Crimini di guerra in Ucraina: le richieste degli Stati Uniti, le risposte della Russia. Il funzionamento della Corte penale internazionale e il suo rapporto con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU: come e perché non può dirsi indipendente
“In base alle informazioni attualmente disponibili, oggi posso annunciare che il governo degli Stati Uniti ritiene che i membri delle forze armate russe abbiano commesso crimini di guerra in Ucraina.” Antony Blinken, Segretario di Stato americano, il 23 marzo 2022 rilascia un comunicato con cui chiarisce che il Dipartimento di Stato si dice disponibile a supportare ogni iniziativa internazionale finalizzata a ottenere giustizia. “Come con ogni presunto crimine”, continua Blinken, “la responsabilità di accertare la colpevolezza in casi specifici è competenza di un tribunale che ne abbia giurisdizione. Il governo degli Stati Uniti continuerà a raccogliere segnalazioni di crimini di guerra e a condividere opportunamente le informazioni con gli alleati, i partner e le istituzioni e organizzazioni internazionali. Ci impegniamo ad accertare ogni responsabilità usando ogni mezzo disponibile, procedimenti penali inclusi” (1). Alle dichiarazioni di Blinken fanno eco, pochi giorni dopo, quelle del presidente Biden: definisce Putin un “criminale di guerra” e ribadisce la necessità di raccogliere informazioni “per poter istituire un processo per crimini di guerra” nei confronti delle forze armate russe (2).
I crimini di guerra – insieme a genocidio, crimini contro l’umanità e atto di aggressione – rientrano sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale (CPI), tribunale permanente in sede all’Aja in funzione dal 2002 che proprio gli Stati Uniti – ma non sono i soli – non riconoscono: dopo aver firmato lo Statuto di Roma che l’ha istituita, infatti, appena la Corte è entrata in pieni poteri gli USA hanno ufficializzato la decisione di non ratificare l’adesione. Una decisione che resiste tutt’oggi, e ha quindi del paradossale la presa di posizione dell’Amministrazione Biden nei confronti dei presunti crimini commessi dalla Russia di Putin in Ucraina. Non solo. La posizione espressa dai rappresentanti del Senato statunitense è ancora più esplicita. Con una risoluzione presentata il 2 marzo dal repubblicano Lindsey Graham – e approvata all’unanimità il 15 dello stesso mese – il Senato “incoraggia gli Stati membri a chiedere alla Corte penale internazionale o altri tribunali internazionali idonei di adottare ogni misura possibile per indagare crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle forze armate russe […] ai comandi del presidente Vladimir Putin” (3). Gli Stati Uniti dunque chiamano direttamente in causa la CPI.
Pochi giorni prima, il 28 febbraio, il Procuratore della Corte dell’Aja, Karim Khan, aveva annunciato di voler aprire un’indagine in Ucraina “il più velocemente possibile” a causa dell’intensificarsi del conflitto, specificando di poter “accelerare ulteriormente le cose” se uno Stato membro gli avesse garantito il mandato per investigare (4). Il 2 marzo, lo stesso giorno della risoluzione del Senato USA, rende noto che 39 Stati membri – tra cui l’Italia – hanno segnalato al suo Ufficio la situazione in Ucraina (5), Paese che non ha mai ratificato lo Statuto ma che nell’aprile 2014 – dopo il referendum del marzo 2014 che ha sancito l’annessione della Crimea alla Russia – ha riconosciuto la giurisdizione della Corte per investigare su presunti crimini commessi dal 21 novembre 2013 (6). Ben 39 Stati, quindi, hanno prontamente risposto ai solleciti del Congresso statunitense e del Procuratore. Khan decide dunque di aprire un’indagine a partire dal 2013. Una scelta ben vista dagli Stati Uniti, che per voce del Dipartimento di Stato si dicono disposti persino a valutare una cooperazione con la CPI: “Accogliamo favorevolmente la decisione. […] Stiamo considerando tutte le possibili opzioni per accertare le responsabilità dei crimini” (7).
Tuttavia, è proprio la necessità di cooperazione da parte dei Paesi a costituire uno dei limiti all’azione della Corte. Se è vero che la posizione dei governi nazionali riesce a influire sulla sua autonomia, questi limiti non sono imputabili solamente agli interessi politici dei diversi Stati. È il medesimo Statuto, vedremo, a fare della CPI uno strumento di diritto internazionale sostanzialmente incompiuto.
Corte penale internazionale
Conferenza di Roma, 1998: dopo anni di confronti, una serie di incontri diplomatici all’ONU e la creazione di una commissione ad hoc, 120 Paesi votano a favore dell’adozione dello Statuto di Roma, trattato che istituisce la Corte penale internazionale entrato in vigore il 1° luglio 2002 e ratificato, a oggi, dai 123 Paesi che costituiscono l’Assemblea degli Stati membri.
Determinata “a porre fine all’impunità” e “contribuire alla prevenzione” dei crimini (8), la CPI è una Corte di ultima istanza – interviene solo quando gli Stati membri non abbiano la volontà o la capacità di procedere – che indaga e processa gli individui accusati di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e, dal 2018, crimine di aggressione. È un organismo indipendente ed esercita la propria giurisdizione sugli atti commessi da un cittadino di uno Stato membro e/o perpetrati sul territorio di uno Stato membro, anche a opera di individui con nazionalità di un Paese non aderente alla CPI; oppure commessi da un cittadino o sul territorio di uno Stato che non ha ratificato lo Statuto ma ha accettato la giurisdizione della Corte – come è il caso dell’Ucraina.
Per condurre le indagini si avvale di un Procuratore…
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