Oxfam International
Dall’inizio della pandemia il numero di chi vive in condizioni di carestia è aumentato di sei volte: nel 2021, 20 milioni di persone in più sono state spinte all’estremo livello di insicurezza alimentare. Ricetta mortale di conflitto, Covid-19 e clima accelerano la fame nel mondo
A un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, le morti per fame stanno superando quelle per il virus. I conflitti in corso, combinati con le perturbazioni economiche della pandemia e una crisi climatica in aumento, hanno approfondito la povertà e la catastrofica insicurezza alimentare nei punti caldi della fame nel mondo, e stabilito roccaforti in nuovi epicentri.
L’anno scorso, Oxfam ha avvertito nel suo rapporto “The Hunger Virus” che la fame avrebbe potuto rivelarsi ancora più letale del Covid-19. Quest’anno, 20 milioni di persone in più sono state spinte all’estremo livello di insicurezza alimentare, raggiungendo un totale di 155 milioni di persone in 55 Paesi.
Dall’inizio della pandemia, il numero di persone che vivono in condizioni di carestia è aumentato di sei volte a più di 520.000. Quella che abbiamo visto come una crisi sanitaria globale si è rapidamente trasformata in una infiammata crisi di fame, che ha messo a nudo la cruda disuguaglianza nel nostro mondo. Il peggio deve ancora venire, a meno che i governi affrontino con urgenza l’insicurezza alimentare e le sue cause profonde. Oggi, 11 persone stanno probabilmente morendo ogni minuto per fame acuta legata alle tre C letali: il conflitto, il Covid-19 e la crisi climatica. Questo tasso supera l’attuale mortalità pandemica che è di 7 persone al minuto. Dall’inizio della pandemia il conflitto è stato il motore più grande della fame, il fattore primario, spingendo quasi 100 milioni di persone in 23 Paesi a livello di crisi o di peggiore insicurezza alimentare. Nonostante gli appelli per un cessate il fuoco globale per permettere al mondo di concentrare la propria attenzione sul combattere la pandemia, il conflitto è proseguito in gran parte senza sosta. Anche se i governi hanno dovuto trovare nuovi massicci flussi di risorse per combattere il Coronavirus, l’anno scorso la spesa militare globale è aumentata del 2,7% – l’equivalente di 51 miliardi di dollari – sufficiente per coprire sei volte e mezzo i 7,9 miliardi di dollari dell’appello umanitario ONU per la sicurezza alimentare. Le vendite di armi sono aumentate vertiginosamente in alcuni dei Paesi più martoriati dai conflitti e dalla fame; per esempio, il Mali ha aumentato i suoi acquisti di armi del 669% dall’escalation di violenza del 2012.
La ricaduta economica del Covid-19 è stata il secondo fattore chiave della crisi globale della fame: ha approfondito la povertà e mostrato la crescente disuguaglianza in tutto il mondo. Si stima che il numero di persone che vivono in estrema povertà raggiungerà i 745 milioni entro la fine del 2021, un aumento di 100 milioni dall’inizio della pandemia. Gruppi emarginati, specialmente le donne, gli sfollati e i lavoratori informali, sono stati colpiti più duramente. 2,7 miliardi di persone non hanno ricevuto alcun sostegno finanziario pubblico per far fronte alla devastazione della pandemia. Nel frattempo, durante la pandemia i ricchi hanno continuato ad arricchirsi. Il patrimonio delle dieci persone più ricche (nove delle quali sono uomini) è aumentato di 413 miliardi di dollari nel 2020 – abbastanza per coprire più di undici volte l’appello umanitario delle Nazioni Unite per il 2021.
La crisi climatica è stata la terza causa significativa della fame globale. Quasi 400 disastri legati al clima, tra cui tempeste e inondazioni da record, hanno continuato a intensificarsi per milioni di persone in America centrale, nel sud-est asiatico e nel Corno d’Africa, dove le comunità erano già martoriate dagli effetti sulla povertà causati dal conflitto e dal Covid-19.
Questo breve rapporto esplora come il conflitto ininterrotto, gli shock economici peggiorati dalla pandemia, e l’escalation della crisi climatica hanno spinto ulteriori milioni di persone a livelli di fame estremi, e come questo numero continuerà ad aumentare a meno che non venga intrapresa un’azione urgente.
I punti caldi della fame estrema sono Afghanistan, Yemen, l’area del Sahel nell’Africa occidentale (Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal), Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Sudan, Etiopia, Siria, Haiti e Venezuela: in questi Paesi, dove la crisi alimentare si stava già aggravando, un mix di ricadute alimentari causate dalla pandemia, dai conflitti e dalla crisi climatica hanno spinto oltre 48 milioni di persone nella crisi da fame (questa cifra non include il Venezuela, di cui non sono disponibili dati recenti affidabili). La fame si è intensificata anche nei punti caldi emergenti come il Brasile, l’India e il Sudafrica, che ha visto alcuni dei più forti aumenti di infezioni Covid-19 in parallelo con un’impennata della fame.
Porre fine alla fame è possibile. Le parti in guerra devono prima stipulare la pace, e i governi devono salvare vite ora, concentrare le loro risorse sulla protezione sociale e sui programmi che affrontano i bisogni di persone vulnerabili, piuttosto che su armi che perpetuano il conflitto e la fame. Risparmiare solo un giorno e mezzo della nostra spesa militare globale – l’equivalente di 8 miliardi di dollari – sarebbe sufficiente a finanziare l’intero appello delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare di emergenza (nell’aprile 2021 Oxfam e 400 Ong hanno chiesto ai leader mondiali di tagliare le spese militari di un giorno per coprire i 5,5 miliardi di dollari che il PAM dell’ONU e la FAO dicono essere urgentemente necessari per aiutare coloro che sperimentano i livelli più gravi di insicurezza alimentare; da allora la spesa militare è aumentata di 50 miliardi di dollari).
Per porre fine alla crisi della fame, i governi devono anche ricostruire un sistema più equo e sostenibile di economia globale, mentre si riprendono dalla pandemia. Devono affrontare i fattori chiave della fame e sradicare le disuguaglianze di fondo che aumentano il divario tra ricchi e poveri. Questo include il sostegno ai piccoli agricoltori per recuperare, e costruire, più equi e sostenibili sistemi alimentari. Per salvare vite umane ora e in futuro, i governi devono:
- finanziare pienamente l’appello delle Nazioni Unite sul programma umanitario e sostenere un fondo globale per la protezione sociale;
- garantire l’accesso umanitario in zone di conflitto e la fine dell’uso della fame come arma di guerra;
- forgiare la pace promuovendo la partecipazione e la leadership delle donne nella costruzione della pace;
- costruire un ambiente più equo e più resiliente e sistemi alimentari più sostenibili;
- garantire che le donne guidino la risposta alla pandemia e il recupero;
- sostenere un vaccino popolare;
- intraprendere azioni urgenti per affrontare la crisi climatica.
Le tre C letali che accelerano la fame
Tre fattori di insicurezza alimentare – conflitto, shock economici aggravati principalmente dal Covid-19 e crisi climatica – hanno devastato le comunità di tutto il mondo, con i conflitti che sono rimasti il principale motore per tre anni consecutivi, anche durante la pandemia.
Conflitto
Di fronte alla pandemia globale senza precedenti di Covid-19, l’ONU ha chiesto un cessate il fuoco nel marzo 2020. Tuttavia, il conflitto è andato avanti senza sosta ed è il principale motore della fame per quasi 100 milioni di persone in 23 Paesi – 22 milioni si sono aggiunte solo l’anno scorso. A livello globale, un record di 48 milioni di persone sono ora sfollati interni a causa del conflitto e della violenza.
Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Siria e Yemen – alcuni dei Paesi dove si trovano i peggiori focolai di fame nel mondo – sono tutti dilaniati dal conflitto. Più di 350.000 persone nella regione del Tigray, in Etiopia, secondo una recente analisi dell’IPC, tra maggio e giugno 2021 stanno vivendo condizioni simili alla carestia – il maggior numero di persone registrato in questo livello catastrofico di fame dalla Somalia del 2011, quando un quarto di milione di somali ha perso la vita per fame. In Tigray e aree circostanti, il 74% della popolazione dovrebbe dover affrontare una crisi o peggio, livelli di fame acuta, a partire da luglio 2021.
Nello Yemen, quasi un decennio di guerra ha spogliato le persone dei loro risparmi, lasciando molti senza risorse per comprare cibo. I blocchi e i conflitti hanno causato un aumento vertiginoso dei prezzi degli alimenti, con i prezzi aumentati di oltre il 100% dal 2016. Oltre 16 milioni di persone nello Yemen quest’anno dovranno affrontare livelli di crisi o di peggiore insicurezza alimentare.
Le donne e le ragazze sono colpite in modo sproporzionato dai conflitti e dalla fame. In genere affrontano pericoli straordinari per assicurarsi il cibo, eppure troppo spesso devono mangiare per ultime e mangiare meno. Conflitto e sfollamento hanno anche costretto le donne ad abbandonare il loro lavoro o a perdere la stagione della semina. Si trovano di fronte a scelte impossibili, come dover decidere tra l’andare al mercato e rischiare di essere aggredite fisicamente o sessualmente, o vedere le loro famiglie soffrire la fame.
Molti Paesi colpiti da conflitti sanno fin troppo bene che “la gente non sta solo morendo di fame, ma viene affamata” (Gabriela Bucher, “Conflitto e sicurezza alimentare”, Dibattito aperto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, 11 marzo 2021). Le parti in guerra hanno intenzionalmente trasformato la fame in un’arma di guerra, quando privano di cibo e acqua i civili, impediscono il soccorso umanitario, bombardando i mercati, incendiando i raccolti e uccidono il bestiame. Nonostante il Consiglio di sicurezza dell’ONU abbia riconosciuto il legame tra fame e conflitto nella Risoluzione 2417, il blocco degli aiuti umanitari rimane una modalità comune in tutte le zone di conflitto del mondo, dove continuano gli attacchi ai civili, alle coltivazioni, al bestiame e alle riserve d’acqua, in gran parte impunemente.
Covid-19 e ricadute economiche
A più di un anno e mezzo dopo che la pandemia di Coronavirus è stata dichiarata, l’economia ha registrato un declino causato dai lockdown e dalle chiusure delle frontiere, delle imprese e dei commerci che ha peggiorato la situazione per le persone più svantaggiate, e portato a un’impennata della fame. L’attività economica globale è diminuita del 3,5% e la povertà è aumentata del 16%.
In tutto il mondo, 33 milioni di lavoratori hanno perso la loro occupazione nel 2020. La pandemia ha portato a una disoccupazione di massa che causa 3,7 trilioni di dollari di perdita di reddito da lavoro – l’equivalente del 4,4% del Pil globale del 2019. Gli shock economici alimentati principalmente dalla pandemia hanno spinto alla fame oltre 40 milioni di persone in 17 Paesi – rispetto ai quasi 24 milioni dell’anno precedente. È un aumento di quasi il 70% e non tiene conto dei 3 miliardi di persone che non potevano permettersi una dieta sana anche prima della pandemia – una cifra che quest’anno probabilmente aumenterà.
A livello globale, i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati di quasi il 40% dall’anno scorso, l’aumento più alto che si sia registrato in più di un decennio. È stato guidato da una maggiore domanda di biocarburanti, lockdown e chiusure di frontiere che continuano a interrompere i flussi alimentari. L’inflazione alimentare sta rendendo il cibo inaccessibile per molte persone, anche quando è disponibile. Questo è particolarmente vero per le persone in Paesi come lo Yemen o Haiti, che importano la maggior parte dei loro alimenti e non possono offrire sussidi, meccanismi di controllo dei prezzi o trasferimenti di denaro per aumentare il potere d’acquisto delle persone.
I prezzi più alti non hanno necessariamente generato maggiori profitti per i produttori di cibo, specialmente i piccoli agricoltori che non potevano permettersi di comprare semi e fertilizzanti o trasportare i loro prodotti ai mercati. Senza adeguate strutture di stoccaggio o accesso ai mercati, gli agricoltori sono stati costretti a vendere a qualsiasi prezzo, anche in perdita, o a vedere i loro raccolti marcire. Come risultato, l’88% degli agricoltori nigeriani intervistati lo scorso agosto ha indicato di aver perso metà del reddito durante la pandemia. Anche i lavoratori agricoli a giornata hanno perso il loro reddito, perché non erano in grado di raggiungere i campi.
La pandemia ha messo a nudo anche il più grande aumento della disuguaglianza da quando esiste il dato, ossia dall’inizio delle registrazioni statistiche. Mentre i piccoli produttori di cibo hanno perso il loro reddito, i ricavi delle dieci principali aziende produttrici di alimenti e bevande sono aumentati di quasi 10 miliardi di dollari dal 2019 al 2020. L’aumento di queste entrate aziendali, da sole, sarebbe stato più che sufficiente per pagare l’appello umanitario per la sicurezza alimentare per il 2021.
Inoltre, le persone più emarginate, tra cui le donne, i lavoratori informali, i poveri urbani e quelli che vivono in insediamenti informali, sono stati i più colpiti dalla pandemia. A livello globale, la perdita di lavoro per le donne è stata del 5% rispetto al 3,9% degli uomini, ed è costata almeno 800 miliardi di dollari di perdita di reddito nel 2020. Si stima che altre 47 milioni di donne in tutto il mondo cadranno in povertà estrema nel 2021.
Una lezione chiave della pandemia è che i programmi di protezione sociale per le persone in difficoltà – come il denaro o l’assistenza alimentare – sono strumenti importanti da usare per affrontare la fame. Tuttavia, globalmente più di quattro miliardi di persone, ovvero più della metà della popolazione mondiale, non avevano alcuna protezione nel 2020.
La disuguaglianza nei vaccini alimenta la fame
L’ineguale distribuzione e accesso ai vaccini Covid-19 – in gran parte a causa dei monopoli delle compagnie farmaceutiche e dell’inazione dei Paesi ricchi – rallenteranno qualsiasi ripresa economica e rendono la fuga dalla fame e dalla povertà molto più difficile per milioni di persone in tutto il mondo. La Camera di Commercio Internazionale ha stimato che, a dati odierni, la disuguaglianza dei vaccini potrebbe costare al mondo circa 9,2 trilioni di dollari in perdite economiche, con emergenti punti caldi della fame come l’India, che perde potenzialmente fino a 786 miliardi di dollari o oltre il 27% del Pil.
Mentre i Paesi ricchi come gli Stati Uniti hanno visto la fame diminuire dall’avvio della campagna vaccinale, la pandemia continua a distruggere la vita e i mezzi di sussistenza di milioni di persone nei Paesi poveri. Oxfam ha calcolato che al tasso di vaccinazione attuale, i Paesi a basso reddito aspetterebbero 57 anni per vaccinare completamente le loro popolazioni. Il virus minaccia di causare altri 132 milioni di persone denutrite a causa della perdita di posti di lavoro, redditi distrutti e cattiva salute. Le persone che affrontano la fame e la malnutrizione sono anche più a rischio di contrarre malattie tra cui il Covid-19.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che sono necessarie 11 miliardi di dosi per vaccinare tutto il mondo a un livello del 70%, il punto in cui la trasmissione potrebbe essere significativamente colpita. A meno che i Paesi ricchi non smettano di tenere in ostaggio le ricette dei vaccini, il virus continuerà a imperversare in Paesi senza risorse sufficienti, mettendo a rischio milioni di vite e spingendone ancora di più sull’orlo del baratro. La soluzione sta nel fatto che tutti i governi si accordino urgentemente per un accordo temporaneo che deroghi le leggi sulla proprietà intellettuale sulle tecnologie sanitarie Covid-19, in modo che i produttori qualificati di tutto il mondo possano aumentare la produzione.
Clima
Nel 2020, il mondo ha visto il record di 50 miliardi di dollari di danni causati da disastri climatici estremi (tra cui 6 miliardi di dollari nel solo Honduras); disastri esacerbati dal cambiamento climatico che sono stati il principale motore che ha spinto quasi 16 milioni di persone in 15 Paesi a livelli di crisi alimentare. Nonostante questo, i governi hanno ritardato l’azione per affrontare la crisi climatica, per concentrarsi sulla pandemia.
Il riscaldamento globale sta aumentando la frequenza e l’intensità dei disastri legati al clima come tempeste, inondazioni e siccità. Gli ultimi sette anni sono stati i più caldi, con il 2020 che ha registrato il record. Annualmente, i disastri climatici sono più che triplicati dal 1980, con un evento meteorologico estremo attualmente registrato a settimana.
L’agricoltura e la produzione alimentare hanno sopportato il 63% dell’impatto di questi shock da crisi climatica, e sono i Paesi vulnerabili e le comunità povere che meno hanno contribuito al cambiamento climatico a esseri i più colpiti. Per esempio, nelle parti dell’India orientale colpite dal ciclone Amphan nel 2020, gli agricoltori hanno perso i loro raccolti e i pescatori hanno perso le loro barche, e quindi le loro principali fonti di reddito.
Allo stesso modo, l’anno scorso nell’Africa orientale cicloni più numerosi e più forti hanno contribuito a piaghe senza precedenti di locuste del deserto, che portano a un’importante interruzione dell’approvvigionamento alimentare che riduce la disponibilità e l’accessibilità del cibo per milioni di persone nel Corno d’Africa e nello Yemen.
La frequenza e l’intensità dei disastri causati dal clima eroderanno la capacità di resistere agli shock delle persone che già vivono in povertà. Ogni catastrofe li porta in una spirale verso il basso di crescente povertà e fame.
* Estratto dal Rapporto Oxfam International, 9 luglio 2021, disponibile integralmente in inglese qui https://www.oxfam.org/en/research/hunger-virus-multiplies-deadly-recipe-conflict-Covid-19-and-climate-accelerate-world. In questo estratto non sono riportate le note a piè di pagina, relative alle fonti documentali dei dati inseriti nel rapporto, che si possono trovare nel testo completo