Un sistema economico che mette a valore la morte: ben oltre l’industria delle armi, le società di contractor e il dual use di Big Tech e dell’intelligenza artificiale che noi stessi addestriamo, ora siamo tutti chiamati a far soldi in Ucraina
“La minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo? Gli sforzi per prevenire una simile catastrofe pongono in ombra la ricerca delle sue cause potenziali nella società industriale contemporanea. Queste cause […] si trovano spinte in secondo piano dinanzi alla troppo ovvia minaccia dall’esterno – l’Ovest minacciato dall’Est, l’Est minacciato dall’Ovest. Egualmente ovvio è il bisogno di essere preparati, di vivere sull’orlo della guerra, di far fronte alla sfida. Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione […]. Se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo.” (1)
Fino a qualche mese fa, alcuni passaggi de L’uomo a una dimensione di Marcuse apparivano datati: scritto negli Stati Uniti della Guerra Fredda, vi si respira l’oppressione costituita da una minaccia costante, quello “Stato belligerante” che l’intellettuale francofortese affianca allo “Stato del benessere”. Ripresi ora, quegli stessi passaggi riacquistano contemporaneità: non siamo più nello Stato del benessere dei ‘trenta gloriosi’ – è subentrato il neoliberismo – ma siamo ripiombati nello Stato belligerante.
Quel che qui preme riprendere del testo di Marcuse, tra le numerose chiavi di lettura che non hanno mai perso di attualità, è l’aspetto irrazionale della società industriale/tecnologica avanzata. Una società che progredisce più “perpetua il pericolo”, scrive Marcuse; il cui sistema mass mediatico dell’industria culturale divulga una narrazione che trasforma interessi particolari – affari, benessere, produzione e consumo di massa – in “bene comune, […] come fossero [i valori] di tutti gli uomini ragionevoli”. Ragionevoli inteso come logos, ratio, Ragione, Razionale, nel quadro dell’affermazione hegeliana: “Il razionale è reale, il reale è razionale”. Affermazione che Marcuse, rivendicando la dialettica negativa di Adorno, contesta: il reale è irrazionale. Quel “è” rappresenta dunque una tensione, una trasformazione che solo il pensiero critico, negativo, può attuare; rappresenta un “dover essere”. Perché vi è nulla di razionale – se poniamo al centro dell’agire l’emancipazione umana – in una società che ha fatto dell’assassinio di esseri umani una fonte di profitto e di prosperità economica.
Non si tratta solo dell’industria degli armamenti, e indubbiamente la guerra è sempre stata fonte di profitti. Ma il capitalismo la connota a sua immagine.
Da una parte, la trasforma in uno dei meccanismi che, davanti a una crisi, permette l’avvio di un nuovo ciclo di accumulazione, distruggendo per ricostruire, aprendo nuovi mercati ed eliminando concorrenza: l’intera economia dunque, e non solo i settori legati strettamente alla spesa militare, trae così vantaggio dalla guerra. È quel che sta accadendo in Ucraina, come vedremo.
Dall’altra, con lo sviluppo tecnologico, la fase capitalistica che già si era contraddistinta per la messa a valore dell’intero spazio sociale, fa un passo ulteriore, e la sussunzione finisce per inscriversi totalmente in una ‘economia di guerra’: ogni volta che utilizziamo un assistente vocale, che ci rivolgiamo ad Alexa chiedendo un brano musicale, che carichiamo una foto su un social, stiamo addestrando un algoritmo di intelligenza artificiale, e quest’ultima, come vedremo, è la base dell’attuale tecnologia militare. Adorno e Horkheimer – scrivendo a conflitto mondiale in corso – già avevano evidenziato l’“aspetto distruttivo del progresso”, quella dialettica dell’illuminismo in sé auto-distruttiva: in un primo momento scienza e tecnica, figlie del pensiero razionale, liberano l’uomo dalla soggezione alle potenze oscure della natura; in un secondo momento portano alla moderna società industriale, che domina non solo la natura ma l’uomo stesso. “Nato da istanze di emancipazione dell’uomo, [l’illuminismo] finisce per trasformarlo in un oggetto calcolabile e funzionale e quindi totalmente regolato e amministrato dalla società capitalistica.” (2) Alienato, reificato, dominato, colonizzato nel suo immaginario, l’uomo diviene a una dimensione, incapace di riconoscere l’irrazionale e, di conseguenza, capace di accettare come normale lo sviluppo di un’economia di morte.
Armi
Il Rapporto Sipri 2022 fotografa una spesa militare globale arrivata a 2.113 miliardi di dollari nel 2021, pari al 2,2% del Pil mondiale (Grafico 1, pag. 8). Sono 60 i principali Stati esportatori di armi, ma la maggior parte rappresenta quote minori: i primi 25 Paesi coprono infatti il 99% del volume totale delle vendite e i cinque maggiori – Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania – si accaparrano il 78% del commercio (Tabella 2, pag. 9). Il Rapporto precedente (Sipri 2021) sottolineava che nel 2020 “l’onere militare era aumentato nella maggioranza degli Stati”, anche se alcuni avevano deviato parte della spesa militare verso quella sanitaria per rispondere alla crisi Covid-19; uno, tuttavia (l’Ungheria), aveva fatto l’opposto, incrementandola “come parte di un pacchetto di stimoli finanziari in risposta alla pandemia”. “L’idea che all’aumento della spesa militare si possa associare una ripresa economica prenderà probabilmente spazio in altri Paesi”, scriveva il Sipri: la guerra come rilancio per un’economia in crisi. E ancora non era scoppiato il conflitto in Ucraina, che nei Paesi Nato ha agito da giustificazione per l’incremento della spesa pubblica in armamenti.
Se dagli Stati passiamo alle aziende, la Top 100 Sipri 2021 – che legge solo le prime 100 società del settore – vede 531 miliardi di vendite di armi nel 2020 (ultimi dati disponibili), in aumento: mentre l’economia globale registrava una contrazione del 3,1% a causa della recessione da Covid-19, il commercio di armamenti segnava un +1,3% rispetto al 2019.
Di queste 100 società, 41 sono statunitensi – e rappresentano il 54% delle vendite totali – cinque sono cinesi (13%), a seguire britanniche, russe ecc. (Grafico 3, pag. 10). Uno sguardo alle prime 25 posizioni dà l’idea delle aziende che controllano il comparto (Tabella 4, pag. 11): Lockheed Martin domina la classifica dal 2009 e Raytheon Technologies nasce dalla fusione, nel 2020, di Raytheon Company e United Technologies Corporation: una delle più grandi fusioni nella storia del settore.
Contractor
Meno note delle industrie degli armamenti – solo il russo Gruppo Wagner occupa le pagine dei quotidiani dallo scoppio della guerra in Ucraina – le Private Military and Security Companies (PMSC) nascono negli anni ‘90. Sono imprese private che fanno profitti fornendo servizi militari (PMC) e/o di sicurezza (PSC), aggiudicandosi gare d’appalto e sottoscrivendo contratti commerciali – da qui il termine contractor. Offrono pianificazione strategica, addestramento, intelligence, investigazione, comunicazioni; ricognizione terrestre, marittima o aerea; operazioni di volo di ogni tipo, con o senza equipaggio (droni); supporto logistico, materiale e tecnico; sorveglianza satellitare, qualsiasi genere di trasferimento di conoscenze con applicazioni militari o di polizia; sorveglianza armata o protezione di edifici, installazioni, proprietà e persone; combattimento e sicurezza nelle zone di guerra.
L’acronimo generalmente usato le tiene insieme (PMSC) perché la distinzione è inconsistente e fuorviante: quasi tutte le società – sicuramente le più grandi e quotate – forniscono entrambi i servizi, e molti di quelli classificati come ‘sicurezza’ si svolgono in situazioni di conflitti, apertamente dichiarati o meno. Ben poco vale anche la separazione tra ‘funzioni passive’ di difesa/protezione e ‘funzioni attive’ di combattimento offensivo sul campo: perché le prime possono trasformarsi nelle seconde al rapido mutare della situazione sul terreno (la protezione di un sito o un convoglio diventa azione offensiva non appena viene attaccato), ma soprattutto perché attività come consulenza e addestramento dei soldati influiscono sostanzialmente sulle loro capacità in battaglia; così come intelligence, sorveglianza, operazioni di volo – sempre più con droni – intervengono attivamente negli scontri armati, modificandoli; e non si può definire estraneo al combattimento nemmeno il supporto logistico. Ogni funzione insomma, in una situazione di conflitto, sostiene e concorre alla guerra, anche se non preme il grilletto.
La PMSC attingono a un bacino di reclutamento tramite database di professionisti (generalmente ex militari) disponibili a chiamata e offrono contratti individuali di breve o lunga durata e ben pagati – i numeri sono riservati, ma pare che le retribuzioni superino da due a dieci volte quelle delle forze armate. Attualmente sul sito silentprofessional.org, un servizio di “estrazione/protezione” in Ucraina vale un contratto da 1.000 a 2.000 dollari al giorno, più bonus; “Il datore di lavoro è una società con sede negli Stati Uniti che cerca team e agenti di estrazione/protezione, per condurre operazioni part-time, segrete, di estrazione/evacuazione di individui e famiglie nelle campagne e nelle principali città dell’Ucraina” (3).
Le Private Military and Security Companies vanno ben oltre la figura dei ‘vecchi’ mercenari e degli attuali foreign fighter. Sono il risultato di tre cambiamenti storico/politici:
- la fine della Guerra Fredda, che ‘libera’ militari e armi, ponendoli sul mercato: globalmente il numero di soldati effettivi passa da 28,7 milioni nel 1988 a 22,3 milioni nel 1997, con una riduzione del 22% (4) (i dati del 2019 riportano 20,4 milioni di militari effettivi (5): la diminuzione dunque continua, per quanto non viviamo certo in un pianeta pacificato, favorendo i contratti e i profitti delle PMSC);
- l’imporsi dagli USA della Revolution in Military Affairs (RMA), la teoria secondo cui, in seguito agli sviluppi tecnologici, un numero relativamente piccolo di persone ben addestrate e dotate di armi a tecnologia avanzata può facilmente vincere su una forza militare più numerosa ma scarsamente addestrata e dotata di attrezzature meno sofisticate – sulla RMA torneremo;
- l’avvio di politiche neoliberiste, con privatizzazioni ed esternalizzazioni che toccano anche la visione della Difesa. Lo Stato arretra a favore dei profitti dei privati. La capacità di fare la guerra diviene una merce acquistabile sul mercato sotto forma di servizio: quando serve, come serve, a prezzi ritenuti vantaggiosi grazie alla concorrenza tra le aziende che la offrono.
Nel 2021 il mercato mondiale dei servizi militari e di sicurezza ha fatturato 241,7 miliardi di dollari e si prevede un tasso di crescita annuo del 7,2% (6). Le società statunitensi e britanniche, che hanno inaugurato il settore, continuano a dominarlo – Constellis, di cui fa parte Academi (ex Blackwater, divenuta nota nella guerra in Iraq del 2003), G4S, DynCorp, Military Professional Resources, Erinys International, Allied Universal, Aegis Defense Services – ma le PMSC si vanno diffondendo in tutti i Paesi. Diversi Stati – su tutti USA e Gran Bretagna – hanno smantellato intere funzioni all’interno delle forze armate: ormai non potrebbero più combattere una guerra senza le aziende private (7).
Oggi non esiste conflitto – a qualunque gradazione di intensità – che non veda la presenza delle PMSC. E, paradossalmente, nemmeno una missione di peacekeeping. Gli Stati non sono infatti gli unici attori a utilizzare i contractor: istituzioni e organizzazioni di vario tipo, pubbliche o private, come ONU, Unione europea, Ong o associazioni umanitarie, nonché imprese – spesso minerarie ed estrattive, ma non solo – sono altrettanti ‘clienti’ delle PMSC, mentre il Working Group on the use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the right of peoples to self-determination dell’ONU segue costantemente gli sviluppi del settore, denunciandone l’utilizzo da parte della stessa ONU, la mancata regolamentazione e i numerosi abusi dei diritti umani.
Il tema ha diversi e importanti risvolti che toccano aspetti politici (il monopolio statale della forza), normativi (l’inquadramento nella catena di comando delle forze armate e la mancanza di regolamentazione nel diritto internazionale), economici (la presunta convenienza per i bilanci pubblici rispetto al mantenimento di una forza militare statale) e umanitari (la sistematica violazione dei diritti umani); aspetti che ci porterebbero fuori focus e per approfondire i quali rimandiamo al 20° Rapporto sui Diritti Globali curato da Associazione Società Informazione, in uscita a dicembre 2022 (8).
Tecnologia digitale
Se con le armi e le PMSC siamo davanti a due settori strettamente collegati alla guerra, con la tecnologia digitale la situazione muta. Analizziamo gli Stati Uniti, in quanto potenza dominante, statale ed economica, in campo militare, e realtà esemplificativa di strategie e modalità che percorrono tutti i Paesi a economia avanzata, ricordando che anche la Cina sta attualmente adottando il medesimo approccio (9). La Difesa statunitense evolve in base alle Offset Strategy: la logica fondante è quella di compensare (offset) uno squilibrio esistente, per cercare di mantenere la supremazia bellica.
In sintesi, il primo offset nasce negli anni ‘50 della Guerra Fredda: l’URSS è superiore per forze militari convenzionali, così gli USA si concentrano a sviluppare e produrre armi nucleari tattiche e missili balistici internazionali.
Raggiunti tecnologicamente dagli avversari, negli anni ‘70 e ‘80 prende avvio il secondo offset, basato soprattutto su reti digitali (satelliti e apparecchiature di comunicazione) e armi ‘intelligenti’ e di precisione (è l’operazione Desert Storm nella guerra del Golfo nel 1991). Di questo offset fa parte la Revolution in Military Affairs, la teoria che, abbiamo visto, concorre a smantellare le forze armate e a esternalizzare la Difesa, facendo nascere le PMSC private – da qui anche l’abolizione, in molti Paesi, della leva obbligatoria: in Italia nel 2005.
A metà degli anni ‘10, intorno al 2015, si impone il terzo e attuale offset, focalizzato su una combinazione di intelligenza artificiale, guerra informatica e robot.
È evidente che ognuna di queste strategie poggia su una specifica tecnologia: la miniaturizzazione dei componenti nucleari; lo sviluppo del digitale, delle tecnologie informatiche, di nuovi sensori e dello stealth; l’intelligenza artificiale. Tra i precedenti offset e quello attuale, vi è tuttavia una differenza significativa: se prima la Difesa USA aveva una ben chiara visione dei sistemi d’arma e delle tecnologie a cui mirava, oggi l’obiettivo è un generico “sfruttamento di tutti i progressi dell’intelligenza artificiale e dell’autonomia IA” (10). Ne consegue che la tradizionale industria degli armamenti non è più stata in grado di restare al passo, come aveva fatto nei primi due offset, subappaltando parti di commesse governative – Lockheed Martin “è stato il più grande datore di lavoro della Silicon Valley fino agli anni ‘80” secondo Margart O’Mara (11) – e/o acquisendo piccole società tecnologiche: in breve tempo il comparto digitale diviene l’oligarchia delle Big Tech, vale a dire too big to buy: troppo grandi per essere comprate. È così che la Silicon Valley, che nasce con radici ben piantate, ma celate, nel complesso militare-industriale statunitense, vi entra dalla porta principale, stipulando direttamente appalti con il Dipartimento della Difesa (DoD); pur cercando ancora di nascondere, quando possibile, il proprio coinvolgimento, attraverso una rete di subappalti (12). Nasce il concetto del dual use, tecnologia civile e commerciale che può avere utilizzi anche militari: significa che, potenzialmente, nessun settore economico è escluso dal business della guerra.
Nel 2015 il DoD apre il quartier generale del Defense Innovation Unit Experimental (DIUx) a Mountain View, nel cuore delle Big Tech. L’anno successivo nasce il Defense Innovation Board, con l’obiettivo, si legge sul sito ufficiale, di “fornire raccomandazioni indipendenti al Segretario della Difesa e ad altri alti dirigenti del DoD sulle tecnologie emergenti, e sugli approcci innovativi, che il DoD dovrebbe adottare per garantire il dominio tecnologico e militare degli Stati Uniti”. Il Board vede la luce con Eric Schmidt nel ruolo di presidente (all’epoca presidente esecutivo di Alphabet, la casa madre di Google), e la partecipazione di Facebook (con Marne Levine), LinkedIn (Reid Hoffman), Microsoft (Kurt Delbene) e altri (13). Nel 2018 viene istituito il Joint Artificial Intelligence Center (JAIC), un’altra unità del DoD, volto a “sfruttare il potenziale di trasformazione della tecnologia di intelligenza artificiale a beneficio della sicurezza nazionale americana” (14).
Big Tech riesce ancora a evitare la luce dei riflettori perché molti dei servizi e delle tecnologie che vende al comparto della Difesa – non solo statunitense – non vengono classificati come ‘armamenti’, e il relativo giro d’affari risulta per ora troppo piccolo per comparire nelle classifiche dei colossi dell’industria delle armi. Ma anche il Sipri inizia a focalizzarlo. Nella Top 100 sottolinea come “Microsoft fornirà all’esercito degli Stati Uniti dispositivi integrati per la ‘vista aumentata’, nell’ambito di un contratto di dieci anni assegnato nel 2021 del valore di 22 miliardi di dollari. Nel 2020 la CIA ha stipulato un contratto di cloud computing con un consorzio composto da Amazon, Google, IBM, Microsoft e Oracle: secondo quanto riferito, vale decine di miliardi di dollari per un periodo di quindici anni. Nel 2021 Amazon ha stretto anche un accordo per ospitare materiale classificato appartenente a tre agenzie di intelligence britanniche sulla sua piattaforma Amazon Web Services”.
Al momento l’area del cloud è quella più riconoscibile, con l’ex progetto Jedi (Joint Enterprise Defense Infrastructure) in prima fila: un sistema per archiviare, elaborare e collegare i dati di tutte le attività del DoD, del valore di 10 miliardi di dollari in dieci anni. Microsoft e Amazon si sono date battaglia per vincere l’appalto finendo in tribunale, con il Pentagono che ha rescisso il contratto (vinto da Microsoft) per togliere le castagne dal fuoco e ripartire con un altro progetto: Joint Warfighting Cloud Capability. Il nuovo appalto sarà assegnato a dicembre 2022 e questa volta coinvolgerà probabilmente una cordata – Google, Oracle, Microsoft e Amazon. Valore ancora maggiore: 9 miliardi in cinque anni.
I servizi cloud hanno implicazioni dirette nei conflitti del terzo offset: “Dovrebbero avere un impatto significativo sulle operazioni belliche delle forze armate e sulle loro operazioni sul campo di battaglia. In linea di principio, sistemi cloud come JEDI potrebbero consentire ai militari di accedere in tempo reale a dati, informazioni e strumenti analitici completi, anche in aree isolate e in zone di conflitto; una volta online, i soldati avrebbero accesso alle strutture del cloud che aiuterebbero a eliminare la ‘nebbia di guerra’, rendendo più facile l’utilizzo con successo dei sistemi d’arma avanzati” (15).
In una rapida panoramica, e uscendo dagli stretti confini statunitensi, intelligenza artificiale, riconoscimento facciale e big data sono la base anche della tecnologia dei droni autonomi, i killer robots o lethal autonomous weapons (armi autonome letali, LAW). Secondo autonomousweapons.org, che promuove una campagna di sensibilizzazione per la messa al bando, sono già una realtà: li producono Turchia, Israele, Cina, Stati Uniti, Russia, Francia e Gran Bretagna.
Algoritmi IA, in grado di processare e interpretare grandi volumi di dati, sono attualmente inseriti nella linea di comando dei droni semi-autonomi, accanto all’operatore umano che pilota da remoto e ‘preme il grilletto’, allo scopo dichiarato di rendere le decisioni più rapide, precise ed efficaci.
Mentre l’intelligenza artificiale gioca un ruolo fondamentale nel potenziamento del soldato, nell’addestramento e tramite lo sviluppo di protesi tecnologiche e/o esoscheletri (16).
Il conflitto in Ucraina ha poi portato alla luce altri ‘servizi’ venduti dalle aziende tecnologiche ai Paesi in guerra – e sta indubbiamente testando nuove potenzialità e modalità di cooperazione pubblico/privato. Si va dagli ormai noti satelliti Starlink di Elon Musk alla Maxar Technologies, che soddisfa più di duecento richieste quotidiane di copertura dell’Ucraina tramite quattro satelliti ad alta risoluzione, ottici e radar; da HawkEye 360, che per coprire meglio la zona ha lanciato sette satelliti – aggiungendoli ai suoi precedenti 15 già in orbita – ed effettua uno scanning elettromagnetico del territorio per geolocalizzare le emissioni sul terreno (per esempio, individuare le telefonate dei cellulari dei generali russi), fino alla Palantir di Peter Thiel (17) – società che collabora da tempo con DoD, CIA, NSA e FBI ed esperta in data-mining, sorveglianza e riconoscimento facciale – che sta ufficialmente lavorando per organizzare la distribuzione di beni di prima necessità ai rifugiati ucraini (cos’altro stia facendo, non è dato saperlo con certezza) (18).
C’è poi lo Spazio, con la corsa alla Luna, la sfera satellitare e le stazioni spaziali, ed è forse il caso di parlare di quarto offset – Cina e Russia, infatti, inseguono velocemente gli Stati Uniti in questa nuova frontiera. Al momento primeggia Elon Musk con la sua SpaceX – già titolare di appalti miliardari con la Nasa, è sua la navicella che ha portato sei astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale a maggio e novembre 2021 – tallonato dalla Blue Origin di Jeff Bezos, proprietario di Amazon. Il tema è vasto e per un approfondimento tecnico e geopolitico rimandiamo al numero di Limes di dicembre 2021, intitolato “Lo spazio serve a farci la guerra”.
Fai soldi in Ucraina
Ai primi di ottobre, nella metropolitana milanese compare una pubblicità: “Al momento, il più grosso rischio finanziario in Ucraina è non investire. #AdvantageUkraine” (Fotografie pag. 12 e 15). Il sito (advantageukraine.com) è stato registrato il 17 agosto e fa capo al governo ucraino. La campagna – obiettivo fissato: 400 miliardi di dollari – è stata lanciata il 6 settembre scorso dallo stesso Zelensky, comparso in video all’apertura di Wall Street. L’elenco dei settori economici nei quali il presidente dell’Ucraina chiama a entrare investitori e società – proponendo vantaggi fiscali, partnership pubblico-privato e privatizzazioni di aziende statali – vede al terzo posto quello degli armamenti, con 43 miliardi potenziali, dopo energia (177 miliardi) e logistica e infrastrutture (123 miliardi); seguono agro-industria, metallurgia, farmaceutica, manifattura, nuove tecnologie, industria estrattiva e del legno. In home page svetta quello che è ormai il brand dello spettacolo della guerra (19) – Zelensky tra pettorali e bicipiti in maglietta verde militare – e le sue parole virgolettate: “La più grossa opportunità in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale”.
Due sono le considerazioni.
La prima: ben oltre i settori direttamente coinvolti in un conflitto (armi e PMSC) e ben oltre anche il dual use tecnologico, guadagnare con la guerra diviene una possibilità per qualunque comparto economico. E per chiunque, vista la dinamica finanziaria soggiacente: ogni persona può investire nei fondi o nei titoli delle società coinvolte nell’operazione – e infatti la pubblicità illumina la metropolitana milanese, non le ristrette pareti di un consesso riservato a pochi.
La seconda: “opportunità” e “guerra” sono due parole il cui accostamento dovrebbe suonare irrazionale. Così come il richiamo al “rischio” declinato in senso finanziario, riferito a un Paese nel quale una guerra è in corso e il rischio concreto che corrono quotidianamente i suoi cittadini è quello di morire. Eppure queste parole accolgono i visitatori del sito e i pendolari milanesi.
“La riduzione d’ogni cosa a fatto commerciale” scrive Marcuse, “unisce sfere di vita un tempo antagonistiche […] annunci pubblicitari come Rifugio di lusso contro la caduta di residui radioattivi possono ancora evocare una reazione ingenua, per cui si avverte che […] nessuna logica e nessun linguaggio dovrebbero essere capaci di unire correttamente lusso e caduta di residui radioattivi. Tuttavia, la logica e il linguaggio diventano perfettamente razionali quando apprendiamo che […] ‘tappeti, scaletta e TV’ sono compresi nel prezzo se si sceglie il modello di rifugio da 1.000 dollari. La convalida non sta principalmente nel fatto che questo linguaggio promuove le vendite […] ma piuttosto nel fatto di promuovere l’immediata identificazione dell’interesse particolare con quello generale, del Mondo degli Affari con la Potenza Nazionale, della prosperità con il potenziale disponibile per l’annientamento”.
Affari e guerra, prosperità e guerra, divengono binomi razionali, normali, accettati. Nella società industriale/tecnologica avanzata l’ideologia è inserita nello stesso processo di produzione, scrive Marcuse: “L’apparato produttivo, i beni e i servizi che esso produce, ‘vendono’ o impongono il sistema sociale come un tutto”. “I prodotti indottrinano e manipolano”, e più sono resi disponibili a “un numero crescente di individui in un maggior numero di classi sociali, [più] l’indottrinamento di cui essi sono veicolo cessa di essere pubblicità: diventa un modo di vivere”. L’uomo a una dimensione vive così una “mimesi” con la società industriale avanzata, che reclama “l’individuo intero”: la dimensione della mente dove può nascere opposizione, un pensiero critico, è dissolta.
Dobbiamo assolutamente ricostruirla. La guerra non l’ha inventata il capitalismo. Ma a differenza delle precedenti, in quest’epoca ci riempiamo la bocca con i ‘diritti umani’. Strumentalmente, certo, ma qualche passo fuori dalle caverne lo abbiamo fatto. Abbiamo conquistato un Sapere – spesso a prezzo di distruzione e sangue – che disattendiamo ogni giorno. Se non lo utilizziamo per andare alla radice del problema – oggi, un capitalismo che prospera su un’economia di morte – finisce per essere niente più di una masturbazione mentale. “L’illuminismo deve prendere coscienza di sé” scrivevano Adorno e Horkheimer, “se non si vuole che gli uomini siano completamente traditi. Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze”.
1) Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, 1964, edizione Einaudi
2) Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, 1944, edizione Einaudi
3) https://silentprofessionals.org/jobs/extraction-protective-agents-ukraine/ sito consultato l’ultima volta il 4 ottobre 2022
4) Cfr. U.S Department of State, Bureau of Verification and Compliance, World Military Expenditures and Arms Transfers 1998 (WMEAT), aprile 2000, https://2009-2017.state.gov/documents/organization/110701.pdf
5) Cfr. U.S Department of State, Bureau of Verification and Compliance, World Military Expenditures and Arms Transfers 2021 (WMEAT), 30 dicembre 2021 https://www.state.gov/world-military-expenditures-and-arms-transfers-2021-edition/
6) Cfr. Vantage Market Reasearch, Private Military Security Services Market, maggio 2022 https://www.vantagemarketresearch.com/industry-report/private-military-security-services-market-1578
7) Cfr. Fabio Mini, An Analysis of Private Military and Security Companies, in Eurepean University Institute, luglio 2010
8) In particolare all’approfondimento di Giovanna Cracco, Contractor e diritti umani. Dalla guerra alla pace, la privatizzazione della violenza, in 20° Rapporto sui Diritti Globali, Associazione Società Informazione, in uscita a dicembre 2022
9) Antagonista USA del prossimo futuro, grazie alla logica dual use la Cina sta rapidamente raggiungendo gli Stati Uniti nell’ambito delle nuove tecnologie. Cfr. Giovanna Baer, China Tech Inc. dual use: civile e militare, Paginauno n. 64, ottobre 2019
10) Robert Work, vice segretario alla Difesa nel 2014, citato in Kate Crawford, Né intelligente né artificiale. Il lato oscuro della IA, Il Mulino
11) Margart O’Mara, professoressa all’Università di Washington e storica nel campo dell’industria tecnologica, intervistata da A. Glaser, Thousands of contracts highlight quiet ties between Big Tech and U.S. Military, NBC News, 8 luglio 2020, https://www.nbcnews.com/tech/tech-news/thousands-contracts-highlight-quiet-ties-between-big-tech-u-s-n1233171
12) Un’inchiesta di Tech Inquiry del luglio 2020 ha rivelato che Google, Amazon, Microsoft, Facebook, Apple, Dell, IBM, HP, Cisco, Palantir, Oracle, NVIDIA e Anduril hanno concluso migliaia di accordi con la Difesa, per milioni di dollari; eppure i loro nomi non compaiono nei dati rilasciati dal DoD, perché i contratti sono stipulati con altre società, che a loro volta subappaltano il progetto ai colossi della Silicon Valley. Jack Poulson, che firma l’inchiesta, è un ex ricercatore di Google che ha lasciato l’azienda nel 2018, in opposizione alle collaborazioni con l’ambito militare, e ha setacciato più di 30 milioni di contratti governativi firmati o modificati tra gennaio 2016 e giugno 2020. In sintesi – ma rimandiamo alla lettura integrale dell’inchiesta – Microsoft utilizza “una rete di subappaltatori di cui la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare, o almeno non penserebbe di includere in un elenco di fornitori di tecnologia militare, tra cui ben note aziende come Dell ma anche imprese molto meno conosciute come CDW Corporation, Insight Enterprises e Minburn Technology Group”; Amazon si muove “quasi interamente attraverso intermediari, come Four Points Technology , JHC Technology e ECS Federal (che era anche il primo appaltatore per Maven dei contratti di Google)”;”Google collabora con ECS Federal e con altre aziende meno note come The Daston Corporation, DLT Solutions, Eyak Technology e Dnutch Associates”. J. Poulson, Reports of a Silicon Valley/Military Divide Have Been Greatly Exaggerated, Tech Inquiry, luglio 2020. https://techinquiry.org/SiliconValley-Military/
13) Cfr. https://innovation.defense.gov/Members/ consultato tramite Wayback Machine (https://archive.org/web/) per risalire agli anni precedenti – attualmente la pagina indica solo Michael Bloomberg come presidente
14) Sito ufficiale del Chief Digital and Artificial Intelligence Office (CDAO) del Dipartimento della Difesa USA, che da febbraio 2022 integra e coordina le unità del DoD incentrate sulla IA, https://www.ai.mil/about.html
15) DoD, I funzionari del Dipartimento della Difesa sottolineano il ruolo dell’infrastruttura cloud nel supporto ai combattenti, 14 marzo 2018, citato in New Technology and the Changing Military Industrial Complex, J Paul Dunne e Elisabeth Sköns, Prims Working Paper Series, numero 2-2021
16) Su questi ultimi tre aspetti, per approfondire il tema: Giovanna Cracco, Le guerre del futuro. Intelligenza artificiale, big data e industria bellica, in 19° Rapporto sui Diritti Globali, Associazione Società Informazione, novembre 2021
17) Creatore di Paypal, tra i primi investitori di Facebook – è uscito dal consiglio di amministrazione a febbraio di quest’anno – Peter Thiel ha fondato Palantir nel 2003; nell’agosto 2019 ha dichiarato al New York Times che l’intelligenza artificiale è prima di tutto una tecnologia militare, cfr. https://www.nytimes.com/2019/08/01/opinion/peter-thiel-google.html
18) Per maggiori dettagli: Marcello Spagnulo, L’invisibile battaglia spaziale nella guerra d’Ucraina, Limes n. 7/2022, “La guerra grande”, luglio 2022
19) Cfr. Giovanna Cracco, Lo spettacolo della guerra, Paginauno n. 77, aprile 2022