Papilloma Virus, interessi e biopotere. La logica del profitto dietro le campagne globali di vaccinazione: gli abusi in India, la manipolazione della comunicazione, la strumentalizzazione della paura, il fenomeno della “cancerizzazione”
Open day e una capillare operazione informativa che toccherà social media, scuole e punti di ritrovo per i giovani e i giovanissimi: così è strutturata è la campagna di vaccinazione contro l’Human Papilloma Virus (HPV) contenuta nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2023-25 (PNPV), promosso dal Ministero della Salute (1). In Italia, nelle ragazze under 15, la copertura vaccinale per l’HPV – raccomandata ma non obbligatoria – è lontana dai parametri fissati nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che vorrebbero il 90% delle adolescenti completamente vaccinate entro il 2030. Al 31 dicembre 2021, infatti, appena il 32,22% delle giovani nate nel 2009 (ultima coorte oggetto di chiamata attiva) era vaccinata con ciclo completo, un dato in forte calo – quasi la metà – rispetto al 63,25% della prima coorte, corrispondente alla classe del 1997 (2).
L’impostazione di una campagna ad hoc riporta alla memoria la recente emergenza Covid-19 e le Astra-Night, le serate di vaccinazioni AstraZeneca dedicate agli over 18, strutturate con musica e talvolta dj fino a mezzanotte per rendere gli hub vaccinali un luogo attrattivo per i giovani: ‘serate da tutto esaurito’ che possono essere usate come evento interpretativo di una modalità sanitaria che utilizza la semplificazione come modus operandi. Accanto, il claim della campagna di comunicazione 2022 sulla vaccinazione anti-HPV del Ministero della Salute recita: “Proteggi il loro futuro” (3); quello della campagna vaccinale 2022 contro il Covid-19 e l’influenza stagionale dichiara: “Proteggiamoci, anche per i momenti più belli” (4). Se nel primo caso l’immagine ritrae ragazzi sorridenti che si vaccinano per mantenere la spensieratezza, nel secondo a sorridere è una famiglia che può stringersi intorno agli anziani nonni grazie al fatto che tutti si sono vaccinati.
A fronte di queste illustrazioni di serenità da dover tutelare, la comunicazione, tanto per il Covid-19 quanto per l’HPV, fa uso di una retorica di stampo bellico: quella da combattere è una battaglia contro un virus ed è da vincere in fretta. La scelta di trasmettere un messaggio di terrore nei confronti di una malattia è frutto di decisioni politiche che si traducono in operazioni di dominio delle coscienze. Il tentativo di preservare il corpo da un eventuale stato patologico attraverso analisi, probabilità ed eliminazione del rischio, segue un movimento lineare che davanti a un problema vede un unico rimedio. Lo sviluppo tecnico-scientifico copre pertanto la complessità sociale ed economica che ogni realtà porta con sé, offrendo sempre nuove soluzioni da non mettere in discussione perché pensate per la ‘nostra vita’, per la ‘nostra salute’. Non stupisce dunque che i vaccini, oltre a essere presentati come strumento medico importante, nel PNPV 2023-25 assumano anche “un grande valore dal punto di vista umano, etico e sociale” (5); una puntualizzazione che tralascia il fatto che sono i prodotti di un mercato miliardario.
A tal proposito è interessante ricordare che nel 2006 la Pharmaceutical Executive aveva selezionato il Gardasil – primo vaccino anti-HPV – come “marchio dell’anno” (6) e tra le motivazioni si legge: “[Il Gardasil] ha creato un mercato dal nulla” (7). Se inseriti in un contesto commerciale, anche i vaccini devono infatti rispettare le regole di un sistema che per la sua stessa natura capitalistica non ha tra le priorità la cura delle persone – intese non solo come corpo fisico ma anche come corpo pensante – bensì il profitto. Meccanismi che si rendono evidenti sia nelle società a economia avanzata che nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Entriamo nel dettaglio utilizzando la lente esemplificativa del Papilloma Virus.
Human Papilloma Virus: che cos’è
Il Papilloma Virus è un virus a DNA molto comune, tanto che l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) stima che fino all’80% della popolazione femminile sessualmente attiva contragga l’infezione almeno una volta nel corso della vita, con un picco di prevalenza nelle giovani donne fino ai 25 anni (8). Esistono circa 120 tipi di HPV, e quelli responsabili delle infezioni genitali si distinguono in “a basso rischio” e “ad alto rischio”: sono questi ultimi, che corrispondono a tredici ceppi (9), che in specifiche condizioni, e in presenza di un sistema immunitario depresso, sono potenzialmente cancerogeni. La maggior parte delle infezioni è tuttavia transitoria, poiché il virus viene eliminato dal sistema immunitario prima di sviluppare un effetto patogeno: il 60-90% si risolve in modo spontaneo entro due anni dal contagio, incluse le infezioni da ceppi oncogeni (10). Sono pochissimi i casi in cui l’infezione progredisce verso lo stadio tumorale: appena l’1% secondo l’Ospedale San Raffaele di Milano (11), mentre l’ISS e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) si limitano a parlare di “esito raro” (12). Sebbene la persistenza virale sia la condizione necessaria – ma non sufficiente – per l’evoluzione verso il carcinoma, per sviluppare una lesione o una neoplasia maligna è indispensabile un intervallo temporale abbastanza lungo: in caso di infezione persistente, il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è di circa cinque anni, mentre la latenza per l’insorgenza del carcinoma cervicale può essere di decenni (20-40 anni) (13).
Siamo quindi davanti a un virus molto comune e diffuso che solo raramente porta a casi tumorali della cervice uterina.
La prevenzione dell’infezione
La prevenzione di un’infezione da HPV si basa su programmi di screening e vaccinali.
In Italia, il piano di screening promosso dal Ministero della Salute prevede il pap test e l’HPV test. Il primo è un test citologico che permette di verificare la presenza di eventuali lesioni precancerose; il secondo è un test molecolare che consente di cercare alcune sequenze del DNA del virus prima ancora che le cellule del collo dell’utero presentino alterazioni riscontrabili con il pap test. Laddove il pap test risulti positivo è previsto un esame di secondo livello, che consente di ottenere una visione ingrandita delle eventuali lesioni rilevate; se a essere positivo è invece l’HPV test vuol dire che l’infezione è attiva, ma ciò non significa avere delle alterazioni morfologiche suggestive della presenza di una lesione precancerosa – come abbiamo visto, la maggior parte delle infezioni si risolve spontaneamente.
Sul piano dei vaccini, al momento ne sono disponibili tre. Il primo messo sul mercato è il quadrivalente Gardasil, che protegge da quattro ceppi (14); prodotto dalla statunitense Merck, nel giugno del 2006 è stato approvato dalla Food & Drug Administration (FDA) (15) e nel settembre dello stesso anno ha avuto il via libera per la commercializzazione in Unione Europea da parte dell’European Medicines Agency (EMA) (16). Il secondo è il bivalente Cervarix (17) della casa farmaceutica britannica GlaxoSmithKline, autorizzato dall’EMA nel settembre del 2007 (18) e approvato dalla FDA nell’ottobre del 2009 (19). Il terzo vaccino in ordine di sviluppo e commercializzazione è il Gardasil 9, sempre della Merck, efficace contro nove tipi di Papilloma Virus (20): ha avuto la prima approvazione da parte della FDA nel dicembre del 2014 (21), nel giugno del 2015 da parte della Ue (22) ed è disponibile in Italia dal 2017 (23). Tutti e tre i vaccini prevedono due o tre dosi in base all’età – due dosi a distanza di sei mesi per persone con età compresa dai 9 ai 14 anni, tre dosi per i maggiori di 14 anni – e la durata della protezione si presume sia tra i dieci e i vent’anni (24).
Miliardari contro l’HPV
Quello della prevenzione contro il cancro alla cervice è un campo di interesse per numerose fondazioni e organizzazioni. La Bill & Melinda Gates Foundation (BMGF) – una delle maggiori finanziatrici di programmi vaccinali nei Paesi in via di sviluppo (25) – sostiene la diffusione e l’accesso alla vaccinazione contro l’HPV collaborando con soggetti terzi come la Program for Appropriate Technology in Health (PATH), un’organizzazione nonprofit con sede a Seattle, e la Gavi Alliance. Quest’ultima è un ente di cooperazione mondiale tra soggetti pubblici e privati che ha lo scopo di assicurare l’immunizzazione universale. Esiste dal 2000, da quando la BMGF – da allora membro permanente del consiglio d’amministrazione (26) –, insieme ad altri partner fondatori, ha finanziato il progetto.
In un video pubblicato da Gavi (27), lo stesso Bill Gates si fa promotore dell’iniziativa: “Il vaccino contro l’HPV è oggi disponibile praticamente in tutti i Paesi ricchi, le ragazze hanno la possibilità di accedervi ed è fantastico, poiché significa che non contrarranno il cancro alla cervice […] Se invece si contrae l’HPV in un Paese in via di sviluppo, la possibilità di bloccare il virus è pressoché zero e dunque si andrà incontro al cancro” (28). Gates presenta dunque il vaccino contro l’HPV come un’immunizzazione contro il cancro, ma non lo è: è un vaccino contro un’infezione sessualmente trasmissibile. Inoltre, se è vero che le probabilità che l’infezione progredisca verso lo stadio tumorale sono rare, che nella maggior parte dei casi è il sistema immunitario a eliminare spontaneamente il virus, che la durata della protezione vaccinale è ancora incerta, che le comuni pratiche di igiene e l’uso del preservativo sono validi strumenti di prevenzione (29), che i test di screening si sono dimostrati molto efficaci, perché promuovere il vaccino – ed è ciò che avviene anche in Italia – come la migliore soluzione? Soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, non sarebbe meglio strutturare un approccio che tenga conto del contesto ambientale e investa su una sanità diffusa e accessibile?
Il caso indiano: il profitto mascherato da virtuosismo
È il 2009 quando PATH, in collaborazione con l’Indian Council of Medical Research (ICMR) e i governi dell’Andhra Pradesh e del Gujarat, avvia un programma di immunizzazione contro l’HPV nelle due regioni indiane. Il piano, che prevede la vaccinazione di ragazze tra i 10 e i 14 anni, rientra nel più ampio HPV Vaccine: Evidence for Impact, finanziato dalla BMGF per 27,8 milioni di dollari (30): della durata di cinque anni (2006-2011), il progetto condotto da PATH e sostenuto da Bill Gates ha l’obiettivo di raccogliere e diffondere prove volte a informare il settore pubblico rispetto all’introduzione del vaccino contro l’HPV in quattro differenti Paesi: India, Uganda, Perù e Vietnam (31). Gli Stati scelti hanno due caratteristiche importanti: possiedono un programma di immunizzazione vaccinale nazionale finanziato con denaro pubblico e sono abitati da popolazioni etniche differenti, un aspetto fondamentale nello studio sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci (32). I vaccini utilizzati sono il Cervarix (Glaxo) e il quadrivalente Gardasil (Merck). All’epoca dei fatti la BMGF non è coinvolta solo come finanziatrice del progetto, ma anche come azionista della casa farmaceutica Merck. Nel 2002, infatti, la BMGF acquista azioni per un valore di quasi 205 milioni di dollari in nove Big Pharma, tra cui Merck (33), che poi rivende quasi totalmente nel 2009 (34).
In India il progetto – finanziato dalla BMGF per 3,6 milioni di dollari (35) – viene fermato dall’ICMR a nemmeno un anno dall’avvio (36), nell’aprile del 2010, a fronte della notizia della morte di sette ragazze in Andhra Pradesh, dove viene inoculato il Gardasil. Dopo che l’investigazione della commissione parlamentare del Ministero della Salute e del Welfare Familiare esclude connessioni tra i decessi delle giovani donne e il vaccino, il governo indiano nomina una nuova commissione per indagare sulle presunte irregolarità commesse da PATH durante la campagna vaccinale: il 30 agosto 2013 viene presentato al Parlamento indiano il report Alleged Irregularities in the Conduct of Studies using Human Papilloma Virus Vaccine by Path in India (37).
Vi sono riportate non solo situazioni di violazioni di diritti umani e irregolarità rispetto al consenso informato e alle regole dello stesso studio vaccinale – che vedremo –, ma viene esplicitamente dichiarato che l’India, insieme a Uganda, Perù e Vietnam, faceva parte di uno schema volto a sfruttare economicamente un problema di natura sanitaria (38): se PATH fosse riuscita a inserire il vaccino contro l’HPV nei programmi pubblici di immunizzazione di questi Paesi, le case farmaceutiche produttrici si sarebbero garantite enormi profitti grazie a una vendita continuativa, anno dopo anno, priva di spese promozionali e di marketing. Una volta inserita una vaccinazione nell’Universal Immunization Programme indiano (UIP), evidenzia la commissione, è infatti politicamente impossibile fermarla (39). E in una bozza del Memorandum d’Intesa tra PATH e ICMR, fatta circolare dalla stessa PATH nel novembre del 2006 (dunque quasi tre anni prima dell’avvio del progetto), si legge: “Le parti (PATH e ICMR) desiderano valutare possibili collaborazioni per sostenere le decisioni del settore pubblico riguardo l’introduzione in India del vaccino contro l’HPV, e per generare le evidenze necessarie per permetterne l’introduzione nell’Universal Immunization Programme indiano” (40). Appare dunque chiaro quale fosse lo scopo principale dello studio clinico di PATH. All’epoca l’unico vaccino disponibile sul mercato è il Gardasil della Merck, dato che fa concludere alla commissione che il progetto sia a tutti gli effetti un’attività promozionale a favore della casa farmaceutica americana (di cui la BMGF, ricordiamo, è azionista dal 2002 al 2009). Tra l’altro, PATH e ICMR firmano il definitivo Memorandum d’Intesa il 20 febbraio 2007 (41), cioè un anno prima che il Gardasil venga approvato in India. Tale anticipo dei tempi è qualcosa che la stessa commissione d’inchiesta non riesce a spiegare: un vaccino deve prima essere approvato dal governo e solo in seguito può essere inserito nell’Universal Immunization Programme (42). Inoltre resta aperta la questione sul perché l’ICMR abbia deciso di promuoverne l’inserimento senza prima intraprendere uno studio indipendente sull’utilità e l’efficacia della sua introduzione (43).
Non solo. Per raggiungere l’obiettivo con facilità senza dover rispettare i rigorosi passaggi previsti dai clinical trials – articolati in quattro fasi –, PATH è ricorsa a quello che la commissione parlamentare chiama un “elemento di sotterfugio”: ha definito lo studio clinico un “observational studies” o un “demonstration project” (44). Sono definizioni che cambiano fortemente lo scenario: un clinical trial deve infatti rispettare le disposizioni normative – cosa che PATH non ha fatto, come vedremo – compreso il pagamento di un risarcimento in caso di lesione o morte (45), mentre un observational studies o un demonstration project ha regole meno stringenti. Eppure il Drug Control General of India (DCGI) – responsabile dell’approvazione delle licenze di categorie specifiche di farmaci come i vaccini – ha approvato il progetto di PATH il 22 aprile 2009 riconducendolo alla fase IV di un clinical trial, detta “sorveglianza post marketing” (46); e anche un articolo pubblicato su The Lancet nell’ottobre del 2013, a firma di Dinesh C Sharma, ha confermato che il programma di PATH era uno studio clinico in fase IV poiché, come ha notato il redattore del Monthly Index of Medical Specialties, il dottor Chandra M Gulhati, quattro outcome su cinque, cioè i risultati ottenuti dallo studio stesso, riguardano la determinazione di reazioni avverse (47).
La commissione d’inchiesta sottolinea tuttavia il ruolo ambiguo giocato dal DCGI, definendolo uno “spettatore silenzioso”: pur avendo approvato il progetto come IV fase di un clinical trial, non solo non è intervenuto nella vicenda, ma ha approvato in modo irregolare l’intero studio. In un articolo pubblicato su The Lancet nel febbraio del 2011 (48), si legge inoltre che il DCGI si è avvalso della sezione 8(1) (d) del Right to Information Act (49) che, tra le altre cose, permette di non dare alcuna informazione circa i protocolli dello studio clinico, considerandoli “segreto commerciale di terze parti”; perfino l’Indian Council of Medical Research ha invocato il diritto sulla proprietà intellettuale, per evitare di rilasciare dati. Prese di posizione a dir poco anomale, poiché non è chiaro come informazioni circa uno studio condotto da autorità governative possano essere definite “segreto commerciale” (50).
E veniamo agli abusi commessi da PATH.
È principalmente sulla questione del consenso informato che si è calpestato il diritto a una salute consapevole delle donne dell’Andhra Pradesh e del Gujarat. Sebbene PATH abbia dichiarato di essersi impegnata a rispettare i più alti standard scientifici, etici e legali (51), a quasi 30 mila ragazze è stato applicato un trattamento sanitario che in molti casi è risultato privo di consenso. Le giovani selezionate abitano nei distretti rurali e semi-urbani di Khammam (Andhra Pradesh) e di Vadodara (Gujarat) e provengono per lo più da contesti fragili e vulnerabili. Poiché lo studio è stato condotto su soggetti minorenni, il consenso informato doveva essere firmato dai genitori o dai responsabili degli ashram paathshaala, residenze scolastiche dove vivono molte studentesse indiane, ma parecchi di loro sono analfabeti e non in grado di firmare nemmeno nella lingua locale (telugu o gujarati), dato che si evince dal numero di moduli sottoscritti con l’impronta digitale (Tabella 1). Il modulo di PATH conteneva la seguente frase: “Ho letto le informazioni di questo modulo di consenso (o mi è stato letto). Permetto che mia figlia riceva tre dosi di vaccino contro l’HPV” (52); una dichiarazione che non ha corrispondenza con la realtà dei fatti, evidenzia il report della commissione d’inchiesta. Molti moduli, infatti, sono privi della firma del testimone, la cui presenza è necessaria nel caso in cui i firmatari siano analfabeti; sono sprovvisti sia della fotografia sia della copia della carta d’identità dei genitori o del responsabile dell’ashram paathshaala; mancano della firma di un conduttore dello studio clinico; riportano una firma che non corrisponde al nome dei genitori o del custode; riportano firme postdatate rispetto alla vaccinazione; apportano il nome del padre ma la firma mostra un nome femminile (53). Su cento moduli esaminati in Andhra Pradesh, 69 sono senza la sottoscrizione dei testimoni, molti sono senza data e appare per sette volte la firma di una stessa persona (54).
A far perdere ulteriormente credibilità allo studio clinico, sottolinea ancora la commissione, c’è anche l’uso sconsiderato del logo della National Rural Health Mission (NRHM), un programma governativo esistente dal 2005 che si prefigge l’accesso a una buona assistenza sanitaria per la popolazione rurale: i finanziamenti destinati al NRHM sono stati utilizzati senza autorizzazione per monitorare e trasportare i vaccini (55), il materiale informativo distribuito sul posto sottintendeva che il governo avesse avviato una campagna di vaccinazione (56), e il logo della NRHM impresso sul libretto vaccinale consegnato alle giovani rafforzava la convinzione. In un articolo pubblicato su EPW a novembre 2010 e scritto a dieci mani da giornaliste, ricercatrici, scienziate e attiviste indiane (57), si precisa che le ragazze e i genitori non erano a conoscenza di far parte di una ricerca convinti, invece, che fosse il governo a offrire loro un vaccino gratuito contro il cancro alla cervice. Non sapevano di avere la possibilità di rifiutarsi, come non sapevano che la protezione vaccinale è limitata nel tempo e, all’epoca, ancora circoscritta solo a due tipi di Papilloma ad alto rischio su tredici, lasciando così necessari gli esami di prevenzione. Ed è questo un punto nodale.
Tra le firme dell’articolo c’è Sandhya Srinivasan, una giornalista indipendente indiana che si occupa di tematiche riguardanti la salute. È lei che nel pezzo intitolato A vaccine for every ailment, pubblicato nell’aprile 2010 su Infochangeindia (58), pone l’accento sul fatto che talvolta, come nel caso dell’HPV, l’introduzione di un vaccino ha motivazioni ambientali, sociali e culturali oltre che mediche. Citando il caso della poliomielite – da prevenire non solo con il vaccino ma anche con l’accesso all’acqua potabile e a servizi igienici adeguati, condizioni che hanno fatto sì che nei Paesi ricchi la malattia si sia debellata prima rispetto all’India –, Srinivasan afferma che la vaccinazione contro l’HPV è promossa perché in India è assente una campagna di screening diffusa e capillare. È inoltre necessario ricordare che quello indiano è un contesto dove continuano a resistere pregiudizi rispetto alla salute ginecologica. Non è raro che donne nubili che vogliano accedere a servizi di salute sessuale siano stigmatizzate: sebbene le norme sociali siano molto cambiate e l’India sia uno dei Paesi dove più si utilizzano le app d’incontri, continua a persistere tra i medici l’idea che la salute sessuale sia una questione di interesse solo delle donne sposate (59). Tuttavia il costo del test di screening è molto inferiore a quello del vaccino; la convinzione di essersi immunizzate dal rischio tumorale porta a non effettuare successivi esami di prevenzione, facendo dubitare del rapporto costi-benefici della vaccinazione anti-HPV nei Paesi in via di sviluppo – checché ne dica Bill Gates nel video promozionale –; e il dirottamento della spesa sanitaria su programmi vaccinali sottrae importanti risorse per lo sviluppo di una sanità pubblica di territorio e di una cultura che ponga al centro una salute consapevole. Cultura che la stessa campagna vaccinale non promuove, facendo leva sulla disinformazione e la paura. Anche in Italia.
Italia: l’informazione che fa paura
Seppur gli scenari siano molto differenti, è possibile trovare analogie tra l’India e l’Italia. Come spiegato da Srinivasan, il vaccino è una misura che serve per prevenire l’insorgere di una malattia che ancora non c’è, è destinato a soggetti sani ed è consigliato anche per patologie relativamente innocue per le quali la vaccinazione non rappresenta una priorità. Per questo motivo la promozione dei vaccini è diversa rispetto a quella dei farmaci: deve puntare sul timore che un disturbo si presenti con gravi conseguenze. Seguendo questa logica, il messaggio legato al vaccino contro l’HPV, trasmesso tanto in India quanto in Italia, così si configura: vuoi difenderti contro il cancro alla cervice? Oppure: vuoi difendere tua figlia contro il cancro alla cervice? Eugenio Serravalle, medico che si occupa da anni dell’argomento, avanza una forte critica sulla strategia comunicativa utilizzata, ritenendo che si basi sulla disinformazione e sulla paura: “L’analogia con le recenti campagne contro l’AIDS,” scrive nel 2014 in Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore, “e l’assoluta mancanza di una campagna di informazione medica, e non commerciale, sul Papilloma Virus condotta attraverso i consultori e le scuole, creano nella mente degli individui un cortocircuito immediato che rende perfettamente equivalenti Papilloma Virus e cancro al collo dell’utero” (60).
I conseguenti rischi maggiori sono due: la possibilità che si riduca l’adesione allo screening, trascurando il fatto che il vaccino non copre la totalità dei ceppi ad alto rischio, e il pericolo che molte donne si considerino destinate al tumore. È assai frequente che chi sia risultata positiva al Papilloma Virus, indipendentemente dal grado della lesione, abbia pensato di essere predisposta alla malattia: donne anche molto giovani possono immaginarsi portatrici di una minaccia statistica che, nella sua forma di possibilità, appare terrificante e, allo stesso tempo, incomprensibile. “Le informazioni con cui la cosiddetta prevenzione del cancro viene divulgata e legittimata presuppongono un modo di pensare statistico, che nei media appare come uno spettro inquietante”, scrive Barbara Duden (61), nella sua analisi al fenomeno della “cancerizzazione”. Le statistiche restituiscono numeri che trasferiscono il corpo delle donne nel mondo del rischio. L’applicazione della statistica distoglie però dalla realtà perché “decorporeizza”: a partire dai 12 anni – l’OMS consiglia la vaccinazione di tutte le ragazze prima dell’inizio dell’attività sessuale, individuando indicativamente quell’età – le donne sono sommerse da un’informazione parziale e da percentuali di pericolo che fanno sentire malata chi potrebbe non esserlo mai. Come afferma Duden, “chi si abbandona alla cancerizzazione sistemica si allena costantemente a vivere in un presente improprio; deve essere là dove non è ancora e dove forse non sarà mai”. Eppure l’andamento decrescente della comparsa di tumori al collo dell’utero (Grafico 2, pag. 28), che si è consolidato in Italia dal 1980 come conseguenza dei programmi organizzati di screening cervicale, e non per la campagna vaccinale iniziata in tutte le Regioni nel 2008, parla di una situazione che non dovrebbe destar spavento.
Più disciplinati per meglio guadagnare
La cosiddetta ‘lotta contro il cancro’ è oramai diventata una causa abbracciata da governi, ONG, fondazioni private, ossia un insieme di attori che gestisce e controlla il comportamento delle popolazioni attraverso programmi nazionali di prevenzione. Senza mettere in discussione il ruolo dello screening come strumento fondamentale per la salute, i minuziosi protocolli di cura rischiano di portare alla normalizzazione dei comportamenti e alla colpevolizzazione di chi non rispetta l’iter sanitario previsto. Usando le parole di Miguel Benasayag (62), nel contesto della prevenzione “la persona è giudicata responsabile di avere più o meno ben utilizzato il suo ‘capitale-vita’. E le si comunica che smette di aderire al modello dell’individuo autonomo e che deve, quindi, accettare la disciplina”. La volontà di far aderire gli individui a comportamenti prescritti dalle autorità sanitarie, ha come conseguenza il fatto che chi mostra un atteggiamento “deviato” diventa colui che si “merita” la malattia; una dinamica, quest’ultima, che si è vista in atto negli anni colpiti dal Covid-19, in particolare con l’introduzione dell’obbligo del vaccino e del Green Pass. Come nell’emergenza pandemica, quando la paura è stata un elemento chiave nel riuscire a disciplinare la popolazione facendola sentire responsabile della salute propria e altrui, nel caso della prevenzione all’HPV e, più in generale, ai tumori, il terrore del cancro diventa qualcosa su cui è possibile far leva per attuare dispositivi sanitari non sempre necessari. Scrive Benasayag che “contrariamente ad altre malattie gravi – ad esempio cardiache –, la diagnosi di cancro cade spesso come una mannaia e comunica al paziente che non è più il padrone del vapore. Il comando era, ovviamente, del tutto immaginario (come potrebbe qualcuno, che non è mai stato padrone, non esserlo più?), ma si ottiene comunque un’obbedienza decisamente concreta”.
Secondo questa logica di biopotere, il corpo diventa un aggregato di organi per i quali esistono specifici piani di prevenzione. Quella che potrebbe sembrare una distopia, dove la salute si cerca in ogni modo e a ogni costo, è ormai realtà, e ne è esempio lo screening genetico per i geni BRCA1 e BRCA2: qui alcune forme mutate e a trasmissione ereditaria aumentano il rischio di sviluppare determinati tipi di cancro, in particolare alla mammella e alle ovaie. L’esame genetico è dunque stato inserito all’interno del programma di prevenzione. A oggi il test è previsto solo per specifici casi selezionati secondo criteri individuali e familiari, ma c’è chi suggerisce l’utilità di estenderlo a una popolazione più ampia (63). Laddove le analisi per le mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 risultino positive, ovvero confermino la presenza di mutazioni, le linee guida offrono l’opzione della mastectomia profilattica e l’asportazione preventiva delle ovaie. Eppure la positività al test indica che il soggetto è portatore di una forma mutata del gene, e ciò comporta una predisposizione ereditaria allo sviluppo di tumori della mammella o delle ovaie, ma non significa che svilupperà per forza la malattia. Tuttavia essere catapultati nel campo di rischio maggiore fa sì che ci si distolga dalla realtà di un corpo sano per ridursi a essere un organo già malato e, dunque, da eliminare.
In Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Ivan Illich (64) scrive: “Ormai il cittadino, finché non si prova che è sano, si presume che sia malato”; un’affermazione che sembra essere oramai superata con la possibilità di indagare il DNA. Laddove in un individuo si trovino sequenze del DNA di un virus – il caso dell’HPV test – o mutazioni di geni – il caso di BRCA1 e BRCA2 –, quello stesso individuo inizia a percepirsi come caso clinico. “Fino a tempi non lontani la medicina si sforzava di valorizzare ciò che avviene in natura […] oggi invece essa cerca di materializzare i sogni della ragione” (75): lo sviluppo di nuove tecnologie rende potenzialmente illimitato il potere tecnico/politico della scienza sul corpo e dunque sulla persona, che, trasformandosi con facilità in paziente, cede la propria autonomia ai terapeuti. Il continuo superamento della medicina dei suoi stessi limiti richiede una medicalizzazione universale che comporta il fatto che “la salute non [sia] più una proprietà naturale di cui si presume che ogni essere umano sia dotato fino a quando non si dimostra che è malato, e [sia] invece divenuta una meta perennemente lontana cui si ha il diritto di aspirare in virtù di giustizia sociale” (66).
E, dunque, in nome di una certa idea di salute si trasmette e promuove un’informazione manipolata che, strumentalizzando l’umana paura e focalizzandosi su un rischio malattia, porta gli individui a percepirsi malati in un corpo sano e ad affidarsi a presunti salvifici vaccini o alla chirurgia; mentre nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo vengono implementati studi senza il consenso delle donne coinvolte. Orizzonti, questi, che richiamano la struttura capitalistica della società, gli interessi economici delle case farmaceutiche e le parole di Illich, secondo cui “la medicalizzazione porta all’estremo il carattere imperialista della società industriale”.
1) Ministero della Salute, Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale PNPV 2023-25, 30 dicembre 2022 https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1674644535.pdf
2) https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_tavole_27_1_7_file.pdf
5) Ministero della Salute, PNPV 2023-25 cit.
6) https://www.pharmexec.com/view/brand-year-0
7) “It made a market out of thin air”
8) Istituto Superiore di Sanità (ISS), EpiCentro, Infezioni da hpv e cervicocarcinoma, https://www.epicentro.iss.it/hpv/
9) Questi i tredici ceppi considerati ad alto rischio: 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 66. È stato stimato che l’HPV 16 e 18 siano responsabili di oltre il 70% dei casi di carcinoma al collo dell’utero
10) ISS, cit.
11) https://www.hsr.it/news/2021/luglio/papilloma-virus-in-cosa-consiste-come-curare
12) ISS, cit.
13) Ibidem
14) Il quadrivalente Gardasil protegge contro i tipi 6, 11, 16, 18
15) https://www.fda.gov/vaccines-blood-biologics/safety-availability-biologics/gardasil-vaccine-safety
16) https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/EPAR/gardasil#authorisation-details-section
17) Il bivalente Cervarix protegge contro i tipi 16 e 18
18) https://www.ema.europa.eu/en/documents/overview/cervarix-epar-summary-public_it.pdf
20) Il Gardasil 9 protegge contro i tipi 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, 58
22) https://www.ema.europa.eu/en/documents/overview/gardasil-9-epar-summary-public_it.pdf
24) https://m4.ti.ch/fileadmin/DSS/DSP/UMC/medicina_scolastica/hpv9-faq-it.pdf
25) https://www.gavi.org/operating-model/gavis-partnership-model/bill-melinda-gates-foundation
26) https://www.gavi.org/governance/gavi-board/members
27) https://www.gavi.org/bill-gates-explains-importance-hpv-vaccine-women-developing-countries
28) “HPV is a vaccine now available in basically every rich country and girls have the option of getting that vaccine and it’s fantastic, it means they don’t get cervical cancer […] If you get this HPV, the virus, in a developing country the chance it will be stopped is almost zero and so you’ll get cervical cancer.”
30) https://www.cgdev.org/blog/gates-funds-new-hpv-vaccine-program-path
32) https://www.fda.gov/media/75453/download
35) https://www.science.org/content/article/indian-parliament-comes-down-hard-cervical-cancer-trial
36) In Andhra Pradesh le vaccinazioni hanno inizio nel luglio del 2009, in Gujarat nell’agosto 2009
37) Parliament of India, Alleged Irregularities in the Conduct of Studies using Human Papilloma Virus Vaccine by Path in India, 30 agosto 2013, http://164.100.47.5/newcommittee/reports/EnglishCommittees/Committee%20on%20Health%20and%20Family%20Welfare/72.pdf
38) Ivi, II 2.5
39) Ibidem
40) “Parties (PATH and ICMR) desiring to explore collaboration to support public sector decision regarding HPV vaccine introduction in India and to generate necessary evidence to allow the possible introduction of HPV vaccine into India’s Universal Immunization Programme”, Ivi, III 3.4
41) Ivi, III 3.5
42) Ivi, III 3.10
43) Ibidem
44) Ivi, II 2.5
45) https://www.thelancet.com/pdfs/journals/lanonc/PIIS1470204513704200.pdf
46) Ivi, IV 4.2
47) https://www.thelancet.com/pdfs/journals/lanonc/PIIS1470204513704200.pdf; gli outcome primari del cosiddetto “demonstration project” di PATH sono i seguenti: numero e percentuale di ragazze vaccinate; numero e percentuale di ragazze vaccinate che manifestano eventi avversi gravi; numero e percentuale di ragazze vaccinate che manifestano eventi avversi non gravi; tempestività nel segnalare eventi avversi gravi alle autorità; tempestività nel segnalare eventi avversi non gravi alle autorità
48) A. Sengupta, A. Shenoi, N B Sarojini, Y Madhavi, Human papillomavirus vaccine trials in India, 26 febbraio 2011, https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(11)60270-5/fulltext
49) https://indiankanoon.org/doc/1001313/
50) A. Sengupta, A. Shenoi, N B Sarojini, Y Madhavi, art. cit.
51) https://www.path.org/media-center/statement-from-path-hpv-demonstration-project-in-india/
52) Parliament of India, cit. VI 6.12
53) Ivi, VI 6.14
54) Ivi, VI 6.13
55) Ivi, VI 6.26
56) Ivi, VI 6.25
57) NB Sarojini, S. Srinivasan, Y. Madhavi, S. Srinivasan, A. Shenoi, The HPV Vaccine: Science, Ethics and Regulation, EPW, 27 novembre 2010, http://indiaenvironmentportal.org.in/files/HPV%20Vaccine.pdf
58) S. Srinivasan, A vaccine for every ailment, Infochangeindia, aprile 2010, https://www.researchgate.net/publication/304451896_A_vaccine_for_every_ailment
59) https://globalvoices.org/2021/01/21/unmarried-women-and-sexual-health-battling-stigma-in-india/
60) Eugenio Serravalle, Vaccinazioni: alla ricerca del rischio minore, Il leone verde, 2014
61) Barbara Duden, I geni in testa e il feto nel grembo, Bollati Boringhieri, 2006
62) Miguel Benasayag, La salute ad ogni costo, Vita e Pensiero, 2010
64) Ivan Illich, Nemesi medica. L’espropriazione della salute, red!, 2005
65) Ibidem
66) Ibidem