La critica alla società capitalistica nelle Illusioni perdute di Balzac e nel film di Xavier Giannoli
Difficile pensare di poter trarre un film da Illusioni perdute di Balzac, il volume monstre, come lo stesso autore ebbe a definirlo, cuore pulsante della sua Commedia umana, “opera capitale nell’opera” (1). Il suo essere policentrico, popolato da decine e decine di personaggi, diviso in tre parti pubblicate separatamente tra il 1837 e il 1843, fanno di questo romanzo un miracolo della letteratura, già all’epoca soggetto a innumerevoli critiche da parte di chi, come Sainte-Beuve, legato a una visione classica della narrativa e, dunque, incapace di apprezzare la dirompente modernità del lavoro balzachiano in generale, esprimeva tutto il proprio biasimo sulle pagine di riviste e giornali: “Se la stampa avesse fatto il suo dovere nei vostri confronti, sareste forse diventato un buon romanziere; invece vi ha lasciato fare, vi ha lasciato perdere il sentimento dell’arte, della vera letteratura, della dignitosa sobrietà, del ritegno dello scrittore; ha accettato le vostre produzioni a pezzi e bocconi, scritte giorno per giorno, simultaneamente e seguendo le ispirazioni casuali di un brio ormai esaurito” (2).
A ciò si aggiungeva poi la malafede di chi, come Jules Janin, sentendosi toccato personalmente dalla feroce critica al sistema editoriale e mediatico presente nella seconda parte del romanzo, si esibiva in grottesche arringhe difensive riguardo alla figura del giornalista: “Mai si è trovato, per scrivere un giornale, un gruppo così amabile e semplice di persone più oneste, più sincere, più generose e, possiamo dirlo, di più autentico e incisivo talento. E non soltanto non hanno mai commesso nemmeno una di quelle indegne vigliaccherie che dite voi, ma anzi, in tre o quattro anni di quel facile lavoro, non hanno mai pensato che quel talento, che sgorgava in loro come una fonte limpida e pura, potesse trovare altro salario che la gioia di esprimere il pensiero, di adornarlo nel modo migliore e di vederlo sbocciare alla luce dell’alba” (3).
Inutile dire che proprio tale critica, non solo al sistema editoriale, ma, in senso più ampio, alle dinamiche economico-sociali relative a uno sviluppo ormai pervasivo del capitalismo, rappresentano appunto uno dei motivi di maggiore interesse dell’opera, la quale, se solo esistesse oggi un genio del calibro di Balzac, con poche e circostanziali modifiche, potrebbe essere stata scritta ai giorni nostri. Del resto, già Lukács nei suoi Saggi sul realismo ebbe a definire Illusioni perdute come “un poema tragicomico che tratta della «capitalizzazione dello spirito»“.
Si comprende, dunque, perché Xavier Giannoli abbia deciso di trasporre in chiave cinematografica il capolavoro di Balzac: ogni racconto di ambientazione storica che non abbia come obiettivo il mero intrattenimento, parlando del passato, suggerisce, in realtà, una riflessione sul presente, evidenziando nessi tra le due epoche. Naturalmente Illusioni perdute, da un certo punto di vista, resta ancorato a un tempo e un luogo ben precisi, gli anni Venti dell’Ottocento in Francia, quando masse di giovani si riversarono a Parigi dalla provincia in cerca della gloria o anche solo di migliori occasioni di lavoro. Ma questa è una vicenda che abbiamo visto ripetersi molte volte e, in più, essendosi svolta in piena Restaurazione, un periodo di passaggio tra il vecchio mondo (aristocratico) e quello nuovo (borghese), ha il merito di sottolineare le contraddizioni di entrambe le parti, un imperativo rispetto al quale Balzac, nonostante le sue simpatie monarchiche, non si è mai tirato indietro…
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