Oggi si fatica a ricordare Bennato (Edoardo) quando cantava da Bennato. Negli anni Settanta Bennato è un cantautore capace di provocare graffi profondi al quieto vivere apparente del Paese. Finché dura, l’universo poetico-sonoro di Edoardo Bennato suona peraltro privo di antesignani, a partire da un album acido, e quasi anti-musicale, come I buoni e i cattivi (1974). Un vertice assoluto della sua prima produzione, forte di un ribellismo mai velleitario e già disincantato. Uno dei dischi che meglio inquadra l’Italia in crisi nera di quegli anni. C’è dentro il Bennato dissacrante. L’one man band ante litteram – metà uomo e metà banda – auto-dotato di chitarra, tamburello a pedale, armonica e kazoo con licenza di sparare a zero. Si parte dalla copertina: due carabinieri in manette. Si prosegue, traccia dopo traccia, senza perdere un colpo. Rimestando tra le zone d’ombra di un’attualità di allora paradigma persino dell’attualità di adesso. Bravi ragazzi, per esempio, risulta l’abbozzo preveggente dell’Italia fascistizzata dalla recente vaxdemia. Sostituiti gli “avvocati” coi tele-virologi la contiguità risulta lampante.
Una di notte, c’è il coprifuoco/ E pensare che all’inizio sembrava quasi un gioco/ Ora non c’è più tempo per pensare/ Tutti dentro, chiusi ad aspettare/ Ognuno ha avuto le sue razioni/ Poveri e ricchi, cattivi e buoni/ Ognuno ha fatto le sue preghiere/ Ora si tratta solo di aspettare/ Bravi, su, bravi ragazzi/ Ma non è il caso di agitarsi/ Bravi, su, fate i bravi ragazzi/ Vedrete che poi sistemeremo tutto/ Per fronteggiare la situazione/ c’è stato un programma alla televisione/ Hanno parlato tutti gli avvocati/ Di tutte le bandiere, di tutti i partiti/ Ed è stato proprio commovente/ vedere tutti quei grandi sacrificare le proprie idee/ in nome del bene della gente/ Poi hanno dato severe istruzioni/ di stare calmi e stare buoni/ Buoni, su, buoni ragazzi/ ma non è il caso di agitarsi/ Bravi, su, fate i bravi ragazzi/ Vedrete che poi sistemeremo tutto
Come se non bastasse, alla strofa n. 2 di Ma che bella città, già si paventano le liste ‘nere’, stilate di recente per dissenzienti, dubbiosi, filo-russi, no-war e no-vax presunti.
Quanti libri di storia/ Tutta la civiltà/ C’è un elenco di buoni/ i cattivi di là/ Sono tutti schedati/ Ma che bella città.
Sulla scia schizo-pandemica e del ritorno al patriottismo guerrafondaio (prima la “guerra al virus”, oggi quella alla Russia) si rileva nello stesso disco, la bandiera-caposaldo simbolico e mistificante delle ragioni per cui si guerreggia.
Bella la bandiera/ la più bella che ci sia/ Cara, la bandiera/ la più bella che ci sia/ Ama, la tua bandiera/ è la più bella che ci sia/ Ama, la tua bandiera/ è la più cara che ci sia/ Senti, che emozione/ sventola la tua bandiera/ Senti, un tuffo al cuore/ sventola la tua bandiera/ Guarda, c’è una bandiera/ che non ha i colori della tua/ Guarda, lì c’è una bandiera/ che non ha i colori della tua/ Guarda, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ Guarda, quella gente che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua/ Odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ Odia, tutta la gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, tutta la gente/ che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua.
Nella traduzione di Bennato, La bandiera è dunque un feticcio ideologico (“bella… cara”, da amare senza riserve, matrice reotico-sentimentale se osservata garrire al vento). Simulacro di identità nazionale, emblema-collante in ragione del quale è concesso sporcarsi di ogni violenza militare. Col tratto caustico che ne contraddistingue l’approccio alla canzone, Bennato addenta alla giugulare le roccaforti ideologiche del Sistema; nella fattispecie la dicotomia su cui poggia l’indottrinamento del cittadino-soldato-suddito: da una parte l’attaccamento fideistico al proprio stemma (“ama la bandiera, la più bella che ci sia”), dall’altra l’ostilità instillata nei confronti di chi ha “una bandiera con i colori diversi dalla tua”.
Da che la triade Dio-Patria-Famiglia è spacciata come fondativa dei consessi borghesi, e il Signore degli eserciti come benedicente le gesta belliche, la bandiera rappresenta il medium formale che giustifica, e motiva, l’immolazione delle truppe. La denuncia antimilitarista di Bennato è espressa senza parafrasi: la suadenza (ironica) delle prime strofe, sfocia nel finale in crescendo parossistico, quindi urlato. Un crescendo esponenziale all’utilizzo insistito dell’imperativo “odia”:
“Odia tutta la gente che non sventola la tua bandiera/ Odia tutta la gente che ha la bandiera con i colori diversi dalla tua”
I buoni e i cattivi comprende un’altra pietra miliare del repertorio anti-sistema del primo Bennato. Si tratta di Arrivano i buoni, la traccia conclusiva e per questo riepilogativa del concept-album…
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