Le ragioni politiche del trionfo di Marine Le Pen: come è cambiato il partito di estrema destra?
Con quasi il 24,8% Marine Le Pen fa tremare i palazzi di Parigi e quelli della Troika, mandando a Bruxelles 25 deputati, seguita dai gollisti dell’Ump col 20,8%. La Francia è ormai schierata a destra, molto a destra. La leader del Front infatti, non perde tempo e la sera stessa del suo trionfo manda l’avviso di sfratto a Hollande: “Non vedo come il presidente della Repubblica non possa non prendere la decisione che si impone per rendere l’Assemblea nazionale rappresentativa. E questo esige evidentemente una modifica delle modalità del voto”, dice raggiante. “Ed è solo il primo passo”, commenta arrivando all’Elysee Lounge, un ristorante molto chic a pochi metri dall’Eliseo, scelto dal Front national per festeggiare la valanga di voti che lo ha incoronato primo partito dell’Esagono, ora proiettato all’Eliseo: “Hollande adesso deve indire elezioni politiche anticipate. Oggi l’assemblea nazionale non è più nazionale. Cos’altro può fare il presidente della Repubblica se non sciogliere le Camere dopo un fallimento così grande come quello che abbiamo appena visto?”.
Insomma, la tenuta dell’Unione europea potrebbe passare anche dalla tenuta del governo socialista, ridotto ai minimi termini col 14% dei consensi. Più di un elettore su quattro infatti, in uno dei pilastri dell’Unione europea, entità a trazione franco- tedesca, ha votato un partito xenofobo. Ma Hollande, inutile dirlo, non vuole dimettersi: “Ci vuole tempo e io chiedo tempo”, ha detto il primo ministro Manuel Valls intervistato a radio Rtl, sorvolando sulla débâcle del suo partito: “C’è un itinerario che è stato tracciato e io non voglio cambiarlo. Bisogna che il quinquennato arrivi alla sua scadenza”.
La situazione è preoccupante, per vari motivi: il voto alla Le Pen e ai vari populisti di destra – ma possiamo anche includere l’a-ideologico Beppe Grillo e il M5S – dimostra che il progetto europeista fa acqua. L’unica valvola di sfogo con una sinistra assente o indebolita – il caso greco non conta: è l’eccezione che fa la regola, dato che i greci hanno preferito il post comunista Alexis Tsipras ai nazisti di Alba dorata – è un euroscetticismo di destra. Il Front, grazie a una strategia politica di lungo respiro, sta penetrando negli ambienti operai ergendosi ad alfiere dei lavoratori vessati dal lassismo dei socialisti di Hollande, dipinti dalla propaganda frontista come corrotti radical-chic preoccupati esclusivamente di concedere diritti alle minoranze sessuali (si veda la legge Taubira, che ha introdotto il matrimonio omosessuale nell’ordinamento giuridico francese provocando le Manif pour Tous, che ha aggregato l’universo politico della destra francese, Front national e Ump in testa) e di far entrare in patria masse oceaniche d’immigrati, disinteressandosi delle sorti del loro elettorato, il ‘popolo’, vessato dalle politiche di austerity della Troika. Per capire meglio la strategia della Le Pen bisogna partire dall’inizio, dal piccolo comune di Hénin-Beaumont.
La cittadina, abitata da circa 20.000 abitanti e situata nell’ex bacino minerario della regione del nord Pas-de-Calais, vicino al confine col Belgio, è un tipico esempio della strategia frontista per espandersi a scapito delle sinistre, cavalcando gli effetti della crisi e le contraddizioni del sistema euro. Hénin-Beaumont era storicamente un feudo del Parti communiste française, e la stragrande maggioranza dei lavoratori era iscritta al sindacato rosso, la Confédération générale du travail. Qui la crisi economica è molto sentita, dato che è precedente a quella attuale, e ha portato alla chiusura delle miniere e delle fabbriche, seguita da una politica di delocalizzazione verso l’Europa dell’est.
L’approccio politico del Front ricorda quello dell’ascesa di Jörg Haider in Austria, che non puntò subito a Vienna, ma usò la regione alpina della Carinzia come laboratorio privilegiato per le sue politiche etnocentriche e antislovene, circondandosi di consiglieri come Andreas Mölzer, amico di Mario Borghezio, intellettuale identitarista formatosi nella nuova destra austriaca, ritiratosi dalle elezioni dopo le dichiarazioni xenofobe e la sua affermazione secondo cui l’Europa era un negerkonglomerat, frasi che avevano suscitato scandalo e costretto il segretario del partito Strache a chiedergli di farsi da parte dopo esser stato capolista (1). A Hénin-Beaumont Marine Le Pen è stata eletta al consiglio comunale e poi al Parlamento regionale, e nel maggio 2012, in vista delle elezioni presidenziali, il Front national ha preso percentuali altissime: il 35% contro la media nazionale del 18-20%. Nei comuni limitrofi, tutti di salda tradizione operaia, i risultati sono stati molto simili, sopra al 30%. Certo, la tradizione centralista francese non permette a un sindaco frontista di strafare ma l’obiettivo non è tanto l’ente locale, che comunque può esser gestito con metodi discriminatori e clientelari, ma l’Eliseo (2). E nessuno dimentica le origini neofasciste del Front national di Jean-Marie Le Pen, nato nel 1972 come coalizione di numerose sigle di estrema destra col patrocinio di Ordre nouveau, movimento che si ispirava ai rautiani confluiti nel Msi nel 1969 poco prima dell’escalation stragista del dicembre 1969.
Come fa, quindi, un partito di questo tipo a prendere percentuali così alte, specie in un classico feudo comunista? Grazie a un radicale make-up, un cambio di trucco che comporta un mutamento dei tradizionali referenti ideologici ed elettorali. E da partito liberista votato dai bottegai stanchi dell’ingerenza dello Stato che ruba e che non porta la legge e l’ordine, ora il nuovo Front national sta dalla parte del popolo e del welfare, ovviamente solo per chi è un ‘vero francese’. Se in Italia il motto grillino e dei leghisti è “Dagli alla casta!”, quello dei frontisti è simile, e parla alla pancia della gente: “Stasera il popolo si è invitato alla tavola delle élite. Siamo la sola opposizione alla sinistra ultraliberale. Niente sarà più come prima” proclama una Marine trionfante dopo aver appreso i risultati delle presidenziali, scopiazzando il motto “Ce n’est qu’ un début” della generazione sessantottina, accusata dalla destra di aver privilegiato i diritti ai doveri e di aver svenduto la grandeur del Paese all’Unione europea (3).
L’elezione di Marine Le Pen ai vertici del partito e il restyling del Front national
La destra francese – dai populisti del Front fino alle frange più radicali e antimondialiste, una galassia composta da partitini nazionalisti-rivoluzionari, gruppi identitari-federalisti, bande neonaziste e congreghe di integralisti cattolici – è un’anima in subbuglio, in netta trasformazione, così com’è in trasformazione tutta la destra continentale. La crisi, sotto questo aspetto, è servita a qualcosa. In Francia inoltre, secondo la Commission Nationale Consultative des Droits de l’Homme, dal 2000 sono aumentati in maniera esponenziale gli episodi di violenza razziale. Nel 2009 i casi segnalati sono stati 1.841, oltre il doppio di qualche anno prima. Negli ultimi tempi internet è il serbatoio di nuovi gruppi e laboratori di idee, molti dei quali senza capacità organizzative né finanziarie. La data che cambia radicalmente la destra francese è il 15 gennaio 2011: quel giorno l’avvocatessa Marine Le Pen viene eletta ai vertici del Front national, battendo il tradizionalista cattolico Bruno Gollnisch. Per tutta risposta Carl Lang, ai vertici del Front, abbandona il partito, animando il piccolo Parti de la France, che si aggregherà coi federalisti della Nouvelle droite populaire e col Mouvement national républicain di Bruno Mégret, ex pupillo lepenista, nell’Union de la droite nationale. Voce di questa destra nazional-rivoluzionaria è Rivarol, periodico antisemita e complottista. Non capiscono che l’innovazione è donna e ha un nome: Marine.
Quest’ultima eredita dal padre un partito che, in maniera speculare all’ex Msi, per quasi quarant’anni ha funzionato da ‘ombrello’ per una miriade di gruppi e associazioni estreme e radicali, molte delle quali vedono nell’Italia un esempio: blog e siti internet francesi, come Zentropa, diffondono le attività di CasaPound, e il suo intellettuale di punta, Gabriele Adinolfi, è uno dei loro mentori in Francia: i suoi libri sono pubblicati, tradotti e discussi dai militanti nazional-rivoluzionari francesi. Il loro punto di ritrovo è Le Local, nel XV arrondissement – simile al Cutty Surk di Roma di Gianluca Iannone – e fa capo a Serge Ayoub, ex naziskin e leader di Troisiéme voie, rinato nel 2010 e gemellato con CasaPound, con una sola differenza: Parigi non è amministrata da Gianni Alemanno e l’Ump non è né il Pdl né Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale.
Il tentativo frontista di ergersi a difensore dei deboli non nasce con Marine, ma caratterizza tutto il percorso sociale del padre, che getta alle ortiche il populismo reaganiano e poujadista degli anni ‘70-80 schierandosi nel 1990-1991 con Saddam Hussein e opponendosi all’intervento militare; una battaglia antiamericana che sembrerebbe di sinistra ma dietro tali proposte vi erano ex esponenti del Grece di Alain de Benoist ed ex militanti del Club de l’Horloge, un think tank neoliberista collaterale fino al 1979-80 alla nouvelle droite, ponte fra frontismo, i settori più reazionari del gollismo e l’estrema destra, nato nel 1974 col presupposto di dare a tali ambienti nuove strategie politiche. Tutti questi spazi – a cui si sommano gli ex Troisiéme voie transitati nel Front, che uniscono le idee di Terza posizione con le suggestioni antimondialiste del filosofo Guillaume Faye, ex grecista divenuto islamofobo – influenzeranno l’operato politico e culturale del partito lepenista da lì in poi, scrostandolo dal nostalgismo, un’area che abbandonerà Le Pen nel 1998, animando il Mouvance identitaire e gruppi come Terre et Peuple, vicino ai filoleghisti di Terra Insubre dell’ex rautiano varesotto Andrea Mascetti, importante per la genesi del Bloc Identitaire.
Partiamo dal presupposto che Alain de Benoist ha più volte evidenziato la distanza ideologica col Front national per le tesi sociali, nonostante il partito populista abbia preso certe posizioni proprio da lì, vista la presenza di ex grecisti nelle sue file (4). Dopo il cambio ai vertici del partito, il maître à penser della nouvelle droite, pur criticando l’antiregionalismo e l’islamofobia di Marine Le Pen (visto che per il Grece il “male assoluto” è l’americanizzazione), ha espresso parole di apprezzamento per il suo operato, evidenziandone la carica “positiva” e il desiderio di rottura col passato, specie per quanto riguarda l’antiliberismo e il protezionismo (5).
Però, “[…] va riconosciuto a Marine Le Pen il merito di aver ‘dediabolizzato’ il partito, per mezzo di una vasta ‘operazione di pulizia’ che sta innegabilmente avendo i suoi frutti. Ci sono categorie che il Front national, prima della svolta ‘marinista’, non riusciva a sedurre”, dice de Benoist, “oggi, quelle stesse categorie sono le prime a sostenerlo: le donne, i giovani nella fascia compresa tra i 18 e i 24 anni, e soprattutto gli insegnanti. La nascita del Collectif Racine [associazione di insegnanti nazionalisti nata con l’intento di combattere, accanto al Rassemblement Blue Marine, per il redressement della scuola francese, n.d.a.] ne è la prova tangibile” (6). Un de Benoist frontista? Affatto. Il filosofo normanno non intende certo diventare organico al frontismo e ad alcun populismo – nonostante non abbia problemi a dialogarci – ma ha capito che la crisi culturale della sinistra non può che influenzarne l’andamento elettorale, lui che ha fatto della battaglia metapolitica e filosofica il perno del suo agire dal 1968 a oggi.
Il Front di Marine, cavalcando la crisi dei socialisti e del Front de la gauche, coniuga senza alcun problema nazionalismo e ‘socialità’, una forte attenzione alle problematiche sociali e al mondo del lavoro (in chiave ovviamente interclassista) e una critica al mondialismo, che genera squilibri come l’odierna crisi e l’immigrazione, e ha iniziato a puntare tutto, come la nuovelle droite, su un nuovo approccio alla definizione di se stessi con slogan “Ni droite, ni gauche, Français!”, complementare a quello del Grece “E destra, e sinistra”, cioè l’approccio et-et, la nuova sintesi. Il Front, da quando è stata eletta Marine, ha apportato dei cambiamenti d’immagine non indifferenti, mandando in soffitta i vecchi reazionari neofascisti, divenuti impresentabili (in un certo senso la rottura col Mouvement de la France gli ha giovato, visto che erano cattolico-integralisti e vandeani), denunciando tutti coloro che le danno dell’estremista di destra e della fascista (7) e aprendosi a intellettuali ‘non conformi’ utili a l’operazione di restyling.
Uno di questi è Laurent Ozon, amico e collaboratore di Charles Champetier, il giovane presidente del Grece e pupillo di de Benoist, leader della corrente antiliberale ed eco-localista Nouvelle ècologie, che cerca di coniugare la difesa dell’ambiente (concepita come bioregione) con quella delle identità regionali etno-culturali. La Francia – e l’Europa – costituita dalla somma di più identità regionali, va preservata da ogni elemento estraneo che può annichilirne la valenza identitaria, che provenga dall’America o da altrove. L’intellettuale collabora simultaneamente alla stampa neodestrista, a quella ecologista e a quella populista, compresa quella italiana (da Diorama letterario a La Padania), proponendo un’economia ruralista (non dimentichiamo l’interesse per la decrescita da parte degli intellettuali della nuova destra) e un modello politico-sociale capace di rompere col progressismo dei Verdi e col produttivismo.
Tali idee non rimangono solo ed esclusivamente sulla carta. Ozon passa infatti dalla metapolitica alla politica, animando nel 2007 la lista civica eco-localista Vivre et travailler à Vendôme, intervenendo addirittura alla riunione costitutiva dell’ambientalista Europe Écologie–Les Verts (promossa dal leader dei Verdi Daniel Cohn-Bendit e da José Bové, leader no global della Confédération paysanne), dato che destra e sinistra vanno ormai superate. Anima successivamente Maison Commune, un circolo intellettuale di stampo eco-localista, avvicinandosi prima ai giovani populisti del Bloc Identitaire, collaborando alle loro Convention Identitaire animate da Terre et Peuple, venendo poi cooptato nel 2010 ai vertici del Front National, e divenendo consigliere politico di Marine Le Pen (appare sempre al fianco della leader frontista durante i comizi), occupandosi di ecologia, della preservazione delle comunità e delle identità locali, temi fino a quel momento snobbati dal Front.
Quando il rosso si colora di ‘blu frontista’: Egualité & Réconciliation e il caso Alain Soral
Un altro intellettuale utile al restyling frontista, fautore dello sfondamento a sinistra del Front, è Alain Soral. Nato nella regione di Rhone Alpes nel 1958, Soral cresce in periferia con la famiglia, di umili condizioni. Dopo aver vissuto come un emarginato a Grenoble, si sposta a Parigi nel 1976, dove svolge lavori precari. L’ambizione e le capacità lo portano a entrare all’Università di Scienze Sociali di Parigi, dove studia sociologia.
Si interessa alla politica e studia Marx e i testi della scuola filosofica marx-engelsiana-leninista. Nel 1990 si iscrive al Pcf, ma viene allontanato perché, in seno al Collettivo comunista dei lavoratori dei media, collabora alla pubblicazione de La Lettre écarlate, foglio dal tono ufficiosamente antisionista ma esplicitamente antisemita; lui sosterrà, invece, di essersene allontanato di sua spontanea volontà perché il partito aveva perso ogni vena rivoluzionaria divenendo riformista.
Si dedica allo studio dell’influenza e della manipolazione statunitense sulla Francia, sull’Europa e sul mondo. Si fa notare dopo l’11 settembre 2001 per le sue posizioni che lo portano a professare un filo-islamismo che distingue il beur, il neofrancese di origini magrebine detestato in quanto prototipo di una società americanizzata e senza identità, dal musulmano, che incarna radici e valori tradizionali, col quale i nazionalisti locali possono intendersi perché “la cultura musulmana non produce delinquenti drogati e aspiranti suicidi, ma uomini dai valori educati ai valori. Valori di dignità e rispetto che assomigliano molto, in fondo, a quelli che si inculcavano agli uomini in Francia, prima dell’ondata di ‘neo-matriarcato’ all’americana importato dal maggio del ‘68” (8). Dietro questo discorso non c’è solo la denuncia del neofemminismo radical-chic, ma una subliminale opposizione fra islam ed ebraismo, che incarnerebbero il principio ‘maschile’ contrapposto a quello ‘femminile’. Il dualismo ebreo/musulmano assume nel discorso di Soral tratti di uno scontro metafisico tra una società femminilizzata e mercantile contro una società patriarcale e produttiva.
Si assiste, spiega Soral, a un “piano mondiale di caccia al topo, diviso in zone e sessi, nel quale Madame Fitoussi di Elle si vede incaricata della missione particolare di salvare le ragazze considerate ‘né puttane né sottomesse’, per meglio stigmatizzare i ragazzi. In effetti questi giovani maschi franco-magrebini di origine arabo-musulmana potrebbero – se scampano alla trappola del rap e del business, come alla collera popolare eccitata da un piano premeditato – costituire domani la comunità di cittadini francesi più ostile al dominio della comunità che gli è di fronte, qui come in Palestina”, concludendo che “mentre gli ebrei si sentono a loro agio, e a casa loro, in una società neo-matriarcale, neo-capitalista all’americana, nella quale essi occupano, in modo sempre più evidente, i vertici gerarchici, i magrebini detti ‘islamisti’, invece, non si sentono a loro agio e se ne vogliono allontanare” (9).
Nel 2007 Soral aderisce al Front national, all’epoca diretto da Jean-Marie Le Pen: come mai? Secondo lui il Front è diventato il partito più a sinistra di tutti in materia economica, l’unico partito che difende il socialismo, gli interessi dei francesi, la dignità e la cultura del Paese. Viene incaricato di occuparsi del fenomeno delle banlieu, le periferie francesi, in quel periodo in subbuglio. È in quell’anno che fonda Egualité & Réconciliation (E&R), organizzazione che rivendica la paternità di un “nazionalismo di sinistra” e di una Gauche du travail et droite des vouloir (“sinistra del lavoro e destra dei valori”), come indicato sulla homepage del sito, dove compaiono da un lato le immagini di Chàvez, di Che Guevara, di Gheddafi, di Lumumba, di Castro, di Ahmadinejad assieme a quella del premier russo Putin (10), e dall’altro quella di Giovanna D’Arco, simbolo del patriottismo francese. “Confusione rosso-bruna” l’ha definita nell’ottobre 2013 Le Monde diplomatique, dato che unisce suggestioni sociali di sinistra – di sovranità popolare ha parlato anche il Front de la gauche, che propone, come E&R e il Grece e i vari partiti di destra, la nazionalizzazione delle banche, un sistema di credito socializzato, il rifiuto di pagare il debito contratto con la Ue e il ritorno a forme di protezionismo economico – con suggestioni patriottiche di destra.
Rompe anche col Front e nel 2009 anima per le europee, assieme al comico Dieudonné, la Lista antisionista. È un fiasco che lo fa riavvicinare alla rampante Marine. In quella fase inizia un interessante avvicinamento al giornalista Arnaud Guyot-Jeannin, membro del Grece, fa un viaggio con quest’ultimo in Iran, dove elogia la femminilità locale contrapposta alla decadenza occidentale (11), e inizia a postare su YouTube centinaia di interventi su ogni argomento d’attualità (arrivando a 15 milioni di contatti con ben 382 video), a dialogare con intellettuali ‘non conformi’ di destra, come Fabrice Robert del Bloc Identitaire (argomento: l’espulsione degli immigrati irregolari), Robert Steukers, ex grecista e fondatore di Synergies européennes, Aleksandr Dugin (Soral si definisce dughiniano) e con Gabriele Adinolfi (12), e a impostare le idee della sua organizzazione.
Bisogna combattere – è questo il nemico numero uno di Soral – contro il ‘globalismo’, un “progetto ideologico che mira a instaurare un governo mondiale e di conseguenza a dissolvere le nazioni, con il pretesto della pace universale”, tramite “la mercificazione integrale dell’umanità”, creatore del “Nuovo Ordine Mondiale”, un progetto oligarchico che si oppone al nazionalismo che raggruppa l’alta finanza, la massoneria, la borghesia, il protestantesimo, Israele, gli Stati Uniti, tutti fautori del globalismo e di un neoliberismo che si insinua col sionismo e il politically correct di sinistra, giustificando l’intervento dell’Impero in difesa dei diritti civili (13). Tali ideologie annichilirebbero la sovranità popolare alimentandosi col mito del mercato; tutelare i diritti delle “minoranze oppresse” (siano esse sessuali o razziali) viene inevitabilmente a sostituirsi alle conquiste sociali collettive, favorendo la balcanizzazione della comunità nazionale.
La sinistra sostituisce le “tematiche societali” alle questioni della “disuguaglianza sociale” e dello “sfruttamento di classe” in nome dei diritti umani. La soluzione proposta da Soral è di tipo sovranista: “Uscire dall’Unione europea, uscire dalla Nato e riprendere il controllo della propria moneta […] per restituire alla Francia la sovranità e alla democrazia un po’ di senso” (14), introducendo il protezionismo. Soral, come nota la giornalista Evelyne Pieiller su Le Monde diplomatique, nonostante voglia farsi passare per marxista, auspica tutt’al più un mondo multipolare e la fine dell’unipolarismo statunitense, ed “evoca ben poco i movimenti sociali, la socializzazione dei mezzi di produzione […]. In effetti la sua vera ossessione, più che la giustizia sociale, è il salvataggio della Francia […] e quello che secondo lui rappresenta. In altri termini, la politica gli importa meno della morale, e la rivoluzione meno della nazione. La morale per il senso che può dare alla vita personale; la nazione per il senso che può dare alla vita collettiva” (15).
L’analisi di classe di Soral, infatti, è povera di contenuti marxiani: il sociologo si sofferma sugli effetti che il liberalismo e l’individualismo hanno sulla comunità, che rendono l’uomo un mero consumatore, e non sulla classe. Ben più per lo sfruttamento sul mondo del lavoro e per lo sviluppo della precarietà il neoliberismo viene condannato da Egualité & Réconciliation perché produce “una società schiava delle sue pulsioni” che mina il senso della collettività, della coscienza politica, determinando l’individualismo, l’egoismo, la competizione e l’edonismo. La soluzione è il ritorno alla nazione, che è “in grado di proteggere i popoli dai profitti cosmopoliti che non hanno patria né morale”; un concetto che “presuppone che la nazione abbia un’essenza particolare, un genio proprio e una particolare cultura”, e che incarni quindi dei valori mistici capaci di conglomerare attorno al tricolore francese “un fronte del lavoro, patriottico e sociale, contro tutte le reti della finanza e dell’ultraliberalismo globalizzato”, capace di costruire una “comunità nazionale fraterna, cosciente della sua storia e della sua cultura” dove si ritrovano “quelli che vogliono una più giusta ripartizione del lavoro e della ricchezza” e chi vuole “conservare quello che c’era di buono, di misurato e umano nella tradizione”, ritrovando quella spiritualità che permetterà a tutti i francesi di sentirsi individui parte di un insieme più grande: la Patria. Una “sinistra sociale” integrata e riconciliata al senso di trascendenza insita nei valori della nazione (16).
Il discorso soraliano è quindi funzionale al sistema capitalista – come quello della Le Pen, di Salvini, di Strache, ecc. Il concetto sull’obsolescenza della diade dicotomica destra/sinistra – che per Alain de Benoist rientra nell’ambito del discorso filosofico – qui verte sul concreto, sul politico, perché nella ‘rivoluzione’ ideata da Soral l’attore primo non è il lavoratore salariato ma la piccola borghesia e le medie imprese. Tutti insieme, operai, precari, disoccupati, contadini, piccoli imprenditori, uniti per creare un’interclassista “società mutualista di piccoli produttori cittadini”, dato che per ciascuno “la responsabilità economica e sociale – dunque politica – deriva dalla proprietà dei mezzi di produzione”; un progetto che fonde un po’ di Pierre-Joseph Proudhon, un po’ di qualunquismo interclassista alla Pierre Poujade, ma molto, molto poco, di Marx, sostenendo che per creare la Gauche du travail et droite des vouloir bisogna unirsi alla “destra morale che, a ben riflettere, è alleata della sinistra economica e sociale” (17).
Queste idee, presenti un po’ dappertutto nei populismi di destra che hanno stravinto questa tornata elettorale europea, favoriscono la nascita di un nuovo tipo di soggetto politico che, disarticolato dalle precedenti categorie politiche novecentesche, sostiene di rappresentare tutta la comunità nazionale, a prescindere dall’appartenenza sociale; sono le idee che hanno portato il Front national al 24,8%, permettendogli di sfondare negli ambienti tradizionalmente di sinistra.
1) Cfr. B. Luverà, Il Dottor H. Haider e la nuova destra europea, Einaudi, 2000
2) Il prof. Jean-Yves Camus, riguardo agli enti locali, spiega: “Per gli impieghi municipali c’è in Francia un controllo specifico che è esercitato dai prefetti proprio perché un comune non faccia quello che vuole. Così, oggi, se un comune diretto dal Fn cerca di applicare la ‘preferenza nazionale’ sia per reclutare dei giovani, sia per assegnare degli alloggi popolari, o degli aiuti sociali, lo Stato interviene per dire che tutto ciò è illegale e per impedirlo. […] Questo non significa che ci possano essere delle misure discriminatorie nascoste, che non si possa scoraggiare dei giovani che non sono francesi a installarsi a Vitrolles o a Marignane, o a richiedere l’assegnazione di una casa popolare. Detto questo, va anche notato come nel settore privato in effetti la ‘preferenza nazionale’ esiste già di fatto in un buon numero di imprese e di luoghi di lavoro. Perché il tasso di disoccupazione dei francesi di origine straniera o degli stranieri che vivono in Francia è così elevato, se non a causa delle discriminazioni delle assunzioni?”. J.-Y. Camus, conversazione con G. Caldiron, ottobre 1997, ora in G. Caldiron, La destra plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero, Manifestolibri, 2001
4) Lo studioso Jean-Yves Camus sostiene che “La nouvelle droite ha avuto […] due influenze maggiori sul Fn. Dapprima ha riabilitato tra gli anni Settanta e Ottanta temi che erano stati completamente abbandonati dalla destra classica, vale a dire soprattutto le tesi sulla ‘ineguaglianza degli individui’ e sull’importanza da assegnare alle ‘radici identitarie’, sia francesi che europee. Poi ha proposto un’idea della politica non più ancorata all’asse destra/sinistra, aprendo la strada a un movimento come quello di Le Pen che oggi [1997, n.d.a.] ha come slogan, ve lo ricordo, «né destra, né sinistra, solo francesi». Questo malgrado sia evidente che il Front national si situa a destra della destra tradizionale nello scacchiere politico”. J.-Y. Camus, intervista rilasciata a G. Caldiron, Il manifesto, 17 ottobre 1997
5) De Benoist in un’intervista ha ammesso che “le posizioni del Fn hanno subito molte variazioni nel corso della sua storia, cosa particolarmente evidente in ambito economico. […] Trent’anni fa si definivano liberali e reaganiani. Al giorno d’oggi, dopo che Marine Le Pen è succeduta a suo padre, lo stesso movimento milita contro il libero scambio, reclama l’introduzione di un certo protezionismo, e denuncia con vigore la deregulation economica. […] Sono opinioni che spiegano, d’altronde, come una grande parte dell’elettorato frontista provenga, ormai, dalla classe operaia. Resto invece in disaccordo con il ‘giacobinismo’ repubblicano del Front nazional, con la sua ostilità di principio verso il regionalismo e le ‘comunità’, e col suo laicismo islamofobo”. A. de Benoist, intervista rilasciata a B. Giurato, Perché la vera decrescita oggi è politica, non economica, Lettera 43, 25 aprile 2013
6) Alain de Benoist en “soutien critique” à Marine Le Pen, blog Droite(s) extrême(s) dei giornalisti di Le Monde 26 gennaio 2011
7) Marine Le Pen in un’intervista rilasciata a L’Express del primo ottobre 2013 s’indigna all’uso dell’etichetta di ‘estremista di destra’: “Mi ribello a essere definita di estrema destra, con quel termine si finisce per mettere nello stesso sacco Breivik, Alba dorata e noi che non c’entriamo niente con tutto ciò”. Concetto rilanciato pochi giorni dopo dai microfoni di Bfmtv: “Sto pensando di rivolgermi ai tribunali perché venga sancito che questo termine è peggiorativo e viene utilizzato con intenti politici per denigrare il Fn. In questo modo si conduce una guerra semantica contro il nostro partito”. G. Caldiron, Diversamente frontisti, Europa, 8 ottobre 2013
8) Intervista rilasciata da A. Soral al sito Oumma.com, aprile 2004
9) Intervista rilasciata da A. Soral all’Osservatorio del comunitarismo, settembre 2003
10) A. Mestre-C. Monnot, Alain Soral et son association font les yeux doux à Poutine, blog Droite(s) extrême(s) dei giornalisti di Le Monde, 26 novembre 2009
11) “Le donne [dell’Iran, n.d.a.] incominciano anch’esse ad americanizzarsi, esibendo un foulard corto e colorato, un maquillage grossolano e abiti aderenti. Eppure, fatto bizzarro, hanno uno sguardo freddo. Le donne più tradizionali che indossano un foulard, un velo o uno chador più austero, hanno lo sguardo più espressivo. Non è raro osservarle parlare, sorridere e ridere con una bella vivacità”. A. Soral, dichiarazioni rilasciate a Flash n. 13, 7 maggio 2009
12) Cfr. Dialogue entre Égalité & Réconciliation et les Identitaires; M. Abramowicz, Le dirigeant du Front national français Alain Soral à Bruxelles ce vendredi; A. Soral, prefazione a A. Dugin, La Quatrième théorie politique, Ars Magna, 2012; S. François, L’oeuvre de Douguine au sein de la droite radicale française, voxnr.com, 22 settembre 2008
13) A. Soral, Comprendre l’Empire. Demain la gouvernance globale ou la révolte des Nations?, Blanche, 2011
14) Ibidem
15) E. Pieller, Francia, confusione rosso-bruna, Le Monde diplomatique (ed. it.), ottobre 2013
16) Ibidem
17) Carta di Égalité & Réconciliation, in www.egaliteetreconciliation.fr