun. Per cui i miei lettori sono avvisati: se andate in cerca di facili esotismi africani o di avventure musicali post coloniali, farete un clamoroso buco nell’acqua. Lasciatevi andare all’ascolto ripetuto e rilassato. Poi, semmai, andate in cerca di note biografiche.
Blick Bassy non si complica la vita. Quest’album è un capolavoro di geniale semplicità. Tanto più geniale quanto più autentica, nel senso che ci trovate veramente l’anima di un emigrante che attraverso il binocolo della distanza capisce finalmente chi è, dove sono le sue radici, qual è il suo proposito nella vita. Come strumenti bastano la chitarra di Blick, il violoncello e banjo di Clément Petit e il trombone di Fidel Fourneyron (bianchi e francesi), qualche eco. Ci sono dei rari inserti, tanto più meravigliosi quanto più rarefatti, di un’armonica a bocca (Olivier Ker Ourio), di un pizzico di tastiere elettroniche campionate, ma nulla di più. È la voce a farla da padrone, una voce stupenda che mi ricorda lontanamente quella del brasiliano Milton Nascimento: è quasi infantile e oserei dire timida, eppure racconta cose importanti senza un tono declamatorio o rivendicativo.
Scopro che Blick fa parte dell’etnia Bassa, che parla l’omonimo linguaggio, allocata sulla costa atlantica del Cameron. Il problema serio è che si tratta di una lingua in pericolo, a rischio di estinzione, assieme alle altre 260 lingue del Paese. Blick si ostina a usarla per senso profondo di appartenenza e anche perché se non lo facesse un intero patrimonio culturale cadrebbe velocemente nell’oblio. Non è come in Senegal dove il wolof lo parlano e lo capiscono quasi tutti o come lo ibo o lo yoruba assai ben diffusi in Niger (dove però si parla un pidgin english anche nelle comunicazioni ufficiali). È sempre la stessa storia che si ripete: togliere la lingua a un popolo significa quasi sterminarlo. I Bassa hanno conosciuto gli orrori della tratta degli schiavi e secoli più tardi l’orrore del lavoro forzato nelle ferrovie da parte dei tedeschi del Kaiser Guglielmo, che aveva trovato alleati nell’etnia rivale dei Duala.
La lingua se la tengono stretta e Bassy è ben consapevole del suo valore. La parola che dà il titolo all’album, per esempio, è il nomignolo che si danno tra di loro gli anziani del villaggio. Bassy ha dedicato l’intero album precedente (1958) a un personaggio importante della lotta contro il colonialismo, l’eroe nazionale Ruben Um Nyobé, il primo a rivendicare l’indipendenza per il Camerun di fronte alle Nazioni Unite e che fu ucciso dalle forze francesi proprio nel settembre del 1958, e la cui memoria veniva costantemente espunta dei libri di scuola con cui i missionari educavano i bambini, assieme alla lingua Bassa.
Adesso Bassy abita in un tranquillissimo paesino della costa nord francese, meno di mille abitanti, fuori dal caos di Parigi, in un’atmosfera rurale e sorprendentemente molto cordiale, dove ha per vicino di casa il venditore di aglio locale e chiunque dà il buongiorno al passante che incontra. Dice ridendo di essere l’unico personaggio esotico in un villaggio dove tutto quello che si sa dell’Africa arriva dalla TV e riguarda per lo più l’epidemia di Ebola e vari colpi di Stato, nulla di reale. Sui muri di casa sono appese le foto del burkinabè Thomas Sankara, assieme a Martin Luther King, Miles Davis, Michael Jackson, Quincy Jones, e infine il grande chitarrista blues del Mississippi Skip James, celebrato attraverso il breve interludio di SJ che, con la brillantezza abbagliante di una reminiscenza, cita la melodia di Drunken Spree. Anche in quel villaggio le notizie sugli africani arrivano filtrate dallo scandalismo e dalla paranoia razzista di stampa e televisione: siamo vicini a Calais, dove l’affollamento dei migranti disperati in cerca di imbarco per l’Inghilterra si mescola con la paura dell’invasione e una montante xenofobia. A volte lui e alcuni amici vanno nei campi di Calais per donare del cibo e contrastare nel loro piccolo la cattiva influenza della televisione che mostra i migranti come esseri non umani.
Ultimamente Bassy è diventato famoso senza saperlo, perché la Apple ha usato qualche secondo del brano Kiki per lanciare iPhone 6 in uno spot pubblicitario. Cose che capitano quando entri in un mercato globale. Dieci secondi ti possono cambiare la vita senza che tu faccia nulla. Per fortuna che ti pagano. Anche se di te e delle cose che dici, della tua storia di emigrante povero che è sopravvissuto grazie alla musica, non gliene frega nulla. E per fortuna che il padre gli ha fatto ascoltare tonnellate di musica, da quella più tradizionale (cantata in continuazione dalla madre) a Marvin Gaye, Nat King Cole e Gilberto Gil. E per fortuna che il nonno era un sostenitore militante di Nyobé e della Union des populations du Cameroun, anche negli anni della guerriglia. E che in famiglia gli hanno raccontato le storie terribili del sentiero che portava gli schiavi camerunesi al mare, attraverso Benin e Senegal, e poi navigando da Capo Verde verso il Brasile, portando con sé melodie e ritmi ancestrali come l’Hongo, che sarebbe stato trapiantato proprio in Brasile, a futura memoria, come parte integrante della Musica Popular Brasileira.
Adesso, di nuovo, Blick si è messo a lavorare a un romanzo sul tema dell’immigrazione, in cui la finzione è strumentale all’approfondimento dell’argomento. Ci sarà soprattutto l’aspetto del traffico di esseri umani. Ma ci saranno anche le tante bugie che vengono raccontate dai governi e dai media e – quasi provocatoriamente – anche le bugie che vengono raccontate dagli stessi migranti, che arrivano in Europa per soddisfare un sogno che è più vicino a una bugia che a un sogno. E il romanzo servirà a esporre proprio i pericoli di questo sogno.
Per ora Blick Bassy cesella una perla dopo l’altra nel suo disco. Che evochi l’armonia in pericolo della società Bassa (Kiki, Lon), il ruolo cruciale dei genitori nella condivisione dei saperi e delle regole di vita (Mama e Tell Me, il brano più vicino allo spirito della Penguin), l’esodo rurale e le sue conseguenze (Mout, Ndjè yèm) o ancora le immateriali ricchezze dell’amore (One Love, Wap do Wap), Blick Bassy dà vita a questa storia di resistenza con un’attenzione straordinaria alle sfumature e un’attitudine minimalista che si ritrova in tutto l’album, dalla prima all’ultima nota. Non è facile, al giorno d’oggi, non cedere alle tentazioni della tecnologia e andare a cercare suoni stratosferici o, al contrario, campionare a tappeto. Bassy stesso dice che a un certo punto si è reso conto che non aveva nulla di più da offrire se non la sua anima camerunese. Sorprendentemente non era poca cosa, tenuto conto che anche lì, come in molti altri Paesi africani, è vivissima la tradizione dei cantanti girovaghi, che percorrono il Paese in lungo e in largo, trasportando e tenendo vive le melodie tradizionali assieme a un’inventiva che continuamente tiene viva la tradizione stessa. Perennemente creativo, il sapiente lavoro sul suono è qui al servizio di un’immaginazione altrettanto vagabonda e giocosa, che abbraccia con la stessa grazia ballate dagli accenti crepuscolari (Aké, Ndjè yèm) e intime melodie da ballo (Mama, Mout, One Love), mentre si proietta verso le vibrazioni degli ottoni di un jazz di New Orleans totalmente trasfigurato (Kiki, Lon).
Blick Bassy riesce così a praticare un’ambientazione musicale che assume le sembianze di un paese immaginato e creato, fatto di memoria e di voli verso il futuro, al crocevia di tutti i tempi, con questa musica miracolosa, in cui l’incontro tra un giovane musicista e il fantasma benevolo di un bluesman del secolo scorso vale quasi come un rito di iniziazione ancestrale. Fatevi iniziare anche voi a questa magia.
Blick Bassy. Akö, No Format, 2015