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Home Economia Economia

La prosperità della guerra

Giovanna Cracco by Giovanna Cracco
26 Ottobre 2022
in Economia, Guerra Ucraina, Nuove Tecnologie
0
La prosperità della guerra

Milano, metropolitana, ottobre 2022. Photo by Beatrice Fossati

  • (Paginauno n. 79, ottobre – novembre 2022)

Un sistema economico che mette a valore la morte: ben oltre l’industria delle armi, le società di contractor e il dual use di Big Tech e dell’intelligenza artificiale che noi stessi addestriamo, ora siamo tutti chiamati a far soldi in Ucraina

“La minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo? Gli sforzi per prevenire una simile catastrofe pongono in ombra la ricerca delle sue cause potenziali nella società industriale contemporanea. Queste cause […] si trovano spinte in secondo piano dinanzi alla troppo ovvia minaccia dall’esterno – l’Ovest minacciato dall’Est, l’Est minacciato dall’Ovest. Egualmente ovvio è il bisogno di essere preparati, di vivere sull’orlo della guerra, di far fronte alla sfida. Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione […]. Se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo.” (1)

Fino a qualche mese fa, alcuni passaggi de L’uomo a una dimensione di Marcuse apparivano datati: scritto negli Stati Uniti della Guerra Fredda, vi si respira l’oppressione costituita da una minaccia costante, quello “Stato belligerante” che l’intellettuale francofortese affianca allo “Stato del benessere”. Ripresi ora, quegli stessi passaggi riacquistano contemporaneità: non siamo più nello Stato del benessere dei ‘trenta gloriosi’ – è subentrato il neoliberismo – ma siamo ripiombati nello Stato belligerante.

Quel che qui preme riprendere del testo di Marcuse, tra le numerose chiavi di lettura che non hanno mai perso di attualità, è l’aspetto irrazionale della società industriale/tecnologica avanzata. Una società che progredisce più “perpetua il pericolo”, scrive Marcuse; il cui sistema mass mediatico dell’industria culturale divulga una narrazione che trasforma interessi particolari – affari, benessere, produzione e consumo di massa – in “bene comune, […] come fossero [i valori] di tutti gli uomini ragionevoli”. Ragionevoli inteso come logos, ratio, Ragione, Razionale, nel quadro dell’affermazione hegeliana: “Il razionale è reale, il reale è razionale”. Affermazione che Marcuse, rivendicando la dialettica negativa di Adorno, contesta: il reale è irrazionale. Quel “è” rappresenta dunque una tensione, una trasformazione che solo il pensiero critico, negativo, può attuare; rappresenta un “dover essere”. Perché vi è nulla di razionale – se poniamo al centro dell’agire l’emancipazione umana – in una società che ha fatto dell’assassinio di esseri umani una fonte di profitto e di prosperità economica.

Non si tratta solo dell’industria degli armamenti, e indubbiamente la guerra è sempre stata fonte di profitti. Ma il capitalismo la connota a sua immagine.

Da una parte, la trasforma in uno dei meccanismi che, davanti a una crisi, permette l’avvio di un nuovo ciclo di accumulazione, distruggendo per ricostruire, aprendo nuovi mercati ed eliminando concorrenza: l’intera economia dunque, e non solo i settori legati strettamente alla spesa militare, trae così vantaggio dalla guerra. È quel che sta accadendo in Ucraina, come vedremo.

Dall’altra, con lo sviluppo tecnologico, la fase capitalistica che già si era contraddistinta per la messa a valore dell’intero spazio sociale, fa un passo ulteriore, e la sussunzione finisce per inscriversi totalmente in una ‘economia di guerra’: ogni volta che utilizziamo un assistente vocale, che ci rivolgiamo ad Alexa chiedendo un brano musicale, che carichiamo una foto su un social, stiamo addestrando un algoritmo di intelligenza artificiale, e quest’ultima, come vedremo, è la base dell’attuale tecnologia militare. Adorno e Horkheimer – scrivendo a conflitto mondiale in corso – già avevano evidenziato l’“aspetto distruttivo del progresso”, quella dialettica dell’illuminismo in sé auto-distruttiva: in un primo momento scienza e tecnica, figlie del pensiero razionale, liberano l’uomo dalla soggezione alle potenze oscure della natura; in un secondo momento portano alla moderna società industriale, che domina non solo la natura ma l’uomo stesso. “Nato da istanze di emancipazione dell’uomo, [l’illuminismo] finisce per trasformarlo in un oggetto calcolabile e funzionale e quindi totalmente regolato e amministrato dalla società capitalistica.” (2) Alienato, reificato, dominato, colonizzato nel suo immaginario, l’uomo diviene a una dimensione, incapace di riconoscere l’irrazionale e, di conseguenza, capace di accettare come normale lo sviluppo di un’economia di morte.

Armi

Il Rapporto Sipri 2022 fotografa una spesa militare globale arrivata a 2.113 miliardi di dollari nel 2021, pari al 2,2% del Pil mondiale (Grafico 1, pag. 8). Sono 60 i principali Stati esportatori di armi, ma la maggior parte rappresenta quote minori: i primi 25 Paesi coprono infatti il 99% del volume totale delle vendite e i cinque maggiori – Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania – si accaparrano il 78% del commercio (Tabella 2, pag. 9)…

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Tags: capitalismocapitalismo digitaleguerraindustria armiindustria culturaleStati Uniti
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