Domenico Corrado
Expo 2015, lavoro e ambiente: sfruttato il primo, cementificato e inquinato il secondo, ma a dominare è la propaganda del ‘grande evento’
Tra gli slogan altisonanti che raccontano una Milano futura capitale mondiale del cibo – nella quale verranno affrontate le tematiche della fame del mondo e del diritto a un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra, e della tutela dell’ambiente come principio guida allo sviluppo economico futuro – e le promesse del mondo politico di cogliere l’appuntamento di Expo 2015 per rilanciare l’intera economia nazionale, appare chiaramente che a prescindere dai governi che si sono succeduti, esiste una fiducia istituzionale quasi religiosa nei confronti della logica del grande evento e dei benefici che questo apporterebbe alla società nel suo complesso.
In occasione dell’inaugurazione dell’Expo World Tour avvenuta il 7 luglio 2013 presso la Villa Reale di Monza, il presidente del Consiglio Enrico Letta ha affermato: “Credo fermamente che Expo 2015 sia la frontiera ideale per un’Italia affamata di futuro, che deve uscire una volta per tutte da una cappa di sottovalutazione e di autolesionismo. Questa cappa […] stona con le nostre capacità e con la nostra Storia” (1). Un’opportunità che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anch’egli presente a Monza, ha definito “un’occasione straordinaria per un nuovo sviluppo dell’Italia nel suo insieme, Nord e Sud, per il superamento, dunque, della crisi che stiamo vivendo nel mondo dal 2008, della recessione che sta mettendo a dura prova l’Europa e in particolare l’economia e la società italiana” (2).
Le considerazioni delle più alte cariche istituzionali, e la fiducia nei confronti di questa logica – che abbiamo definito di natura quasi religiosa – ci portano a riflettere su alcune contraddizioni di fondo della visione ‘grande evento’, e su come essa riesca a colpire l’immaginario collettivo attraverso una serie di argomentazioni che riflettono i valori dominanti della nostra società. Criticare chi è contro le grandi opere infrastrutturali – perché mette in risalto le devastazioni ambientali provocate – accusandolo di essere sempre pronto a dire No, o demonizzare chi nell’Expo vede solo il miraggio dello sviluppo economico, tacciandolo di volere mantenere il Paese immobile, non lascia alcuno spazio a un confronto nel quale si dovrebbe affrontare la questione scottante e attualissima di come noi italiani, e noi uomini occidentali tout court, concepiamo lo sviluppo economico e il rapporto tra l’uomo e la natura.
Perché i dubbi e i quesiti che pone una manifestazione come Expo non sono solo italiani. Giusto per citare l’ultimo episodio in ordine di tempo, basterebbe ricordare la protesta popolare scoppiata in Brasile nel giugno scorso in seguito alla Confederations Cup, la manifestazione calcistica internazionale che ha visto impegnate le nazionali di calcio più blasonate del mondo. Come è noto il Brasile nel 2014 ospiterà il campionato mondiale di calcio, e nel 2016 le Olimpiadi. Questi due grandi avvenimenti rappresentano una vetrina in cui le autorità carioca mostreranno al mondo il ‘nuovo’ Brasile e le sue pretese di entrare nel novero delle grandi nazioni del mondo sviluppato.
Questo atteggiamento trionfalistico ha scatenato l’indignazione e la rabbia dei brasiliani e dei cittadini di Rio de Janeiro, che nell’arco di tutta la manifestazione hanno ‘assediato’ il simbolo dei mondiali del 2014, lo stadio più grande del mondo, il Maracana, davanti al quale si sono registrati diversi scontri tra la popolazione e la polizia. All’origine dell’opposizione cittadina c’era la denuncia degli sprechi emersi per l’organizzazione della Confederations Cup, ma anche dei mondiali del 2014. Infatti la rincorsa verso il grande evento ha portato all’aumento del costo della vita e dei mezzi di trasporto pubblico, e ha scatenato il disappunto di chi denuncia le contraddizioni di un Brasile che si vuole grande, ma che sembra scordare i suoi figli più poveri e l’emarginazione a cui sono costretti.
Perché, in fondo, chi raccoglierà i frutti di questa nuova ondata di sviluppo economico che allontana i poveri dalle loro case perché i terreni in cui sono ubicate diventano preda della speculazione terriera e immobiliare? Chi nasconde ed emargina tutto ciò che mette a repentaglio l’immagine della città-vetrina e che brutalizza gli oppositori con metodi al limite della democrazia?
Le considerazioni sul Brasile portano alla memoria gli anni ormai lontani del boom economico e delle Olimpiadi di Roma del 1960: anche allora i giochi olimpici rappresentarono una vetrina con cui mettersi in mostra. Dopo quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia, povera e uscita sconfitta dal conflitto, mostrava al mondo il suo miracolo e il volto moderno di un Paese pronto a chiudere con il passato recente e a proiettarsi verso un futuro che, tra le contraddizioni di una modernizzazione senza progresso, si prospettava roseo e ricco di opportunità; le stesse aspettative con cui si carica oggi il prossimo Expo.
Ma quali sarebbero i benefici che l’Esposizione universale del 2015, nel suo complesso, dovrebbe apportare alla città di Milano e al Paese?
Le promesse parlano di un Expo che rilancerà l’economia del capoluogo, facendo da traino all’intera economia nazionale e portando l’Italia fuori dalla recessione, di una chance per creare opportunità che “dovranno essere vere e sicure per i nostri giovani, lavoro flessibile non potrà significare lavoro meno tutelato o meno sicuro”, e di una Milano ambiziosa che si propone di diventare la capitale mondiale dell’alimentazione e dell’agricoltura, e che non vuole perdere l’occasione di vestire i panni di “capitale dell’Europa”, come ha affermato il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, durante il suo intervento all’Expo World Tour (3). Ma delle promesse di rilancio economico, e della creazione di 70.000 nuovi posti di lavoro, a oggi, rimangono solo le buone intenzioni.
Il Commissario unico di Expo 2015, Giuseppe Sala, in occasione della conferenza stampa tenutasi a Roma il 31 luglio scorso, durante la quale è stato presentato l’accordo tra la Rai ed Expo 2015 per la diffusione della grande rassegna in Italia e all’estero, ha stimato in oltre 20.000 le persone interessate all’evento nell’indotto, soprattutto nel settore turistico; a questi vanno aggiunti i 3.000 addetti stabili nel cantiere, i 300 che già operano nella società e i prossimi 800 che verranno da Expo 2015 (4); nel totale, meno della metà rispetto alle aspettative iniziali.
E se andiamo ad analizzare le tipologie contrattuali che faranno da cornice a questa nuova fase di espansione dell’occupazione, emerge chiaramente che saranno dominate dalla precarietà e dallo sfruttamento. Una situazione che è stata avvallata anche dai sindacati confederali con la firma del protocollo del 23 luglio 2013, che disciplina le modalità di assunzione e di impiego del personale (dai 6 ai 12 mesi) durante il periodo dell’esposizione: degli 800 assunti da Expo 2015, 300 saranno contratti a tempo determinato, 340 saranno apprendisti e 195 saranno stagisti.
Sono inoltre previsti, e avvallati dallo stesso protocollo, ben 18.500 volontari che lavoreranno gratis. Un accordo che Enrico Letta ha definito “un’ottima intesa”, aggiungendo che l’Expo “si conferma un laboratorio per il Paese”, mentre Giuseppe Sala ha evidenziato che queste assunzioni “vengono fatte attraverso la flessibilità e non sarebbero state possibili con le regole attuali” (5). Il lavoro del futuro, in poche parole.
Insomma, se dalle promesse sull’occupazione emerge chiaramente la discrepanza tra i proclami e una realtà che lentamente sta mostrando il suo vero volto, anche nella costruzione dell’immagine della Milano che ambisce a diventare “capitale dell’Europa”, le cose non vanno diversamente. Viene da domandarsi che cosa resterà delle ambizioni culturali e dei valori che enunciavano la tutela dell’ambiente come principio guida allo sviluppo economico futuro, quando la trasformazione urbanistica della città sarà ultimata e delle promesse dell’Expo rimarranno solo le ombre di un grande ‘sacco ambientale’.
Ricordiamo che a oggi non esistono ancora dei protocolli di pianificazione sulla riqualificazione del sito all’indomani dei sei mesi di esposizione, e questo porta a riflettere su come Expo abbia alimentato, fin dall’imbarazzante impasse sulla compravendita dei terreni su cui si svolgerà la manifestazione e sulle bonifiche annesse (6), una rincorsa alla cementificazione e al consumo di suolo che ha ben poco a che vedere con la sensibilità verde sventolata negli intenti dagli organizzatori.
Basare il rilancio economico di una città, e di un intero Paese, su un evento fondato sul lavoro precario e ad alto impatto ambientale – data la vasta superficie di suolo consumata (1,7 milioni di m2 tra i comuni di Rho e Pero) e il prevedibile aumento delle emissioni di CO2 causato dalla costruzione di nuovi parcheggi, che fa presagire che i visitatori arriveranno a Milano con le proprie automobili e poi faranno gli ultimi due chilometri con i mezzi pubblici – oltre a farci dissentire porta a riflettere su come i costi ambientali di questa politica dello sviluppo vengano scaricati sulla collettività.
Come sottolineato anche nel blog dei lavoratori di Fiera Milano (milanofiera.net), ai costi ambientali a breve termine (da qui al 2015) per la realizzazione del complesso di opere necessarie all’Expo (scavi, costruzioni, strade ecc.), si sommano i costi ambientali futuri per il mantenimento di tutto quanto realizzato in termini di produzione, approvvigionamento e uso di energia, principalmente idrocarburi ed energia elettrica.
Un ‘debito ambientale’ che sarà lasciato sulle spalle delle future generazioni e a carico della collettività.
Se ai costi dello sviluppo economico venissero aggiunti i costi ambientali a breve e a lungo termine, e se questi venissero sostenuti dai soggetti responsabili, difficilmente potremmo continuare a celare le contraddizioni di questo modello e a misurare il benessere delle nostre società utilizzando i classici parametri di misurazione come il Pil, alla cui crescita non è evidentemente collegabile una migliore qualità della vita.
Lavoro, opportunità, rilancio economico, prestigio nazionale. E poi: efficienza, celerità, trasparenza. Queste le parole d’ordine di Expo 2015. Parole efficaci, che per certi versi rispecchiano i valori dominanti delle società capitalistiche, e che attraverso slogan d’impatto nascondono una realtà in cui il precariato e il debito ambientale la fanno da padroni.
(1) Intervento di Enrico Letta alla Presentazione di Expo 2015, Monza, Villa Reale, 7 luglio 2013, www. governo.it
(2) Intervento di Giorgio Napolitano alla Presentazione di Expo 2015, Monza, Villa Reale, 7 luglio 2013, www.quirinale.it
(3) Expo 2015, Napolitano: chance per rilancio del Paese, Il Giorno, 7 luglio 2013
(4) Cfr. Expo 2015: accordo con la Rai. Sala, previsti oltre 24.000 posti di lavoro, Agenzia stampa quotidiana nazionale, 31 luglio 2013
(5) Expo: accordo società-sindacati su flessibilità, Ansa, 24 luglio 2013
(6) Cfr. D. Corrado, Expo 2015, bonifica del sito: inquinamento e sperpero di denaro pubblico, Paginauno n. 33/2013, e D. Corrado, Arese: speculazione edilizia ed Expo nella riqualificazione dell’area ex Fiat Alfa Romeo, Paginauno n. 32/2013