Domenico Corrado
La cittadina di Rho si trova al centro di un grande processo di trasformazione socio-economica iniziato nel 2005, con l’inaugurazione del nuovo polo fieristico milanese, e proseguito con i cambiamenti maturati all’ombra dell’Expo 2015, che sorgerà in buona parte sul territorio rhodense. Dall’esigenza di far fronte a questi cambiamenti nasce nel 2009 il Punto San Precario Rho Fiera: “l’espressione di una generazione precaria e in cerca di riscatto, un’agenzia di servizi per il conflitto libera da ogni partito e sindacato”.
Chi è San Precario, e quando appare per la prima volta?
San Precario è il patrono dei precari e delle precarie, l’icona irriverente e beffarda della nostra generazione. È apparso per la prima volta il 29 febbraio 2004 in una Ipercoop di Milano, ed è figlio dell’unione di diversi collettivi e associazioni di lavoratori e studenti sensibili alle tematiche del lavoro, e non rappresentati dalle classiche organizzazioni sindacali, che si occupavano della difesa dei diritti dei lavoratori nella grande distribuzione organizzata, nei call center, nella ricerca e dell’arte; collettivi e associazioni che hanno dato vita al percorso della May-Day, la manifestazione del primo maggio precario. Fra loro c’erano Reload, Chainworkers, la redazione di Infoxoa, il centro sociale Tana di Trento e l’Infolab di Bologna, che con l’assemblea Precog (precari e cognitari) tenutasi a Trento il 18 gennaio 2004, hanno dato vita all’idea del Santo. San Precario nasce quindi nel contesto di quel nuovo panorama lavorativo inaugurato all’indomani del pacchetto Treu del 1997 – e proseguito con la legge 30 del 2002 – con cui si è compiuto il primo passo verso quella trasformazione del mercato del lavoro che ci ha portato direttamente ai giorni nostri e al Jobs act renziano: ovvero l’estensione della precarietà a un concetto esistenziale e pervasivo che si insinua e caratterizza ogni aspetto della nostra vita. Dall’idea del Santo si sviluppa una rete di sportelli bio-sindacali dislocati sul territorio nazionale, con cui abbiamo costruito un progetto di opposizione sociale alla precarietà.
Nello specifico, il Punto San Precario Rho Fiera nasce nel 2009, dall’esigenza di rispondere a quel processo di deindustrializzazione e terziarizzazione dell’economia messo in atto nel territorio rhodense, e che ha trovato la sua massima espressione nel battesimo, nel 2005, del nuovo polo fieristico milanese. Un’evoluzione a passo con i tempi, che ha visto emergere nuovi soggetti e tipologie contrattuali, e quindi nuovi scenari di conflitto tutti da costruire e immaginare. Cosa si intende per sportello bio-sindacale, e quali sono le sue peculiarità rispetto ai sindacati classici?
Le trasformazioni e i cambiamenti che sono intervenuti nel mondo del lavoro, oltre a erodere diritti, hanno anche modificato qualitativamente e quantitativamente il modo di lavorare. Il rapporto di lavoro è sempre più individualizzato e la separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro è sempre più sfumata. Il nuovo sistema economico si caratterizza per la compresenza di diversi modelli di organizzazione della produzione e di frammentazione del mercato del lavoro. Una frammentazione che non solo ha aggravato la crisi della rappresentanza sindacale e del suo potere contrattuale, ma soprattutto ha portato all’individualizzazione del rapporto di lavoro, al prevalere della contrattazione individuale su quella collettiva, con tutti gli effetti peggiorativi nelle condizioni di lavoro, di salario ecc. In tale situazione le tradizionali forme di rappresentanza, verticali e gerarchiche, perdono la loro efficacia, proprio perché viene a mancare un soggetto di riferimento omogeneo, facilmente e direttamente rappresentabile. Da qui l’esigenza di una nuova visione dell’azione sindacale, appunto il bio sindacalismo.
In una società post-fordista in cui i consumi e i bisogni sono fondati sull’etica dell’immagine e del consumo e del produttivismo, le imprese non si accontentano più di conquistare la ‘fedeltà’ del lavoratore sul posto di lavoro, ma ne pretendono un’adesione totale, di tipo ideologico e paternalistico, in cui non c’è spazio per il dissenso e il conflitto, e dove ogni lavoratore è vittima.
Le imprese, oltre che precarizzare, ricattare e sfruttare, sono capaci di illudere, affascinare e creare aspettative. Tra padrone (quando lo si riconosce come tale) e dipendente, tra capo e sottoposto, ci si dà del tu, come in una grande famiglia. Un’adesione di tipo totalitario che ci ha portato a sviluppare una visione dell’azione sindacale che non si limita alla rivendicazione dei diritti sul lavoro, ma che sposta il baricentro del conflitto nell’intera società, attraverso quelli che abbiamo definito i cinque assi della precarietà: il diritto al redditto a prescindere dal lavoro e tra un contratto e l’altro; il diritto alla casa come presupposto di una vita vissuta in modo autonomo e dignitoso; il diritto agli affetti, all’amore e alla sessualità libera e consapevole; il diritto all’accesso alle comunicazioni e ai saperi contro ogni barriera e recinzione; il diritto, infine, a una mobilità libera e gratuita. Una visione del conflitto che supera il concetto classico di sindacato fondato sulla delega e sulla rappresentanza, e sostenuta da nuovi metodi comunicativi ed espressivi.
Quali sono le rivendicazioni portate avanti dal Santo dei precari?
Innanzitutto per poter incidere nel rapporto capitale/lavoro è necessario attivare un processo di ricomposizione sociale delle diverse soggettività del lavoro, e riconoscere che la condizione di precarietà è generalizzata e investe la vita nella sua totalità. La nostra piattaforma rivendicativa abbraccia una strategia che ha il fine attivare un processo di ricomposizione sociale delle lotte di tutti i precari dei settori dell’economia, e di promuovere un’azione di tipo culturale con cui costruire nuovi immaginari collettivi d’azione: una nuova visione della politica e della società che superi l’idea di pacificazione sociale, e in cui il conflitto diventi il motore delle trasformazioni sociali e del cambiamento.
Il primo passo è quello di creare uno ‘strumento’ che consenta una continuità di reddito, per fuoriuscire dal sistema bisogno di vita/ricatto lavorativo, e questo significa esemplificare e diminuire le tipologie contrattuali esistenti estendendo tutele e diritti a qualunque soggetto lavorativo. È indubbio che una diversificazione estrema delle tipologie contrattuali e il sistema di ricatto a cui sono sottoposti i lavoratori abbiano incrementato la divisione e lo smarrimento, diminuendo il peso delle rivendicazioni collettive.
Una semplificazione di tipo quantitativo, quindi, è un presupposto indispensabile per creare un contesto comune in cui coltivare le nostre rivendicazioni. Per quanto riguarda l’azione culturale e controinformativa, i punti San Precario si prefiggono di contrastare e superare l’individualizzazione della forza lavoro attraverso modalità che prevedono cooperazione, condivisione e coordinamento, sperimentando forme di conflitto innovative e utilizzando una strategia comunicativa partecipativa e ‘cospirativa’ che usa diversi strumenti – come il subvertising, che consiste nel ribaltare e sovvertire il messaggio pubblicitario promosso dalle imprese utilizzando i suoi stessi strumenti: immagini, slogan e stili. Subvertising sono il finto manifesto pubblicitario, il logo taroccato o la finta trasmissione radiofonica, e servono per decostruire e smascherare un brand e la sua retorica.
In definitiva San Precario è un vero e proprio media sociale, dove la comunicazione nasce dalla partecipazione, dalle capacità e dalle competenze dei lavoratori, e in cui a dominare sono la libertà di espressione e la creatività e non il profitto e l’omologazione.
Il Punto San Precario Fiera Milano sorge a Rho, la cittadina del nuovo polo fieristico milanese e dell’Expo 2015. Quanto incidono le vostre lotte sul territorio?
È noto che il polo fieristico di Rho-Fiera è un ricettacolo di lavoro nero, precario e intermittente. Per questo, fin dagli esordi, abbiamo monitorato e controllato ciò che avveniva nei padiglioni, anche alla luce degli sviluppi di Expo 2015. Nell’aprile del 2010 abbiamo inaugurato la nostra azione con “Il Salone internazionale del Mobile e del Design”, la vetrina della Milano da bere e il coacervo dello sfruttamento del lavoro: con un numero consistente di precarie e precari abbiamo organizzato un’irruzione nei padiglioni della Fiera, per denunciare le condizioni di lavoro, il mancato pagamento degli stipendi e l’abuso dei contratti precari.
L’esito è stato positivo: il 23 aprile del 2010 circa una cinquantina di lavoratori della Best Union Company e delle sue controllate Team 2015 e Fair Service (che operano come aziende in subappalto per i servizi logistici alla Fiera di Rho) si sono visti pagare i salari arretrati, che andavano dall’ottobre al dicembre 2009. Il battesimo in Fiera ha dimostrato come sia possibile opporsi alla precarietà, ed è stato un’opportunità per rilanciare e allargare la vertenza a tutte le società che operavano nel polo fieristico: dalle già citate Fair Service, Team 2015, Best Union Company, all’Autogrill, a Sipro, Sanital, Laser e Fema.
Nel 2011, nella logica del subverting, abbiamo lanciato una campagna informativa sulle condizioni di lavoro in Fiera e su come queste si riflettessero sulla costruzione di Expo 2015: “Il disoccupato in Fiera”. All’ombra della torre dorata della Fiera di Rho abbiamo creato, insieme ad altre le realtà metropolitane, uno stand permanente, dove poter incontrare i lavoratori licenziati e parlare con i legali di San Precario, e questo ci ha permesso di consolidare un percorso solidale con il territorio.
Nel marzo 2012 abbiamo poi inaugurato la campagna “Fagliela pagare” chiedendo, attraverso una raccolta di firme, una riduzione delle tariffe del trasporto pubblico locale per pendolari, lavoratori, disoccupati e precari del territorio, attraverso l’introduzione di una tariffa unica integrata a livello metropolitano finanziata anche attraverso un contributo economico annuale di un milione di euro da parte di Fiera Milano, il soggetto che ha goduto dei maggiori benefici dalla costruzione delle nuove infrastrutture. Con l’apertura del polo fieristico è stata infatti costruita la nuova stazione ferroviaria di Rho Fiera, avviata nel 2009, che ha comportato il taglio di trenta treni per i pendolari dalla stazione di Rho Centro e l’arrivo dell’alta velocità, sempre in funzione dei visitatori e degli espositori e dei profitti di Fiera Milano. La vertenza si è conclusa con una parziale ripartizione dei treni a favore della stazione di Rho Centro e dei cittadini rhodensi, che hanno riconosciuto l’importanza di difendere il diritto alla mobilità, malgrado il mancato raggiungimento degli altri obiettivi della campagna.
Per quanto riguarda Expo 2015, invece, insieme al centro sociale Sos Fornace di Rho e ad altre realtà metropolitane siamo impegnati nella campagna di boicottaggio del lavoro volontario e non retribuito. Crediamo che un lavoro gratis non sia un vero lavoro, e che prestare gratuitamente il proprio tempo per Expo significhi subire il ricatto della necessità, e cadere nel tranello dell’aspettativa che ci porta a lavorare come volontari con la speranza di entrare in un mondo del lavoro senza prospettive. Expo 2015 aveva promesso 70.000 posti di lavoro, ma a sei mesi dall’apertura dei cancelli l’unica certezza è l’impiego dei 18.500 volontari che lavoreranno senza ricevere un compenso, vanificando potenziali posti di lavoro e alimentando il conflitto tra generazioni e tra poveri.
A vostro avviso esistono dei legami tra i provvedimenti entrati in vigore con la prima parte del Jobs act e l’Expo 2015, e come intendete smascherare queste politiche?
Anche se non è facile districarsi nell’individuare il rapporto tra causa ed effetto per quanto riguarda il legame tra il Jobs act ed Expo 2015, non vi è dubbio che Expo 2015 sarà uno straordinario terreno di sperimentazione delle politiche del lavoro targate Jobs act, dove vi è un ancora più pericoloso coinvolgimento dei soggetti sindacali nelle politiche di deregolamentazione e di spoliazione dei diritti dei lavoratori. Tutto questo alla luce di un processo di trasformazione che vede l’intermittenza lavorativa come nuovo paradigma del lavoro contemporaneo, e il lavoro volontario come nuova frontiera del mai sopito sogno padronale di avere lavoratori felici di essere gratuitamente sfruttati.
Da parte nostra stiamo cercando di esorcizzare, anche dal punto di vista comunicativo, l’idea per cui il conflitto sociale è un quid di patologico: nel passato, anche nel nostro Paese, è stato uno straordinario strumento di emancipazione delle classi subalterne. Nel nostro piccolo e tra mille difficoltà stiamo tentando, come punto San Precario di Rho, di elaborare una strategia che tenga insieme il livello politico-sindacale e quello culturale e comunicativo, nella lotta ai processi di precarizzazione di lavoro e di vita attuati dal capitale. Si tratta di una continua sperimentazione, volta a individuare le nuove alleanze e i nuovi luoghi offerti dalle pratiche quotidiane di conflitto, nella prospettiva della ricomposizione della moltitudine di precari, lavoratori, disoccupati, migranti e senza-diritti nel post-fordismo.