De Gregori e l’utilizzo rivoluzionario della parola
“Guarda che non sono io/ quello che stai cercando/ Quello che conosce il tempo/ e che ti spiega il mondo/ Quello che ti perdona e ti capisce/ che non ti lascia sola e che non ti tradisce/ Guarda che non sono io/ quello seduto accanto/ Che ti prende la mano/ e che ti asciuga il pianto/ Cammino per la strada/ Qualcuno mi vede/ e mi chiama per nome/ Si ferma e mi ringrazia/ vuole sapere qualcosa/ di una vecchia canzone/ Ed io gli dico/ Scusami però non so di cosa stai parlando/ Sono qui con le mie buste della spesa/ lo vedi sto scappando/ Se credi di conoscermi/ non è un problema mio/ E guarda che non sto scherzando […] Guarda che non sono io/ quello che mi somiglia/ L’angelo a piedi nudi/ o il diavolo in bottiglia/ Il vagabondo sul vagone/ La pace fra gli ulivi e la rivoluzione/ Guarda che non sono io/ la mia fotografia/ che non vale niente/ e che ti porti via.”
Francesco De Gregori, Guarda che non sono io
Il trittico sul Titanic (L’abbigliamento di un fuochista, Titanic, I muscoli del capitano) è di bellezza adamantina. Raggelante. Esce nel 1982 – in proto-epoca craxiana, i topi che ballano e la nave-Italia che affonda stolida di fatto: un’espressione di trans-medialità efficacissima. Questo Discanto accenna, in fattispecie, a ciò che Francesco De Gregori ha significato per la canzone italiana e per la canzone d’autore in modo particolare. L’ideologo e il capofila di una rivoluzione copernicana. Il maitre à penser di un drastico cambio di rotta formale. Una sferzata stilistica destinata a incidere e a tracciare una strada.
Dall’inizio degli anni Settanta, proprio con le prime ballate di De Gregori, la canzone d’autore italiana ha infatti cominciato a fare sistema, fare sul serio e diventare seria. E l’aspetto sorprendente sta nel modo in cui il giovane FDG è diventato epigono di sovversione motu proprio. Senza inseguire mode, cavalcare onde. Senza adeguarsi a discorsi amorosi o a eccessive tirate politiche. Con una potenza immaginifica e un’eleganza formale mai intraviste prima, quanto meno a latitudini italiane. Se i proto-cantautori si ispiravano a eco segnatamente ‘francesi’ (Tenco, Paoli, Endrigo, De Andrè, negli anni Sessanta e nei primissimi Settanta), in De Gregori incidono piuttosto le fonti stilistiche di Dylan e di Cohen. Incide un utilizzo nuovo – un utilizzo rivoluzionario – della parola. Francesco De Gregori è il primo sovversivo del verso cantato della storia.
Lo è stato sin da subito, sin dal primo apparire spiazzante di Alice, e ha continuato a esserlo nelle canzoni e nei dischi successivi declinati nella ridda di significati-rimandi-simboli-metonimie-ossimori-iperboli-chiasmi, e in tutto l’armamentario tecnico che vi risparmio per non metterla sul difficile…
Continua a leggere acquistando il numero 87
copia digitale PDF: 3,00 euro
copia cartacea: 12,00 euro