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Home Società Ambiente

Capitalismo e ambientalismo. La transizione (non) ecologica

Giovanna Cracco by Giovanna Cracco
30 Giugno 2022
in Ambiente, Economia, Nuove Tecnologie
0
Capitalismo e ambientalismo. La transizione (non) ecologica

Commissione Ue, Resilienza delle materie prime critiche, 3 settembre 2020

  • (Paginauno n. 78, luglio – settembre 2022)

Dall’estrazione delle materie prime al riciclaggio finale, le omissioni nella narrazione green: distruzione ambientale, spreco d’acqua, inquinamento, sfruttamento, consumo energetico di Big Tech. L’ultima rivoluzione tecnologica capitalistica che nulla ha a che fare con l’ambientalismo

“Prendiamo il caso delle pale eoliche: la crescita di questo mercato esigerà, da qui al 2050, 3.200 milioni di tonnellate di acciaio, 310 milioni di tonnellate di alluminio e 40 milioni di tonnellate di rame, poiché le pale eoliche inghiottiranno più materie prime rispetto alle precedenti tecnologie. A pari capacita [di produzione elettrica], le infrastrutture eoliche avranno bisogno fino a quindici volte in più di cemento, novanta volte in più di alluminio e cinquanta volte in più di ferro, rame e vetro rispetto alle istallazioni che utilizzano combustibili tradizionali.”
O. Vidal, B. Goffe e N. Arndt, Metals for a Low-Carbon Society, Nature Geoscience, vol. 6, novembre 2013
“Il rapporto mostra chiaramente che le tecnologie che si presume popoleranno il cambiamento all’energia pulita – eolico, solare, idrogeno ed elettrico – richiedono significativamente più risorse materiali per la loro composizione rispetto agli attuali sistemi tradizionali di approvvigionamento energetico basati sui combustibili fossili.”
World Bank, The Growing Role of Minerals and Metals for a Low Carbon Future, giugno 2017
“Vanno purificate 8,5 tonnellate di roccia per produrre un chilo di vanadio, 16 tonnellate per un chilo di cerio, 50 tonnellate per l’equivalente di gallio, e la cifra sbalorditiva di 200 tonnellate per un misero chilo di un metallo ancora più raro, il lutezio.”
Guillaume Pitron, La guerra dei metalli rari, Luiss Press, 2019

Transizione ecologica e digitale: una locuzione che è divenuta un imperativo, una parola d’ordine che nessuno più mette in discussione. Rare volte si è assistito a un cambio di paradigma con tale velocità: dall’essere argomento appannaggio di gruppi minoritari, pensiero carsico che riusciva ad affiorare solo legato a eventi contingenti per poi tornare a sotterrarsi, in pochi mesi l’ambientalismo si è trasformato in pensiero dominante. Com’è noto, il punto di svolta è stato il 2018 e Greta Thunberg.

Non occorre scomodare teorie del complotto, la semplice logica è sufficiente: ognuno di noi sa che può sedersi fuori dal Parlamento del proprio Paese per mesi interi senza ottenere alcuna visibilità sui media, né invito a parlare all’assemblea dell’ONU e al Forum annuale di Davos, se il tema di cui si fa portatore non si incrocia con gli interessi di un settore economico già egemone o che sta lottando per divenire tale all’interno del campo di potere capitalistico. Come insegna Gramsci, l’egemonia è fondata sul consenso: è “direzione morale e intellettuale”, è un rapporto pedagogico che si basa sul riconoscimento di legittimità da parte delle masse, ed è stata la creazione di questo consenso il compito che l’industria emergente del green, sostenuta dal comparto digitale, ha demandato alla ragazzina con le treccine.

Una figura e un’immagine innocente, pulita, appassionata, con ogni probabilità in buonafede, perfetta per trasformarsi in simbolo all’interno di una narrazione costruita per trarre potenza dalla propria caratteristica generazionale: adolescenti che chiedono il conto agli adulti del mondo che lasceranno loro. Molti Paesi erano sulla strada di disattendere gli accordi di Parigi del 2015, nell’indifferenza generale. Greta Thunberg e quella che la Scuola di Francoforte definiva “industria culturale” hanno creato i Fridays for Future, con migliaia di ragazzini in piazza “per un mondo migliore” e, in pochi mesi, l’egemonia si è affermata: il tema del cambiamento climatico e della transizione energetica si è imposto sui tavoli mondiali e a dicembre 2019 anche la Commissione Ue inizia a parlare di “Green Deal europeo”.

Il problema del cambiamento climatico, e in generale della distruzione ambientale del pianeta, esiste, quindi è positiva l’attenzione che l’ecologia ha finalmente ottenuto. Tuttavia la narrazione divulgata è colpevolmente parziale, e non poteva essere altrimenti poiché risente degli interessi capitalistici che l’hanno manovrata. Le energie cosiddette ‘pulite’ implicano infatti il ricorso a minerali ‘sporchi’ il cui sfruttamento è tutto tranne che pulito; le energie cosiddette ‘rinnovabili’ si basano sullo sfruttamento di materie prime che rinnovabili non sono; infine, la transizione verde e digitale era ormai divenuta, per il capitalismo, un passaggio sia inevitabile che necessario – per quanto dolorosa per alcuni settori industriali – e porterà con sé cambiamenti geopolitici.

Non pulito e non rinnovabile

Il punto di partenza da non dimenticare è che la transizione ecologica non può fare a meno di quella digitale. Sono le cosiddette ‘reti smart’, strutturate con software di intelligenza artificiale, che potranno calibrare il flusso di energia elettrica nelle case e nelle industrie in base al bisogno effettivo; saranno algoritmi di previsione meteorologici che miglioreranno le prestazioni dei pannelli fotovoltaici; sono sensori digitali che potranno modulare l’intensità di illuminazione nelle strade in base alla loro frequentazione; mentre i ‘magneti di terre rare’ sono il componente indispensabile delle auto elettriche, delle pale eoliche, dei pannelli fotovoltaici e di tutte le tecnologie digitali…

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Tags: cambiamento climaticocapitalismocapitalismo digitaleecologiaestrattivismoinquinamento
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