“Vedo che ci stiamo abituando tutti al grigiore, alla piattezza, alla rassegnazione, e mi accorgo che il mio ruolo e il mio lavoro sono quelli di dire le cose che gli altri non dicono, quelle che i giornalisti non hanno più il coraggio di scrivere. Vorrei sapere, per esempio, perché fino a qualche anno fa si poteva parlare liberamente di Moro, dicendo magari che anche lui è stato responsabile del disastro in cui ci troviamo, mentre oggi, dopo la sua morte, non si può più. La retorica ufficiale, la pietà istituzionale ci impediscono di avere reazioni spontanee, umane, e anche di provare pena e dolore […] In Io se fossi Dio c’era, da parte mia e di Luporini, un desiderio estremo di franchezza nel dire cose che sapevano tutti ma che nessuno diceva. Una specie di «basta con l’ipocrisia dell’informazione». Io se fossi Dio presupponeva addirittura una classe di appartenenza, che poi dichiarava la sua non appartenenza a nulla. Il senso della canzone è che una cosa come ‘il sociale’ si è ipergonfiata, perdendo qualsiasi significato. Il gioco della politica e il gioco delle adesioni ‘comunque’. A un certo punto si è fatto un casino perché sembrava che la politica potesse diventare il sociale.” Giorgio Gaber
Il contesto (Gli infiniti anni Ottanta)
Imperversava la koinè paninara. Griffe, pensiero debole, proto-liberismo e fast food. Rinnegata la finta povertà sessantottarda, i brend come solo ideale. L’oppio del popolo proto-televisivizzato poggiava sulla triade disimpegno-umorismo cafonal, tette in fuori alla Drive in, voto edonista-socialista, dischi degli Spandau Ballet e filmetti dei Vanzina. Sul fronte di costumi & società oggi c’è anche di peggio: se i vistosi anni Ottanta sembrano ancora ieri è perché di fatto non sono finiti mai. Oggettivati come gli anni “dell’ultima modernità italiana” (Crainz), o di contro come “di fango” (Montanelli), “di pongo” (Fabio Bonifacci), o appunto “infiniti” (Ciofalo), gli Ottanta sono stati in primo luogo il decennio della rimozione di massa e il big bang da cui discende l’attuale alienazione sociale. L’incipit di una rivoluzione ontico-copernicana spinta al punto di non-ritorno, che rintraccia come primo movente l’ambizione di scrollarsi di torno i sollen gravosi degli anni Settanta, rimpiazzandoli con (in)sostenibili leggerezze dell’essere e abbagli da nuovo (pseudo) boom economico. Gli anni Ottanta sono il vero spettro che si aggira per l’Europa: in declinazione global di dittatura soap imperano ancora. Non ce ne siamo liberati mai.
Il disco listato a lutto che nessuno voleva
Nel 1980 degli anni bubble gum della Milano da bere, del craxismo incipiente e dell’Italia che andava a puttane fuori e dentro metafora, Io se fossi Dio è il disco che nessuno vuole. Non lo vuole la Ricordi che infatti fa spallucce e se ne lava le mani. Non lo vogliono i partiti, umiliati e offesi per tardiva solidarietà col martire Aldo Moro (nominato nel brano a una manciata di anni dal suo martirio di Stato). Meno che mai lo vogliono stampa e televisioni già arruolate dal neo-sistema al benpensantismo di massa e all’euforia di dovere. Insomma nell’Italia ludens del 1980 Io se fossi Dio è il disco sbagliato nel tempo sbagliato…
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