Body is reality, il nostro essere-nel-mondo nell’ultimo film di David Cronenberg, Crimes of the Future
In un futuro imprecisato, gli esseri umani hanno perso completamente – o quasi – la capacità di provare dolore e sviluppato, in cambio, quella di produrre spontaneamente nuovi organi. Basterebbe questa frase per capire che stiamo parlando di un film di David Cronenberg, pioniere del genere body horror. Il corpo appunto è uno dei capisaldi della poetica del regista canadese, che con Videodrome (1983), Crash (1996) – tratto dal romanzo di James Graham Ballard – ed eXistenZ (1999), in particolare, aveva composto una sorta di trittico dedicato all’avvento della nuova carne – quella carne, cioè, che finisce per diventare tutt’uno con l’ambiente artificiale creato dall’Uomo. A questi lavori si aggiunge ora Crimes of the Future (2022) – da non confondere con l’omonimo mediometraggio del 1970, realizzato sempre da Cronenberg – dove il relitto di una nave affondata introduce già dalla scena iniziale il tema della contaminazione tra ciò che è naturale – il mare, la spiaggia – e quanto è costruito per mezzo della tecnica. L’immagine è evocativa, inoltre, di un senso di catastrofe che accompagnerà poi lo spettatore per tutta la durata del film, permanendo negli ambienti fatiscenti attraversati dai personaggi e nelle strade in cui si ode spesso in sordina un fastidioso ronzio di mosche. D’altra parte, assistiamo presto a un evento esplicitamente innaturale: un bambino che si nutre di un cesto di plastica. Ma innaturale può essere considerato anche il fatto che una madre uccida il proprio figlio, per quanto sconvolta all’idea di aver partorito un mostro (dal latino monstrum: prodigio, ciò che sta al di fuori della natura). Il che è appunto quanto accade.
La scena si sposta in un’altra casa, dove vivono Saul Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Léa Seydoux), artisti performativi. Di nuovo, a essere esplicitato qui è il tema della commistione tra Uomo e Macchina, tra la dimensione naturale e quella artificiale. Saul dorme, infatti, su un particolare letto collegato al suo corpo per mezzo di alcuni cavi dall’apparenza organica, prodotto dalla LifeFormWare, azienda specializzata in apparecchiature biotecnologiche. Funzione di questo strano giaciglio è monitorare il dolore che egli – rimasto tra i pochi esseri umani a possedere tale capacità – avverte, seppur solo durante il sonno, in modo da alleviarlo. Tale aspetto, unito al bizzarro comportamento alimentare del bambino all’inizio del film, che fa pendant con la difficoltà a nutrirsi in maniera tradizionale sviluppata da Saul e altri come lui – e per cui è stata ideata, sempre dalla LifeFormWare, un’apposita sedia ‘colazionista’ per coadiuvare il soggetto nel processo di digestione – e alle grottesche pratiche sessuali in cui è coinvolta la maggior parte dei personaggi (delle quali parleremo meglio in seguito); tutto ciò, dicevamo, sembra confermare il fatto che ci troviamo già in una dimensione postumana, poiché appunto nel dolore, nel sonno, nella fame e nel sesso possono essere rintracciati gli elementi principali che caratterizzano l’Uomo innanzitutto come essere biologico. Eppure il passaggio definitivo tra la carne e la nuova carne non è ancora avvenuto, e la vicenda descritta da Cronenberg si svolge piuttosto sulla linea di confine tra questi due mondi.
L’Uomo, dunque, sta evolvendo. La ‘malattia’ dalla quale è affetto Saul, che lo porta a sviluppare nuovi organi – puntualmente rimossi da Caprice nel contesto delle loro performance artistiche – viene chiamata appunto Sindrome da Evoluzione Accelerata. Ma dove conduca tale evoluzione e se ciò sia un bene o un male è ancora tutto da capire. Le istituzioni, in particolare, sembrano estremamente preoccupate all’idea di perdere il controllo sui corpi – il che ci riporta alle analisi di Foucault sul tema della biopolitica, secondo cui, giunto il capitalismo alla sua fase più moderna e ‘sofisticata’, appunto il corpo diventa il terreno di scontro privilegiato tra la sfera del potere e quella della vita (1). Per questo motivo esiste un apposito ufficio per la registrazione degli organi, presieduto da Wippet (Don McKellar) e Timlin (Kristen Stewart), ai quali Saul e Caprice si rivolgono nel momento in cui il primo sviluppa dentro sé una nuova ghiandola endocrina.
La scena è molto interessante per diversi motivi. Innanzitutto offre a Cronenberg la possibilità di ‘spiegare’ al pubblico, attraverso i dialoghi tra i personaggi, le particolarità del mondo narrativo da egli stesso creato. Tra queste, il fatto che l’ufficio preposto alla registrazione degli organi non è ancora una realtà riconosciuta a livello istituzionale, essendo stato formato solo di recente – e in maniera top secret – confermando così che ci troviamo in un momento di passaggio tra umano e postumano, dove il potere tenta di ‘normalizzare’ un processo che, tuttavia, dato il carattere di assoluta novità di quest’ultimo, presenta ancora diverse zone d’ombra tra ciò che è legale e quanto, invece, viene considerato esplicitamente illegale – una sorta di Far West della carne.
In secondo luogo, viene palesata in questa scena l’enorme fascinazione che tipi come Saul e Caprice – vere e proprie star della body-art – suscitano a chiunque entri in contatto con loro o anche solo li osservi ‘da lontano’. Non per niente, come spiega Wippet: “Il nostro concetto di tatuaggio di registrazione si è in gran parte ispirato all’arte performativa di Saul Tenser”. Infatti, prima che, durante la performance, l’organo venga estratto chirurgicamente da Caprice, quest’ultima è solita tatuarlo dall’interno, ricalcandone la conformazione, con l’utilizzo di un apposito strumento. Che ciò divenga poi la prassi standard per l’ufficio di registrazione la dice lunga sull’influenza reciproca che media e potere istituzionale esercitano l’uno sull’altro. Tale tatuaggio è anche il centro di un discorso estremamente significativo tenuto da Saul nella scena successiva: “Indisciplinato. Così lo definirei. Lui assume la forma, la conformazione dell’organo stesso. In un certo senso, lo domina. Lo rimodella. Non è solo un parassita, anche se poi, in un certo senso, lo è. Pare togliere significato all’organo. Assume un processo di significazione su se stesso, per così dire”. Di nuovo, a emergere qui è il tema della ‘normalizzazione’ che il potere si sforza di esercitare su tutto l’esistente: come un demiurgo platonico, la Legge plasma la realtà da una materia preesistente, dotandola di un significato che, tuttavia, viene percepito da Saul alla stregua di una gabbia.
Eppure quanto fanno lui e Caprice nel contesto delle loro performance artistiche non è molto diverso. Come illustra Timlin al detective Cope (Welket Bungué) della squadra New Vice, creata appositamente per tenere sotto controllo le pratiche sorte in relazione all’abbassamento della soglia del dolore e alla facoltà degli esseri umani di produrre nuovi organi (i crimini del futuro a cui si riferisce il titolo del film): “Lui cattura la ribellione nel suo corpo e ne assume il controllo. La modella, la tatua, la mostra… E ne fa spettacolo. Ha significato, un significato molto potente, e moltissime persone lo riconoscono”. Per Cope, infatti, è inconcepibile che un’escrescenza tumorale sia considerata arte. E si chiede dove sia la comprensione emotiva e l’elaborazione filosofica che stanno appunto alla base di ogni espressione artistica. “Ci sono le esibizioni” aggiunge Wippet a sostegno della spiegazione di Timlin. “E poi c’è il discorso della volontà. Riteniamo che a un certo livello, forse nel suo subconscio, Saul Tenser voglia che crescano questi nuovi organi”. Non per niente, essi vengono prodotti dal suo corpo mentre Saul sta dormendo, quando cioè cadono quelle barriere coscienti che, una volta sveglio, gli fanno desiderare che quei medesimi organi siano rimossi. È lui stesso a dichiararlo di fronte a Wippet e Timlin in una scena precedente: “Chi lo non farebbe?” E gli fa eco Caprice: “Sono di fatto tumori. Potrebbero uccidere”. Dimodoché l’immagine che ci offre Cronenberg nel suo protagonista è quella di un uomo scisso su più fronti: tra la sfera conscia e inconscia innanzitutto; ma anche sul terreno politico.
Sembra paradossale affermarlo dopo quanto scritto finora, ma, in effetti, tutto il film di Cronenberg è costellato di riferimenti biblici o anche solo suggestioni di natura ‘ieratica’. Basti pensare alla reazione scomposta di Timlin, quando Cope allunga la mano per toccare il registro in cui sono raccolte le immagini degli organi di Saul con relativi tatuaggi, quasi si trattasse di un reliquiario; oppure al nome stesso di Saul – in italiano Saulo – ovvero quello portato da Paolo di Tarso fino al momento della sua conversione (il collegamento non è affatto gratuito e ne parleremo meglio più avanti). Senonché, nel mondo descritto da Cronenberg, la tecnica è la nuova religione, così come la chirurgia è il nuovo sesso.
Ad affermarlo esplicitamente è Timlin. E tale definizione viene ripetuta da Caprice nel momento in cui ella, guardando la cerniera di Saul, appare visibilmente eccitata. Nella smania di essere letteralmente aperti, attraverso bisturi, coltelli o altri arnesi affilati, ritroviamo così quell’inquietante impasto di Eros e Thanatos che il regista canadese aveva già mostrato in Crash in relazione al desiderio da parte dell’Uomo alienato di fondersi alla Macchina. Non per niente, una delle scene più grottesche e disturbanti del film vede Saul e Caprice nudi all’interno del modulo Sark – il tavolo per le operazioni usato dai due artisti durante le loro esibizioni, il quale all’inizio era stato ideato significativamente dalla LifeFormWare come apparecchio per le autopsie – mentre bracci meccanici li tagliuzzano da più parti. Ma non solo… Come spiega a Caprice un’altra artista performativa, dopo essersi fatta squarciare il viso: “Mi piacciono i traumi. Ciò che faccio al mio corpo è molto traumatico”. La reificazione dell’essere umano – di cui la scomparsa del dolore nel film di Cronenberg è sintomo metaforico – produce parallelamente negli individui una sorta di nostalgia della carne in rapporto alla perduta capacità di sentire. Da questo punto di vista, ogni ferita inflitta o autoinflitta va intesa anche come il tentativo disperato di ritrovare una porta di accesso alla realtà e al suo significato – quell’apertura al mondo in cui, per adottare un linguaggio filosofico, sta tutta la differenza tra un essere in-sé e un essere per-sé nell’accezione data da Sartre a questi due termini.
Tornando alla trama di Crimes of the Future, centrale nello svolgimento di quest’ultima è l’incontro tra Saul e Lang Dotrice (Scott Speedman), il padre di Breken (Sozos Sotiris) – il bambino ucciso dalla propria madre all’inizio del film – il quale gli chiede di svolgere un’autopsia sul cadavere del figlio nel contesto di una performance artistica in modo da attrarre l’attenzione del pubblico sulla propria causa. Egli milita, infatti, in un’organizzazione che spera di convincere l’umanità tutta a nutrirsi di plastica e suoi derivati, previa un’apposita operazione chirurgica per sostituire il tradizionale apparato digerente con uno consono a tal progetto. La tesi di fondo è che solo così sarebbe possibile vivere in sintonia con il mondo tecnologico creato dall’Uomo. Breken era stato il primo essere umano – o postumano – a nascere con organi adatti ad assimilare cibo artificiale. Il che non manca di scatenare l’incredulità di Saul: “Lei dice che la vostra chirurgia, la chirurgia che vi ha resi dei mangia-plastica, è stata replicata geneticamente in suo figlio? Che le caratteristiche acquisite con la chirurgia sono diventate ereditarie? Ti amputi il mignolo e i tuoi figli nascono senza mignolo?” Ma nemmeno Lang ha spiegazioni da offrirgli a riguardo, senonché: “Breken era un figlio miracoloso”.
Riemerge qui quanto dicevamo a proposito delle suggestioni mistico-religiose disseminate in tutto il film di Cronenberg. Da questo punto di vista, Breken è una figura cristologica nel senso che testimonia, con la sua stessa esistenza, di un mondo a venire: non più il Regno dei Cieli della tradizione giudaico-cristiana, ma il futuro dell’umanità sulla Terra in rapporto all’ambiente artificiale in cui si trova a vivere. Non per niente, quando vediamo il cadavere del bambino steso sul modulo Sark poco prima che l’autopsia abbia inizio, l’inquadratura è realizzata in modo da evocare subito alla mente il Cristo morto del Mantegna. Ciò che Saul e Caprice, nonché il pubblico intervenuto all’esibizione, si aspettano di trovare in lui è un significato rivelato. Ed è proprio Caprice a esplicitare tale aspettativa attraverso il monologo che accompagna l’operazione: “Tutti noi abbiamo sempre voluto assistere a un’autopsia. Pensavamo che il corpo fosse vuoto, privo di significato, e volevamo una conferma in modo da riempirlo di significato. Autopsia significa vedere con i propri occhi. […]. Breken era un giovane ragazzo che è stato ucciso da sua madre a causa di ciò che era nascosto nel suo corpo. A causa del significato che era dentro di lui. Per lei il corpo non era privo di significato. E ora tuffiamoci nel profondo del corpo di Breken. E, come professori di letteratura, cerchiamo il significato che giace rinchiuso nella poesia che era Breken”.
In questo senso, le performance di Saul e Caprice sembrerebbero riallacciarsi più alle istanze dell’avanguardia novecentesca che a quelle della neoavanguardia. Come illustra Danih Meo in un interessantissimo saggio dal titolo Reality Art. L’epoca del nichilismo organizzato e la sua arte, edito da Mimesis, se ancora fino a Duchamp o ai situazionisti negli anni Settanta l’idea alla base era rompere le barriere tra l’arte e la vita in mondo da infondere a quest’ultima un senso assoluto, con l’avvento della reality art spettacolarizzata si ha piuttosto l’affermazione del non-senso assoluto della vita, con il passaggio dal paradigma della produzione della forma da un niente relativo (apeiron) a quello della creazione dal nulla assoluto (nihil). Il che rispecchia la metafisica fondamentale dell’epoca contemporanea, secondo cui essenza della vita sarebbe appunto il non-senso e quella dell’essere il non-essere, funzionale, in ultima analisi, al mantenimento dello status quo. Infatti: “La spettacolarizzazione di tutto ciò che il senso comune storico considerava ‘reale’, ovvero la sua riduzione alla sola visibilità, dunque ad apparenza senza residuo, messa in opera dalla reality art, è funzionale alla esplicitazione simbolica di questa nuova concezione dell’essere come mera apparenza fantasmatica del non-essere. […] Se è così, se ogni cosa è niente, anche quando apparentemente è qualcosa, ne consegue la caduta nell’ordine del ridicolo o dell’intellettualistico di qualsivoglia forma di speranza in possibilità ulteriori che non siano quelle del ciclo mitico-naturale [dove la morte viene considerata la sola verità del mondo, n.d.a.]. L’arte attuale, infatti, nella sua accezione di arte del disincanto, comunica alle masse la necessità e l’utilità di rassegnarsi allo status quo, all’ordinamento sociale così com’è, dato che esso rappresenta l’unico baluardo a difesa degli individui di fronte a quello che, per quanto differito, è e resta il loro destino. Alle classi dirigenti comunica, invece, un senso di sollievo rispetto a quei residui vetero-morali che qualche volta sembrano ancora contrapporsi alla necessità, pur universalmente riconosciuta, dell’agire puramente strumentale. Assolve anche, e rende teoricamente pensabile, quell’impulso dell’Io a farsi Dio che appare il movente più o meno inconscio dell’ineguaglianza e della violenza che ha da sempre caratterizzato, fino a oggi, le società umane” (2).
Nella strenua ricerca da parte di Saul e Caprice di un significato immanente al corpo sembrerebbe manifestarsi, dunque, quella nostalgia dell’essere che, nella nostra epoca nichilistica, sembra continuamente sottrarsi all’esperienza umana nella forma di una riduzione (3). Tuttavia, le loro performance mantengono quegli elementi di spettacolarizzazione della realtà denunciati da Danih Meo nel suo saggio ed evidenziati nel film di Cronenberg dal fatto che chiunque assista alle esibizioni ha sempre in mano una telecamera o una macchina fotografica. Inoltre, è decisamente grottesco che il significato che Saul e Caprice sperano di trovare nel cadavere di Breken – il Verbo fatto carne – consista in un sistema di organi adatti a digerire la plastica. Quella sorta di superamento dialettico del nichilismo auspicato da Nietzsche nella figura dell’oltreuomo e che sarebbe dovuto avvenire attraverso la trasvalutazione dei valori – tema quest’ultimo che nondimeno attraversa tutto il film in cui si assiste appunto a un momento di passaggio tra i vecchi valori ormai in decadenza e il loro riposizionamento nella scala prospettica della nuova carne – si trova parodiato qui nell’ipotesi di una ‘semplice’ evoluzione darwiniana, seppur declinata nell’orizzonte simbolico del mito cristiano. Da questo punto di vista, ha ragione Stefano Caselli nella sua bella analisi di Crimes of the Future, carica di interessati spunti di riflessione, a rintracciare nel film di Cronenberg l’influenza di quel cinema trascendentale di cui Paul Schrader è stato il principale teorizzatore (4). È vero, infatti, che lo spazio soprattutto è utilizzato in chiave espressionistica in modo da creare un senso di claustrofobia nello spettatore, sottolineando così una sproporzione tra Io e Mondo, la quale diventa poi innesco per la ricerca appunto del trascendente. Ma tutto ciò risulta filtrato dal regista canadese attraverso la lente di un’amara ironia.
Quando Saul e Caprice aprono il corpo di Breken, quanto trovano all’interno è un normalissimo apparato digerente su cui sono stati tatuati un cuore, un teschio, una colomba e la scritta mother – quel genere di soggetti, cioè, che Saul, scherzando, in una delle scene iniziali del film, aveva ipotizzato di realizzare sui suoi stessi organi al posto del consueto tatuaggio di registrazione. Il significato ricercato dai due artisti continua, dunque, a sottrarsi. E il terremoto emotivo suscitato da tale scoperta traspare esplicitamente dalle parole che Caprice, in lacrime, rivolge al pubblico: “Quindi vediamo che la crudezza e la disperazione e la bruttezza del mondo si sono insinuati anche dentro i nostri giovani più belli”. L’uccisione di Lang Dotrice da parte di due specialiste della LifeFormWare, già responsabili della morte del dottor Nasatir, le quali si avvalgono significativamente per i loro assassinii di un trapano – un oggetto, cioè, dal chiaro valore simbolico in rapporto alla dimensione della Tecnica – completa il quadro. Ma cosa è avvenuto esattamente?
A chiarirlo è la scena seguente in cui Saul incontra di nuovo il detective Cope, il quale gli spiega che era stata Timlin, anch’ella infiltrata dell’unità New Vice nel settore della body-art, a trapiantare nel cadavere di Breken, prima dell’esibizione, un apparato digerente tradizionale al posto del sistema di neo-organi: “Non potevo farlo sapere. Una volta diffusasi la notizia, sarebbe stato impossibile rimediare”. Moderno Ponzio Pilato, il detective Cope non si domanda più cosa sia la verità, limitandosi a nasconderla al mondo per via della sua carica eversiva. Tuttavia, nell’assassinio di Lang Dotrice non ha alcuna responsabilità, come dichiara di fronte a Saul, che lo accusa in tal senso. Risulta evidente allora che solo alla LifeFormWare, i cui profitti sono dovuti al particolare status quo venutosi a creare sulla linea di confine che separa la carne dalla nuova carne – e che, dunque, avrebbe tutto da perdere nel caso in cui gli esseri umani completassero il processo evolutivo – è da ascrivere la decisione di uccidere Lang. Il che segna uno scarto tra il potere istituzionale e quello economico, dove quest’ultimo si dimostra sempre la causa efficiente del primo, conservando così una sostanziale autarchia.
Eppure, come afferma Saul, riferendosi al padre di Breken: “Non importa chi l’abbia ucciso. Farà di lui un martire. Proprio quello che serve alla causa”. E quando Cope gli fa notare che simili parole potrebbero essere interpretate come quelle di un rinnegato rispetto al ruolo di informatore dell’unità New Vice, risponde con una battuta estremamente significativa dal punto di vista della rete simbolica creata da Cronenberg in rapporto al mito cristiano: “Sei vuoi essere bravo a vivere sotto copertura, una parte di te deve credere”. Del resto, già nella decisione, esplicitata da Saul in una scena precedente, di non procedere subito alla rimozione dei nuovi organi che, nel frattempo, avevano cominciato a crescere dentro di lui, era anticipato il cambio di paradigma che lo interessa alla fine del film, reso attraverso l’impianto estetico di una vera e propria rivelazione.
Nonostante l’ausilio della sedia ‘colazionista’ della LifeFormWare, infatti, l’artista mostra sempre più difficoltà a nutrirsi con del cibo tradizionale. Al che Caprice gli porge una delle barrette sintetiche di cui era solito nutrirsi Lang Dotrice – quasi si trattasse di un’ostia. Il primo piano di Saul che, dato il primo morso, spalanca gli occhi, lo sguardo rivolto verso l’alto, mentre una lacrima gli scende lungo una guancia, oltre a essere una chiara citazione dal film La passione di Giovanna D’Arco (1928) di Carl Theodor Dreyer, suggella così il valore simbolico del suo nome in rapporto alla conversione di Paolo di Tarso, folgorato sulla via di Damasco – da persecutore dei primi cristiani a diffusore della Buona Novella nel mondo. Ma, vale la pena ripeterlo in chiusura, l’intento di Cronenberg qui è sottilmente ironico – e a confermarlo è lo stesso cineasta nell’ambito di un’intervista rilasciata a il manifesto (5): “Venti anni fa nessuno parlava di microplastiche, mentre ora ci dicono che abbiamo microplastiche nel flusso sanguigno, con la consapevolezza che circa l’80% delle persone sulla terra ha microplastiche come parte della loro carne. Quindi, il film, anche se, come ho detto, è stato scritto prima che quel concetto diventasse popolare [la sceneggiatura risale al 1998, n.d.a.], è forse un suggerimento satirico: invece di pensare che per salvare la terra dobbiamo interrompere la produzione di plastica, eliminandola dall’oceano e dai corpi di miliardi di persone, visto che non sembra molto probabile, l’alternativa potrebbe essere quella di abbracciare la plastica, amandola, divertendoci con lei, mangiandola”.
Da prendere molto seriamente è, invece, la scritta che compare su un televisore durante la prima performance di Saul e Caprice rappresentata nel film, la quale sintetizza in sé tutta la poetica di Cronenberg, nonché il suo ‘mondo morale’: Body is reality. In un’epoca caratterizzata sempre più dalla ‘dissoluzione’ del corpo nella sfera del virtuale, il fatto che in Crimes of the Future persino gli effetti speciali siano di natura prevalentemente analogica, con appena qualche ‘pennellata’ di digitale – e solo laddove non sarebbe stato possibile ricorrere ad altre soluzioni – assume addirittura un valore meta-cinematografico in relazione alla necessità di riprendere contatto con la nostra dimensione fisica; non nel senso propagandato dalla reality art per cui tutto l’esistente si riduce a mera apparenza del non-essere; bensì nell’ottica di una ‘riscoperta della carne’ quale prova incontrovertibile del nostro essere-nel-mondo – il terreno su cui si gioca il presente e il futuro dell’umanità tutta.
1) Vedi, in particolare, Michel Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli
2) Danih Meo, Reality Art. L’epoca del nichilismo organizzato e la sua arte, Mimesis
3) Cfr. Ernst Jünger e Martin Heidegger, Oltre la linea, Adelphi
4) Cfr. https://specchioscuro.it/crimes-of-the-future/
5) https://ilmanifesto.it/david-cronenberg-il-corpo-e-la-realta-ce-sempre-chi-vuole-controllarlo