L’ethos a stelle strisce nel film Cocaine. La vera storia di White Boy Rick di Yann Demange
“C’era qualcosa, nella storia di un uomo che entra in un bar e fa fuori tutti, che mi interessava molto. Ora lo trovo un gesto commesso da una persona priva di immaginazione e impegno morale. Tuttavia penso, con la società che abbiamo, di poter capire chi commette un gesto simile: a loro modo, compiono una legittima ricerca spirituale, e quello diventa il loro modo per aggiungere un po’ di qualità, un po’ di significato alla loro vita. Sono i prodotti di un mondo condannato”. Così Nick Cave spiegava in un comunicato stampa del 1996 il significato di O’Malley’s Bar, una delle canzoni più riuscite del suo album Murder Ballads, interamente dedicato a omicidi di vario genere (1). Non esiste il ‘mostro’ – il Male incarnato da un singolo individuo in contrasto al Bene di cui sarebbe portatrice e custode una comunità di giusti. Semmai certi episodi, proprio in virtù della loro efferatezza, diventano lo specchio di tutte le contraddizioni alla base di una società essenzialmente violenta – di una violenza spesso latente, ma pronta a scatenarsi in qualsiasi momento, mostrando l’illusorietà delle narrazioni che indicano l’Occidente, Stati Uniti in primis, come il migliore dei mondi possibile. In questo senso, simili accadimenti andrebbero considerati soprattutto in rapporto alla loro carica rivelatrice.
Nick Cave è nato e cresciuto in un Paese, l’Australia, molto simile agli USA per storia e cultura – a prescindere dall’utilizzo originario della ‘terra dei canguri’ in qualità di colonia penale da parte degli inglesi. Entrambi di lingua anglofona, entrambi sorti sulle fondamenta intrise di sangue di un genocidio – degli aborigeni nel primo caso e degli indiani nel secondo. Probabilmente, scrivendo O’Malley’s Bar, il Re Inchiostro aveva bene in mente l’immenso numero di stragi avvenute negli Stati Uniti a opera di qualche folle armato di pistola, fucile o mitragliatore. La più recente è quella consumatasi a Highland Park in Illinois il 4 luglio 2022: sei vittime e trentasei feriti. Ma solo negli ultimi cinque anni si contano almeno ventisei episodi di questo tipo – a partire da quello di Las Vegas nel 2017 in cui l’autore, sparando da una finestra al trentaduesimo piano del Mandalay Bay Hotel, prima di togliersi la vita, uccise sessanta persone tra il pubblico di un concerto country che stava tenendosi sull’arteria più importante della città – un vero e proprio ‘canyon’ ricavato tra due file di edifici enormi e pacchiani, i quali svolgono allo stesso tempo la funzione di alberghi, casinò, ristoranti e strip club.
Perché parliamo di questo per introdurre l’analisi di un film come Cocaine – La vera storia di White Boy Rick (2018) di Yann Demange? La risposta appare in tutta la sua evidenza fin dalla primissima scena di tale lavoro, basato, come suggerisce già il sottotitolo, su fatti realmente accaduti. Sulle note di Cocaine Blues di Johnny Cash, una bambina porta un pacchetto di popcorn alla madre, la quale reca un fucile a tracolla sulla schiena. In breve, capiamo di trovarci a una fiera di armi, dove il quattordicenne Richard Wershe (Richie Merritt), accompagnato dal padre omonimo (Matthew McConaughey), sta contrattando con un uomo per l’acquisto di due kalashnikov. Alle lamentele del ragazzino sul prezzo troppo alto, l’esercente risponde con una frase da cui già si intuisce l’intenzione alla base dell’intera opera: “Siamo negli Stati Uniti. Li faccio io i prezzi”. A essere messo sotto accusa dal francese Yann Demange, infatti, attraverso la storia di White Boy Rick, è l’essenza stessa del sistema americano, rispetto al quale la diffusione delle armi da fuoco a tutti i livelli della società costituisce solo la punta dell’iceberg – un aspetto complementare al problema più che il problema stesso.
Siamo nel 1984 – in piena amministrazione Reagan. Vale la pena sottolinearlo, poiché questo presidente, insieme alla Thatcher in qualità di Primo ministro nel Regno Unito, contribuì non poco a esacerbare nell’intero mondo occidentale la logica del libero mercato, sottesa dalle parole del venditore di armi. La famiglia Wershe – o quel che ne resta – conduce una vita al limite in un ghetto di Detroit, dove la miseria e la morte rappresentano entità drammaticamente familiari per tutti coloro che lo abitano. La madre di Rick è fuggita anni prima, abbandonando, oltre al marito, il figlio e la figlia Dawn (Bel Powley) – dipendente quest’ultima dal crack, droga ottenuta dall’alcalinizzazione della cocaina attraverso l’ammoniaca o il bicarbonato, nata e diffusasi proprio negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta. Nonostante le enormi difficoltà, Richard senior mostra ancora fiducia verso il futuro, inquadrato attraverso la lente deformante del sogno americano.
Emblematico, a tal proposito, il dialogo che ha con il figlio di ritorno a casa in auto dalla fiera di armi: “Tutti pisciano addosso a questo Paese, ma l’America è l’unico posto al mondo dove basta una scossa dal cervello alle palle e puoi combinare qualcosa. Basta che hai una visione”. Quest’ultima per lui consisterebbe nell’apertura di un negozio di video per realizzare la quale, tuttavia, non dispone ancora di un capitale di partenza. Spera di ottenerlo attraverso la rivendita delle armi che acquista dove gli capita a prezzi convenienti, mansione al limite della legalità – spesso svolta in maniera pienamente illecita – in cui è coinvolto anche il figlio. Seppur basato su presupposti discutibili, quello con Rick è l’unico rapporto di Richard senior connotato ancora da una certa complicità, come si evince da quanto affermato da quest’ultimo a conclusione del discorso sopracitato: “Le persone sono agnellini, Ricky. Noi due no. Siamo leoni”. Al contrario, con Dawn il legame sembra ormai irrecuperabile; tanto che, dopo un litigio particolarmente violento tra i due, lei decide di andarsene di casa al seguito del suo ragazzo.
Questo equilibrio già precario viene scombussolato ulteriormente da due agenti dell’FBI, Alex Snyder (Jennifer Jason Leigh) e Frank Byrd (Rory Cochrane), i quali sperano di ottenere informazioni da Richard senior sulla banda di Johnny Curry (Johnatan Majors), coinvolta, tra le altre cose, nello spaccio di crack. I due kalashnikov acquistati alla fiera di armi erano stati, infatti, rivenduti tempo prima da Rick junior proprio a Johnny, insieme a due silenziatori di alluminio prodotti artigianalmente dal padre, sui quali vale la pena soffermarsi un istante in quanto emerge qui un tema strettamente legato alla logica consumistica made in Usa – quello dei falsi bisogni.
“Mettiamo che arrivi a un take-away e ordini un hamburger,” spiega Richard senior al figlio. “La ragazza col berretto di carta ti dice: ci vuoi le patatine fritte? Non eri arrivato con l’idea delle patatine, ma, ora che ti ci ha fatto pensare, dici: porca troia, un hamburger senza patatine non sa di niente, vero? E un attimo dopo ti ritrovi a dare via i soldi sudati a fatica per le patatine fritte, ordinate dalla ragazza col berretto per te. Cosa ti ha fatto? Te la messa nel culo alla grande. Ecco, vedi, l’hamburger è come l’AK, ma il silenziatore sono le patatine. Quello che dobbiamo fare è mettere loro in testa che non possono avere l’uno senza l’altro”. Si capisce come l’ethos a stelle e strisce permei ogni aspetto della vita dei Wershe, con Richard senior, in particolare, a palesarsi in quanto vittima di un sistema che pure ha interiorizzato, a livello di cultura e immaginario, nel contesto di una vera e propria guerra tra poveri, in cui l’unica forma di emancipazione possibile sembra passare attraverso la prevaricazione sui propri simili a scapito di ogni sentimento di solidarietà, se non quello provato nei confronti dei propri consanguinei: il clan e la logica tribale si riconfermano così in qualità di aspetti ricorrenti – se non addirittura costitutivi – di quello che si vorrebbe come il Paese più moderno e avanzato del pianeta.
Quando gli agenti dell’FBI chiedono a Rick junior di identificare alcuni individui ritratti in foto, egli si limita a indicarne due morti da tempo – probabilmente uccisi. Ma non passa molto che il giovane viene nuovamente avvicinato dai due federali in compagnia del detective Jackson (Brian Tyree Henry) della Squadra Antinarcotici. Quello che vogliono da lui – ancora quattordicenne, vale la pena ricordarlo – è che acquisti del crack in alcune delle case controllate dalla banda di Johnny. Per convincerlo, gli mostrano ancora una foto, questa volta di un uomo assassinato con un’arma da fuoco venduta tempo prima da Richard senior all’esecutore del delitto: se il figlio rifiuterà di aiutarli, spacciando anche droga all’occorrenza, il padre verrà arrestato per fabbricazione, possesso e vendita illegale di armi da fuoco, accuse per le quali rischierebbe di scontare almeno dieci anni di carcere. Sulla base di questo ricatto, inizia così l’esperienza di Rick come informatore dell’FBI, che non gli impedisce, tuttavia, di godere dei privilegi derivanti dal fatto di essere ormai parte integrante della banda di Johnny.
Quando questi lo invita alla festa per il proprio matrimonio, organizzata nientepopodimeno che alla Casa delle Manovre, dove ha residenza il sindaco di Detroit – dal 1974 al 1993, Coleman Young del Partito Democratico – risulta evidente la fascinazione provata da Rick per quel lusso dal quale è stato sempre separato in virtù della sua condizione sottoproletaria. Fascinazione tanto più visibile nella scena in cui, infagottato in un completo elegante, si rimira allo specchio di un tipico salotto borghese a significare una nuova percezione del suo Io. Non per niente, è proprio in questa occasione che si manifesta già un primo distacco tra i due Richard, senior e junior. Di fronte a un altro specchio – quello di casa loro – quando il padre domanda al figlio se possa accompagnarlo alla festa, Rick gli risponde negativamente: “Sarebbe bello, ma… Credo che è una di quelle situazioni a inviti”.
Va da sé che il matrimonio tra Johnny e Cathy Volsan (Taylour Paige), la nipote del sindaco, si debba intendere, inoltre, nella sua funzione rappresentativa della vicinanza tra mondo criminale e istituzionale. Il tema della corruzione permea tutto il film di Demange ed emerge, tra l’altro, a livello simbolico, nella scena in cui, di ritorno a casa dalla festa, Rick trova il padre addormentato davanti alla tivù che trasmette alcune immagini di Serpico (1974), il famoso film di Sydney Lumet, anch’esso tratto da una storia realmente accaduta, in cui Al Pacino interpreta la parte di un poliziotto italoamericano di New York – Frank Serpico per l’appunto – deciso a svolgere onestamente il proprio lavoro e che per tale ragione, dopo aver subìto tutta una serie di minacce da parte dei colleghi, troverà la morte in una vera e propria trappola tesagli da questi ultimi.
Intanto, il tempo passa. Siamo nel 1985. Richard senior scopre sotto il letto del figlio una scatola da scarpe contenente quasi diecimila dollari, frutto dei traffici di Rick con la droga fornitagli, in parte, proprio dall’FBI. È il primo litigio che vediamo tra i due. Ormai per Richard junior l’idea del negozio di video è solo una lampante manifestazione dell’orizzonte limitato del padre: “Dawn ha ragione. Sei uno sfigato di merda”. Tale sfuriata diventa occasione per Rick di riallacciare i rapporti con la sorella. L’incontro è fissato in una sorta di fast food che fa anche orari notturni. Ricky vi si reca, prendendo di nascosto l’auto del nonno, il quale vive nella casa dirimpetto a quella in cui abitano lui e il padre. In regalo a Dawn porta il pupazzo di una papera, simbolo di una innocenza perduta e per la quale Ricky prova, nonostante tutto, una profonda nostalgia.
Non per niente, sarà l’ultimo elemento a essere inquadrato, abbandonato su una sedia del locale, quando, in seguito a una sparatoria a cui partecipa anche Dawn nel tentativo di fermare un ladro a bordo della macchina del nonno, i due vengono arrestati dalla polizia. Le accuse sono guida senza patente, porto abusivo di armi, aggressione e tentato omicidio, ma vengono fatte cadere grazie all’intervento dell’FBI, interessata a mantenere il suo informatore in stato di piena libertà. La facilità con cui Ricky sembra cavarsela, tuttavia, non manca di insospettire Johnny, il quale tiene un discorso al ragazzo da cui emerge, tra l’altro, il tema razziale in rapporto al fatto che Rick è l’unico bianco della banda: “Pensi che se uno di noi sparava alla macchina di tuo nonno lo lasciavano andare? […] Se si bevono te, vai dentro da bianco. Se si bevono noi, andiamo dentro da neri, quindi non fare il cazzone”.
La situazione precipita quando viene ucciso a colpi di AK un bambino all’interno di una casa. Johnny sostiene di non essere lui il mandante dell’omicidio, ma è molto probabile il contrario, poiché il padre della vittima – vero obiettivo dell’agguato – oltre a dovere dei soldi alla banda, aveva fatto uno sgarro a Johnny, promettendogli dei biglietti vip per un incontro di boxe a Las Vegas – città simbolo del canto di sirene esercitato dal sogno americano sulle coscienze degli individui – che erano risultati poi essere chimerici, solo un pretesto per prendere tempo. Il tema della responsabilità in rapporto alle nostre scelte, già accennato dalla foto mostrata a Rick dai due agenti federali e da Jackson dell’Antinarcotici, e poi ripreso dal discorso tenuto da Richard senior al figlio riguardo all’auto del nonno – “Ora i tuoi nonni sono senza un mezzo di trasporto, nel senso che ci sono state delle conseguenze alle tue azioni di ieri sera” – emerge qui in maniera lampante nell’ambito di quel radicale e immediato esaurimento della possibilità in cui consiste, in termini esistenzialistici, la morte di un bambino.
Senonché anche i criminali hanno i loro informatori all’interno dell’FBI: un film come The Departed – Il bene e il male (2006) di Martin Scorsese è qui a dimostrarcelo, avendone fatto addirittura il suo perno narrativo. Avvertito della presenza di una talpa nella sua organizzazione, Johnny manda un suo uomo a uccidere Rick. Il colpo fallisce nel senso che il ragazzo viene ferito gravemente al ventre da una pallottola, ma, operato d’urgenza, riesce a sopravvivere. Toccante la scena in cui la sorella va a trovarlo in ospedale, dove riaffiora il tema dell’innocenza perduta, segnando, tra l’altro, un parallelismo tra Rick e il bambino ucciso. “Era forte quando eravamo bambini” considera Richard junior. Al che Dawn gli risponde: “Tu sei ancora un bambino”. Del resto, già in una scena precedente l’ingenuità di Rick – il suo non essere pienamente consapevole del gioco a cui sta giocando – si era palesata a livello simbolico in rapporto all’acquisto di una collana a Las Vegas, ritraente una stella a sei punte, della quale il ragazzo non aveva la minima idea del significato inerente alla religione ebraica. “Quanto sono stupidi quelli che bazzichi” gli aveva detto il padre in quest’occasione. “E quanto sei stupido tu”.
Ma l’aspetto più interessante di tale dialogo è, forse, il parallelismo che viene a crearsi tra criminali e polizia, essendo entrambi gli schieramenti incuranti di passare sopra la vita delle persone, pur di raggiungere i rispettivi scopi. Quando Richard senior avverte il figlio del rischio di invischiarsi troppo, dimodoché non l’avrebbero lasciato più uscire, Rick gli risponde con un’altra domanda, pregna di significato: “Chi, pa’? I Curry o la polizia?” Ciò che Richard junior rimprovera al padre è di essere vecchio e povero, mentre i suoi amici no, non si fanno prestare i soldi dai genitori – e il riferimento qui è ai nonni – sono loro che glieli prestano semmai. In fondo, non fa altro che applicare gli insegnamenti paterni, portandoli alle loro estreme conseguenze: ogni film incentrato sull’ascesa e la caduta di un ‘gangster’ – le virgolette sono d’obbligo nel caso di Rick – è sempre un film che parla anche del sogno americano.
Nel frattempo, la banda di Johnny viene arrestata. Alex Snyder dell’FBI informa Rick dell’operazione, aggiungendo che rivelare in sede giudiziaria il suo ruolo come informatore avrebbe potuto complicare le cose, quindi meglio dimenticarsi di tutta la faccenda. Un particolare da non sottovalutare: sarà proprio in virtù di tale segretezza che Rick, una volta rimessosi dalla ferita al ventre, potrà tornare a spacciare in proprio, usufruendo dei contatti maturati nel corso della sua esperienza all’interno della banda di Johnny. Non che l’intenzione iniziale fosse quella. Già prima di subire l’attentato alla sua vita, colpito dalla morte del bambino, Rick aveva deciso di mollare i Curry e rimettersi a studiare. Senonché, ora che gli hanno sparato, gli è preclusa la possibilità di tornare a scuola in quanto sarebbe considerato un pericolo per gli altri ragazzi.
Un tema, questo dell’esaurimento della possibilità, che abbiamo già accennato in rapporto alla morte del bambino, ma che è presente sottotraccia in tutto il lavoro di Demange, essendo l’esistenza delle classi sociali più basse contraddistinta da una drammatica limitazione del campo dei possibili. Scrive Sartre a tal proposito: “D’altronde dire d’un uomo ciò che «è», implica dire anche ciò che può, e viceversa: le condizioni materiali della sua esistenza circoscrivono il campo delle sue possibilità (il suo lavoro è troppo duro, è troppo stanco per dar prova di un’attività sindacale o politica). Così il campo dei possibili è il fine verso cui l’agente supera la sua situazione oggettiva. E questo campo, a sua volta, dipende rigorosamente dalla realtà sociale e storica.
Per esempio, in una società in cui tutto si compera, le possibilità di cultura sono praticamente eliminate per i lavoratori se il cibo assorbe il 50% o più del loro bilancio. La libertà dei borghesi, invece, consiste nella possibilità di consacrare una parte sempre crescente delle loro entrate alle spese più svariate. Ma, per ridotto che sia, il campo dei possibili esiste sempre e non dobbiamo immaginarlo come una zona di indeterminazione ma, anzi, come una regione fortemente strutturata, che dipende dalla Storia tutta intera e che contiene le proprie contraddizioni. Superando il dato verso il campo dei possibili e realizzando una possibilità fra tutte, l’individuo si oggettiva e contribuisce a fare la Storia: il suo progetto assume allora una realtà che l’agente forse ignora e che, mediante i conflitti che manifesta e genera, influenza il corso degli eventi” (2).
Naturalmente, pur non avendo modo di proseguire negli studi, Rick avrebbe potuto scegliere di non rimettersi a spacciare: ma che genere di vita lo avrebbe atteso allora? In effetti, l’impressione più forte che lascia un film come Cocaine è che a Rick non sia mai stata data davvero una scelta, perché già altri avevano scelto per lui. A ciò si aggiunge il tema incarnato dalla sorella tossicodipendente. È soprattutto per lei, per convincerla a tornare a casa, garantendole una vita dignitosa, che il ragazzo decide di tornare nel ‘giro’. Dimodoché ci troviamo di fronte a un vero e proprio paradosso: per ‘guarire’ Dawn dalla droga, il fratello si mette a vendere per le strade del quartiere quella stessa droga che è stata causa della sua ‘malattia’. Del resto, tale contraddizione fa pendant con quelle inerenti all’intero sistema americano, rispetto alle quali vale la pena soffermarsi un istante sulla scena in cui, mentre viaggiano in auto, Rick ha un acceso confronto con il padre. Per quest’ultimo la droga è un tabù: “È veleno, Ricky. Uccide la gente”. Al che il figlio gli risponde: “Che cazzo pensi di vendere tu? Pistole ad acqua?” Risulta quantomai chiaro qui il parallelismo tra armi e droga: entrambe uccidono, ma, come fa notare il padre a Rick, una cosa è legale, l’altra no: “Le armi sono un diritto costituzionale. Nella Costituzione non c’è un solo punto sulla droga”. E non è un caso che sia proprio a corollario di questo discorso che l’auto sbandi e finisca fuori strada: ‘fuori strada’ rispetto all’essenziale, infatti, sono anche le argomentazioni di Richard senior.
Ma c’è anche un altro fattore che gioca un ruolo di primaria importanza nella decisione di Rick. Nel frattempo – siamo ormai nel 1986 – il ragazzo ha scoperto di essere diventato a sua volta padre di una bambina, avuta da Brenda (Kyanna Simone Simpson), una sua ex compagna di classe, la quale, prima ancora che gli sparassero, rincontrandolo per caso, si era mostrata stupita in quanto credeva che fosse morto: “È quasi sempre per quello, quando uno smette di venire a scuola. Morto o dentro”. Il che rimanda ancora una volta a quella drammatica familiarità con Thanatos e la violenza a cui avevamo accennato sopra in relazione agli abitanti del quartiere. Eppure persino in una situazione del genere può accadere qualcosa di positivo: la nuova nata dimostra appunto il tenace attaccamento della vita a se stessa e la sua continua rigenerazione – anche nelle circostanze più avverse. È l’unico momento nel film in cui la tensione si allenta e vediamo Rick vivere un vero e proprio ‘periodo di grazia’ – seppur fondato su un commercio discutibile, fonte di morte e sofferenza, come quello del crack. Per garantire un’esistenza dignitosa a Brenda e alla figlia e salvare la sorella dalla tossicodipendenza, l’unica strada percorribile sembra passare necessariamente attraverso il sacrificio di altre persone – i consumatori di droga in primis. Riemerge qui quella logica tribale a cui abbiamo accennato sopra in rapporto a Richard senior e al sistema a stelle e strisce in generale.
Non è un caso che sia proprio a questo punto, grazie ai soldi derivanti dai traffici del figlio nel contesto di una vera e propria accumulazione primitiva del Capitale, che il padre riuscirà ad aprire il suo negozio di video. Toccante la scena in cui i due si recano da Dawn per portarla via dal tugurio in cui alloggia insieme ad altri tossicodipendenti e spacciatori, situazione molto simile a quella descritta da Philip Roth nel suo romanzo-capolavoro Pastorale americana, da cui nel 2016 Ewan McGregor ha tratto un film con se stesso nei panni del protagonista, quando Nathan Zuckerman ritrova la figlia Merry – metafora del rimosso sociale – in un luogo non molto diverso da quello rappresentato nel lavoro di Demange. Del resto, pur essendo le due opere costruite attorno a due famiglie agli antipodi in rapporto all’ambiente e alle facoltà economiche, molti sono i punti di contatto tra loro in quanto incentrate entrambe sull’illusorietà del sogno americano. Nel caso della scena in oggetto, la differenza tra Richard senior e Nathan Zuckerman è che il primo riesce effettivamente a riportare la figlia a casa, prendendola in braccio, come aveva fatto in precedenza con la nipote appena nata – a simboleggiare così l’inizio di un nuovo corso per i Wershe. Ma l’incanto è destinato ad avere breve durata. “È fragile questa cosa… La famiglia. E non voglio che vada a pezzi”. Il timore manifestato da Richard senior con questa battuta si rivela profetico nel momento in cui la polizia fa irruzione a casa Wershe per arrestare White Boy Rick.
Prima di avviarci a descrivere l’epilogo del film, tuttavia, va aperta una parentesi essenziale per la sua comprensione, relativa a una legge statale – passata nel 1978 – che prevedeva una condanna all’ergastolo per chiunque fosse trovato con addosso più di 650 grammi di droga. Ai tempi, il presidente degli Stati Uniti era Jimmy Carter, ma non è difficile individuare in tale legge del Michigan una conseguenza diretta della famigerata war on drugs cominciata da Richard Nixon nel 1971, a due anni dalla sua elezione, e di cui ancora oggi continuiamo a vedere gli effetti nefasti – non solo negli USA, ma addirittura a livello mondiale. Un simile approccio comporta, infatti, necessariamente un aumento della popolazione carceraria ovunque sia adottato. Limitandoci al caso degli USA – dove, vale la pena sottolinearlo, la privatizzazione del sistema penitenziario fa sì che ci sia tutto l’interesse da parte dei proprietari a mantenere alto il numero di detenuti in modo da ottenere sovvenzioni e benefici di varia natura – le persone incarcerate ammontano attualmente a 2,3 milioni, di cui una su cinque lo è per reati di droga, mentre quasi 511 mila sono quelle in libertà vigilata e 238 mila in libertà sulla parola per lo stesso motivo.
La sostanza che provoca la maggior quantità di arresti – mediamente uno ogni novanta secondi – è quella meno pericolosa, la marijuana (3). Nel frattempo, le narcomafie continuano a prosperare, senza che si sia mai verificato un significativo calo dei consumi tra la popolazione. Perché ciò avvenga sarebbe, infatti, necessaria una seria riflessione sulle cause sociali che portano milioni e milioni di individui a fuggire una realtà vissuta come intollerabile, attraverso l’abuso di droghe – la povertà, la solitudine, la mancanza di prospettive per il futuro, l’alienazione in generale, dalla quale non sono esenti neppure le classi più elevate, se la si considera a livello psicologico – a loro volta conseguenze di una struttura economica ferocemente capitalista, com’è quella degli Stati Uniti, fondata sul profitto e la competizione più sfrenata. Ma ovviamente, per risolvere simili problematiche, occorrerebbe una volontà politica che difficilmente si troverà mai tra quanti, occupando posti di comando all’interno delle istituzioni e godendo dei privilegi a essi associati, hanno tutto l’interesse a mantenere inalterato lo status quo.
Emblematico delle contraddizioni alla base della war on drugs il caso dell’Afghanistan, dove, durante il periodo di occupazione statunitense, l’amministrazione a stelle e strisce ha protetto Ahmed Wali Karzai, a capo del massiccio traffico di eroina dal Paese – 71.000 ettari di oppio nel 1994, crollati a 8.000 nel 2001, risaliti a 74.000 già nell’anno seguente alla guerra e cresciuti progressivamente fino a 224.000 nel 2020, con una produzione potenziale stimata di 6.300 tonnellate – e fratellastro di Hamid Karzai, insediato dagli Usa come primo presidente dell’Afghanistan dopo la cacciata dei talebani. Dimodoché “per vent’anni l’America ha essenzialmente gestito un narco-Stato in Afghanistan” (4). Si capisce, dunque, come, più che una guerra alla droga, quella cominciata da Nixon nel 1971 – e proseguita, senza sostanziali modifiche, dai suoi successori fino a oggi – sia una guerra contro i consumatori e/o gli elementi più piccoli e vulnerabili della filiera, come White Boy Rick.
Siamo ormai nel 1987. Dopo l’arresto del figlio, il padre cerca in tutti i modi di scagionarlo, ma la situazione pare disperata. Come afferma l’avvocato: “650 grammi, Rick, questa è la legge. Sai quanta ce n’era nella scatola? Otto chili. Sono ottomila grammi. Sarebbe stato meglio per Ricky, se avesse ucciso qualcuno”. E quando Richard senior obietta che sono stati proprio i federali e la polizia a chiedergli di spacciare per primi, di nuovo l’avvocato si mostra poco fiducioso sull’esito del processo: “Fatti questa domanda: tu ci crederesti che un ragazzino di quindici anni stava lavorando per il governo federale?” Da parte loro, Alex Snyder e Frank Byrd hanno una proposta per Richard senior: non possono intervenire direttamente per aiutare Ricky, l’arresto non è di loro competenza, ma, se il ragazzo collaborerà di nuovo con l’FBI per cercare di incastrare il sindaco attraverso la nipote Cathy – divenuta, nel frattempo, l’amante di Richard junior – forse la Corte recepirà il messaggio e non lo condannerà all’ergastolo.
L’operazione fallisce. Ma serve comunque un capro espiatorio da gettare in pasto alla legge e all’opinione pubblica: solo nel 2017, dopo trent’anni di detenzione – la pena più lunga mai inflitta nel Michigan per reati non violenti – White Boy otterrà finalmente la libertà condizionale, mentre tutti i poliziotti corrotti, arrestati in virtù delle informazioni che Rick aveva dato all’FBI, erano stati rilasciati già da tempo. Da questo punto di vista, risulta emblematico il discorso tenuto da Frank a Richard senior, dopo la sentenza del tribunale: “Vedi, il vero punto non è Ricky, non sono neanche i suoi amichetti e tantomeno i ragazzini che spacciano agli angoli. I pesci piccoli li lasciamo, ma, se i pesci grossi la scampano, tocca prendere quello che resta nella rete”. Potremmo citare ancora, a tal proposito, le analisi di René Girard di cui abbiamo già parlato nel nostro articolo su Il potere del cane di Jane Campion: il capro espiatorio come catalizzatore di una violenza collettiva, sacrificato il quale la pace torna a regnare nella comunità (5).
Più specificamente, spostandoci su un piano sociologico, anziché antropologico, la vicenda di White Boy Rick dimostra in maniera lampante come il sistema non possa fare a meno di delinquenti ‘specializzati’: “Il circuito della delinquenza non sarebbe il sottoprodotto di una prigione che punendo non arriverebbe a correggere; sarebbe l’effetto diretto di una penalità che, per gestire le pratiche illegaliste, ne investirebbe alcune in un meccanismo di ‘produzione-riproduzione’ di cui la prigione formerebbe uno degli elementi principali. […]. La messa in opera di una delinquenza che costituisca una sorta di illegalismo chiuso presenta, in effetti, un certo numero di vantaggi. Prima di tutto è possibile controllarla […]. È possibile, inoltre, indirizzare questa delinquenza ripiegata su se stessa verso le forme meno pericolose di illegalismo. Mantenuta dalla pressione dei controlli al limite della società, ridotta a condizioni di esistenza precarie, senza legami con una popolazione che avrebbe potuto sostenerla (come accadeva un tempo per i contrabbandieri e alcune forme di banditismo), la delinquenza ripiega fatalmente su una criminalità localizzata, senza potere di attrazione, politicamente priva di pericolo ed economicamente senza conseguenza. Ora, questo illegalismo concentrato, controllato, disarmato è direttamente utile. Può esserlo in rapporto ad altri illegalismi: isolato al loro fianco, ripiegato sulle proprie organizzazioni interne, votato a una criminalità violenta di cui le classi povere sono spesso le prime vittime, investito da ogni parte dalla polizia, esposto a lunghe pene detentive, e in seguito a una vita ‘specializzata’, questo mondo diverso, pericoloso, sovente ostile, blocca o per lo meno mantiene a un livello sufficientemente basso le pratiche illegali correnti (piccoli furti, piccole violenze, rifiuto o deviazioni quotidiane dalla legge), impedisce loro di sfociare in forme ampie e manifeste, un po’ come se l’effetto di esempio che un tempo veniva richiesto allo splendore dei supplizi lo si cercasse ora, piuttosto che nel rigore delle punizioni, nell’esistenza visibile, segnata, della delinquenza stessa: differenziandosi dagli altri illegalismi popolari, la delinquenza pesa su di essi” (6).
Dimodoché la citazione di Nick Cave che abbiamo utilizzato in apertura all’articolo, riferita a quanti si rendono responsabili di omicidi di massa, potrebbe essere applicata anche a uno spacciatore di basso livello come White Boy Rick, di cui risulta chiaro il suo essere vittima più che carnefice, anch’egli il prodotto di un mondo condannato.
1) Cfr. Luca Moccafighe, Nick Cave – And the devil saw the angel. Testi commentati, Arcana Edizioni
2) Jean Paul Sartre, Questioni di metodo, Il Saggiatore
3) Per questi dati e un generale approfondimento sul tema, si rimanda al volume II dei Quaderni dei diritti globali. Droghe e diritti umani. Le politiche e le violazioni impunite a cura dell’Associazione Società INformazione Onlus, Milieu Edizioni, con particolare riferimento all’introduzione di Sergio Segio
4) Ibidem
5) Cfr. Iacopo Adami, L’inganno delle apparenze, Paginauno n. 77/2022
6) Michel Foucault, Sorvegliare punire, Einaudi