International Labour Organization (ILO)*
Nel rapporto dell’ILO la fotografia della schiavitù moderna: tocca 28 milioni di persone e tutti i Paesi
La schiavitù moderna, come definita ai fini delle stime globali, comprende due componenti principali: il lavoro forzato e il matrimonio forzato. Entrambi si riferiscono a situazioni di sfruttamento che una persona non può rifiutare o non può abbandonare a causa di minacce, violenze, coercizione, inganno o abuso di potere.
Il flagello della schiavitù moderna non è stato affatto relegato alla storia. Le stime globali del 2021 indicano che ogni giorno ci sono 50 milioni di persone in questa condizione, costrette a lavorare contro la propria volontà o costrette in un matrimonio forzato. Ciò si traduce in 6,4 persone ogni mille, nel mondo: più di 12 milioni sono bambini, donne e ragazze costituiscono oltre la metà (54%); i numeri maggiori sono nella regione dell’Asia e del Pacifico, negli Stati arabi si registra l’incidenza più alta. Ma nessuna regione, ricca o povera, viene risparmiata.
La situazione sembra peggiorare, in parte trainata dalle onde d’urto sociali ed economiche emanate dalla pandemia mondiale di Covid-19 tuttora in corso. Un semplice confronto con le precedenti stime globali indica un aumento di 9,3 milioni di persone in schiavitù moderna nel periodo compreso tra il 2016 e il 2021: entrambe le categorie – lavoro forzato e matrimonio forzato – hanno contribuito all’incremento complessivo.
Lavoro forzato
Lavoro forzato, come stabilito nella Convenzione ILO sul lavoro forzato, 1930 (n. 29), si riferisce a “ogni lavoro o servizio che è preteso da qualsiasi persona sotto minaccia di qualsiasi pena e per il quale detta persona non si è offerto volontariamente”. Il lavoro forzato non dipende dal tipo o dal settore, ma solo dal fatto che il lavoro è stato imposto a una persona contro la sua volontà, attraverso l’uso della coercizione. Per essere considerato lavoro forzato ci devono essere entrambi; la mancanza di consenso libero e informato e coercizione al lavoro.
Panoramica e tendenze
Secondo le stime globali del 2021, ci sono 27,6 milioni di individui in situazioni di lavoro forzato ogni giorno, 3,5 persone su mille. Donne e ragazze costituiscono 11,8 milioni, più di 3,3 milioni sono bambini.
Il lavoro forzato è cresciuto negli ultimi anni. Tra il 2016 e il 2021 si è registrato un aumento di 2,7 milioni di persone, che si traduce in un aumento dell’incidenza del lavoro forzato dal 3,4 al 3,5 per mille. Si segnala che parte della raccolta dei dati per le stime 2021 è avvenuta prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, e pertanto i risultati riflettono solo in parte gli effetti della pandemia. Le stime quindi probabilmente sottostimano la portata dell’aumento.
Il lavoro forzato interessa tutte le regioni. La ripartizione dettagliata chiarisce che nessuna parte del mondo è risparmiata. L’Asia e il Pacifico ospitano di gran lunga il maggior numero di persone in lavoro forzato, 15,1 milioni: corrisponde a più della metà del totale globale e a più di tre volte quello della regione con il numero più alto, Europa e Asia centrale. Ma questi numeri sono guidati dalla dimensione della popolazione, quindi le classifiche regionali cambiano considerevolmente quando il lavoro forzato è espresso come proporzione della popolazione. Con questa misura, il dato più alto è negli Stati arabi, con il 5,3 per mille, rispetto al 4,4 per mille in Europa e in Asia centrale, al 3,5 per mille nelle Americhe e nelle regioni dell’Asia e del Pacifico, e al 2,9 per mille in Africa.
La maggior parte del lavoro forzato si verifica nell’economia privata. Le stime globali del 2021 tracciano una distinzione tra lavoro forzato imposto da agenti privati e lavoro forzato imposto dallo Stato. Inoltre, all’interno del primo, distinguono tra lavoro forzato in settori diversi dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali – di seguito denominato “sfruttamento del lavoro forzato” – e lavoro forzato nello sfruttamento sessuale a fini commerciali. L’86% è imposto da agenti privati: il 63% nello sfruttamento del lavoro forzato e il 23% nello sfruttamento sessuale forzato. Il lavoro forzato imposto dallo Stato rappresenta il restante 14%.
L’aumento complessivo tra il 2016 e il 2021 è stato il risultato del settore privato. Il dato dello sfruttamento del lavoro forzato è aumentato di 1,3 milioni, e quello dello sfruttamento sessuale forzato ha avuto un incremento ancora maggiore: 1,5 milioni.
Il lavoro forzato è una preoccupazione nei Paesi di tutti i livelli di reddito, compresi i più ricchi. La suddivisione per gruppo di reddito nazionale chiarisce che è un problema tanto nei Paesi ricchi quanto in quelli poveri. In effetti, più della metà di tutto il lavoro forzato avviene in Paesi a reddito medio-alto o alto. I risultati che mostrano una presenza significativa del lavoro forzato nei Paesi a reddito più elevato sono supportati da una serie di altri rapporti, che ne documentano la presenza in settori tra cui agricoltura, lavori domestici, costruzione, pesca e l’industria dello sfruttamento sessuale a fini commerciali, con molti casi che coinvolgono migranti in situazioni di vulnerabilità. Inoltre, i Paesi più ricchi possono essere collegati al lavoro forzato attraverso catene di approvvigionamento globali, anche se il lavoro forzato effettivo si verifica altrove. I rapporti suggeriscono che può verificarsi in particolare nella produzione di materie prime e nei livelli inferiori delle catene di approvvigionamento di beni di consumo destinati ai mercati globali del Nord del mondo.
Sfruttamento del lavoro forzato
Questa sottosezione riporta i risultati delle stime globali del 2021 sul lavoro forzato imposto privatamente in settori diversi dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali. Le stime indicano 17,3 milioni di persone ogni giorno, di cui 1,3 milioni sono bambini. Tra gli adulti, coloro che sono rimasti intrappolati vi sono rimasti per un lungo periodo di tempo: in media 15,4 mesi.
Settori economici
Il lavoro forzato tocca praticamente tutte le aree dell’economia privata. Le stime globali hanno identificato un numero significativo di adulti vittime di sfruttamento del lavoro forzato in un’ampia gamma di settori economici. Tra i casi relativi agli adulti di cui si conosceva il tipo di lavoro, i cinque settori che rappresentano la maggior parte del lavoro forzato totale (87%) sono servizi (escluso il lavoro domestico), manifattura, edilizia, agricoltura (esclusa la pesca) e lavoro domestico.
Servizi (escluso il lavoro domestico). Rappresenta la quota maggiore – quasi un terzo del totale e 5,5 milioni di persone in termini assoluti. Questa cifra esclude il lavoro domestico, che è considerato separatamente. Il settore dei servizi comprende un’ampia gamma di attività economiche, tra cui commercio, trasporti, ospitalità e servizi sociali e di altro tipo non di mercato.
Manifattura. Il settore manifatturiero rappresenta quasi un quinto di tutto lo sfruttamento del lavoro forzato degli adulti, circa 3 milioni di persone. La produzione implica la trasformazione di materie prime provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura, dalla pesca e dall’attività mineraria o estrattiva, nonché la trasformazione di altri prodotti manifatturieri in nuovi prodotti. La maggior parte dei casi si verifica nei livelli inferiori di produzione delle catene di approvvigionamento nazionali o globali.
Edilizia. Rappresenta il 16%, 2,6 milioni di persone. Molti casi riguardano lavoratori migranti, le cui situazioni di lavoro forzato derivano da tasse di assunzione estorsive e altre pratiche fraudolente di assunzione tramite intermediari senza scrupoli.
Agricoltura. Coinvolge 2,1 milioni di persone, il 13%. I casi di lavoro forzato agricolo variano ampiamente. Molti riguardano prodotti che costituiscono gli anelli inferiori delle filiere agroalimentari, o altre forme di agricoltura commerciale come la raccolta di frutta e verdura destinata alla vendita nei mercati nazionali o di esportazione. Particolarmente a rischio sono i lavoratori migranti stagionali, assunti tramite intermediari del lavoro informale. Altri casi coinvolgono persone nate in una vita di schiavitù, nella pastorizia di animali o nel lavoro nei campi, a causa della loro classe sociale o di debiti ereditati.
Lavori domestici. Più di 1,4 milioni di adulti vittime di sfruttamento del lavoro forzato, l’8% del totale, svolgono un lavoro domestico. I lavoratori domestici, la maggior parte dei quali sono donne, sono particolarmente vulnerabili a causa del loro isolamento, dei profondi squilibri di potere con i datori di lavoro e del limitato accesso ai meccanismi di denuncia e alle opportunità di organizzazione. In molti contesti non sono coperti dalle leggi sul lavoro e sulla sicurezza sociale, e questo aumenta la vulnerabilità. Anche le disposizioni restrittive in materia di visti, che spesso legano i lavoratori domestici migranti a un datore di lavoro, possono incrementare la suscettibilità agli abusi, così come lo status di immigrato irregolare, inclusa la mancanza di un visto.
Altri settori. Costituiscono quote minori, ma rappresentano comunque centinaia di migliaia di adulti. Ci sono quasi un quarto di milione di lavoratori costretti a scavare minerali o svolgere altri lavori minerari e di estrazione, e 128.000 pescatori intrappolati a bordo di pescherecci, spesso in acque profonde: un luogo di lavoro caratterizzato da isolamento estremo, pericolosità e lacune nel controllo normativo. Ci sono poi 208.000 adulti costretti a mendicare per strada e 32.000 costretti ad attività illecite.
Donne e uomini differiscono sia per la portata, che per la natura, del loro coinvolgimento nello sfruttamento del lavoro forzato. Complessivamente, il numero di uomini (11,3 milioni) è quasi doppio rispetto a quello delle donne (6 milioni), e differiscono per i settori in cui si trovano. Il lavoro domestico rappresenta il 17% dello sfruttamento del lavoro forzato delle donne, ma solo il 4% di quello degli uomini. Allo stesso tempo, i lavori edili rappresentano il 22% per gli uomini e il 6% per le donne. Gli uomini hanno anche molte più probabilità di essere nelle miniere e nelle cave, sebbene questo settore rappresenti una quota relativamente piccola del lavoro forzato totale per entrambi i sessi. Gli altri settori rappresentano quote più o meno simili.
La composizione dello sfruttamento del lavoro forzato differisce in diversi modi da quella della forza lavoro complessiva. In primo luogo, la quota di migranti è molto più alta. Ci sono anche relativamente più uomini rispetto alla forza lavoro generale. Vi sono ulteriori differenze in termini di suddivisione tra i settori: le persone che lavorano nel lavoro forzato hanno maggiori probabilità di essere nel manifatturiero e nel settore edile, meno probabilità che si trovino nei servizi e nell’agricoltura. Il settore minerario ed estrattivo vede la stessa quota.
Lavoro forzato e migrazione
I lavoratori migranti che non sono protetti dalla legge, o non sono in grado di esercitare i propri diritti, corrono un rischio maggiore di lavoro forzato rispetto agli altri lavoratori. Le stime globali del 2021 indicano che il 15% di tutti gli adulti vittime di sfruttamento del lavoro forzato sono migranti (ossia sono soggetti a lavori forzati in un Paese diverso da quello di nascita). In confronto, nel 2019 i lavoratori migranti internazionali rappresentavano circa il 5% della forza lavoro globale totale: i migranti sono quindi rappresentati in modo sproporzionato nel gruppo dei lavoratori forzati.
L’incidenza dello sfruttamento del lavoro forzato (espresso come quota sul totale dei lavoratori) chiarisce inoltre che è più probabile che i lavoratori migranti, rispetto ai non migranti, siano coinvolti nel lavoro forzato: quasi 14 su mille nell’economia privata, un tasso più di tre volte superiore a quello dei lavoratori non migranti (4,1 su mille).
Sebbene le stime globali del 2021 non mirassero a valutare la prevalenza della tratta per lavoro forzato, è probabile che per molti migranti sottoposti a lavoro forzato vi sia stato un coinvolgimento criminale dei trafficanti nelle prime fasi del loro viaggio, come al momento del reclutamento e dell’agevolazione del viaggio – con l’intento di sfruttarli una volta giunti a destinazione. […] Quando la necessità di spostarsi è sufficientemente acuta o i canali di migrazione regolare sono limitati, individui o famiglie possono ricorrere a rotte migratorie e mezzi di viaggio pericolosi, compresi i valichi di frontiera irregolari. Molti cadono nelle mani di contrabbandieri che mettono in atto pratiche abusive, o di intermediari di reclutamento senza scrupoli che pretendono da loro compensi di assunzione e relativi costi, esacerbando il ciclo del debito e il rischio di abusi. Una volta giunti a destinazione, i migranti possono rimanere vulnerabili al lavoro forzato e alla tratta di esseri umani a causa di barriere linguistiche e culturali, mancanza di informazioni affidabili e reti di supporto, sfide di integrazione economica e sociale, mancanza di accesso ai servizi di base e alla sicurezza sociale, o restrizioni sulla loro capacità di cambiare datore di lavoro o organizzarsi e contrattare collettivamente.
Inoltre, i lavoratori migranti sono spesso impiegati in settori come il lavoro domestico o l’agricoltura, che potrebbero non essere coperti dal codice del lavoro e dove potrebbero esserci altre restrizioni, per esempio al diritto di organizzarsi. Elevati livelli di informalità in tali settori limitano ulteriormente l’accesso alle tutele sul posto di lavoro o ai meccanismi di reclamo. Datori di lavoro, proprietari e fornitori di servizi senza scrupoli possono trarre vantaggio dalla limitata conoscenza delle condizioni locali e dal ridotto potere contrattuale.
Involontarietà e coercizione
Il lavoro forzato comporta situazioni lavorative caratterizzate da due condizioni chiave, tra loro interconnesse. La prima è la mancanza di un consenso libero e informato (cioè l’involontarietà) nell’accettare il lavoro o nell’accettare le condizioni di lavoro; la seconda è l’applicazione di una qualche forma di coercizione, come una sanzione o una minaccia di sanzione, per impedire a un individuo di abbandonare una situazione, o per costringere in altro modo il lavoro. L’assenza di consenso libero e informato e la presenza di coercizione possono verificarsi in qualsiasi fase del processo: al momento dell’assunzione, per costringere una persona ad accettare un lavoro contro la propria volontà, durante l’occupazione, per costringere un lavoratore a lavorare e/o vivere in condizioni che non concorda, o per costringere una persona a rimanere nel posto di lavoro quando desidera lasciarlo.
Condizioni che portano all’assenza di un consenso libero e informato
Le stime globali 2021 indicano che l’assenza di consenso libero e informato può derivare da una serie di fattori sovrapposti. È più comunemente legato al fatto che i lavoratori si trovano ad affrontare circostanze di lavoro diverse e inferiori a quelle concordate all’inizio del rapporto di lavoro. Nel 51% dei casi di adulti, i lavoratori lavorano involontariamente a causa di orari o straordinari superiori a quelli concordati, e nel 43% perché devono svolgere mansioni lavorative diverse da quelle specificate in fase di assunzione; nel 30% lavorano involontariamente perché la natura del loro lavoro è diversa da quella stabilita e nel 25% perché lavorano per qualcuno diverso dal datore di lavoro concordato.
Altri fattori comuni che danno origine all’assenza di consenso libero e informato riguardano le condizioni di lavoro e le condizioni di vita associate al lavoro. Il 47% lavora involontariamente a causa di salari molto bassi o nulli, il 27% a causa di condizioni di lavoro pericolose e il 23% per le condizioni di vita degradanti sul luogo di lavoro, imposte dal datore di lavoro, dal reclutatore o da altre terze parti.
Il lavoro involontario deriva anche dalle restrizioni alla possibilità di cambiare datore di lavoro (28%) e a causa di debiti verso datori di lavoro, reclutatori o parti correlate (19%). In una quota minore di casi, la mancanza di consenso libero e informato deriva dal dover lavorare a fianco di un familiare che è in lavoro forzato (14%), o perché il lavoro è una condizione per la terra e l’abitazione (10%). Quest’ultimo riguarda in particolare i contratti di mezzadria che richiedono, per esempio, alla moglie e/o ai figli di svolgere lavori domestici affinché la famiglia abbia terra e alloggio. Infine, nell’1% dei casi, l’assenza di consenso libero e informato è legata a situazioni di schiavitù tradizionale.
Tipi di coercizione
La coercizione è ciò che costringe i lavoratori a lavorare senza il consenso libero e informato. Le stime globali indicano che può assumere molte forme. La trattenuta sistematica e deliberata dei salari è la più comune, utilizzata dai datori di lavoro abusivi per costringere i lavoratori a rimanere in un posto di lavoro per paura di perdere i guadagni maturati. Più di un terzo (36%) degli adulti è soggetto a questa forma di coercizione.
L’abuso di vulnerabilità colpisce circa un adulto su cinque. Questa forma di coercizione coinvolge i datori di lavoro che sfruttano la vulnerabilità dei lavoratori – per esempio, la loro mancanza di opportunità di sostentamento alternative – per costringerli, minacciati dal licenziamento, a svolgere un lavoro che altrimenti rifiuterebbero, o per costringerli a lavorare un numero eccessivo di ore per assicurarsi un salario minimo.
Una percentuale simile di adulti al lavoro forzato, circa un quinto, è costretta sotto minacce dirette. In occasioni più rare, le minacce si estendono anche ai familiari. Circa uno su dieci è costretto a rimanere dall’irrogazione di una sanzione pecuniaria nel caso lasci il posto di lavoro prima di una data di partenza concordata o imposta.
Altre forme di coercizione colpiscono un numero minore, ma non trascurabile, di adulti vittime di sfruttamento del lavoro forzato. Circa il 5% è costretto attraverso la manipolazione del debito – per esempio obbligando le persone a svolgere un lavoro che altrimenti rifiuterebbero sotto minaccia di aumentare il debito che hanno nei confronti del datore di lavoro. Una quota simile è costretta attraverso l’uso dell’isolamento – per esempio, venendo tenuta in un luogo remoto o isolata dai contatti con le famiglie o dalle fonti di assistenza, con la confisca dei telefoni cellulari e l’interruzione di altri mezzi di comunicazione.
I lavoratori migranti che si trovano in situazioni irregolari, reclutati ingiustamente o in contesti di scarsa governance della migrazione, possono subire la coercizione sotto forma di confisca dei loro documenti di identità, che impedisce loro di lasciare un lavoro per paura di perderli. I migranti in situazione irregolare sono anche costretti dalla minaccia di essere denunciati alle autorità o di essere espulsi. Altri adulti so-no soggetti a forme più estreme di coercizione, tra cui violenza sessuale e fisica, reclusione forzata e privazione di cibo, bevande o sonno.
Queste forme di coercizione non si escludono a vicenda. In effetti, la maggior parte di coloro che sono nel lavoro forzato sono soggetti a più forme contemporaneamente.
Le stime globali indicano alcune differenze nei tipi di coercizione affrontati da donne e uomini. Considerando le quattro forme più comuni di coercizione, è più probabile che le donne siano costrette a subire il mancato pagamento del salario e l’abuso di vulnerabilità attraverso la minaccia di licenziamento, e gli uomini le minacce di violenza e le sanzioni pecuniarie. Tra le altre forme di coercizione, le donne hanno maggiori probabilità di subire violenze fisiche e sessuali e minacce contro i familiari, e gli uomini la confisca dei documenti di identità e la minaccia di espulsione e reclusione forzata.
Servitù per debiti
La schiavitù per debiti si verifica quando le persone sono costrette a lavorare contro la loro volontà per ripagare un debito con un datore di lavoro o un reclutatore; oppure quando il debito viene manipolato per costringerle a svolgere compiti di lavoro o ad accettare condizioni di lavoro che altrimenti rifiuterebbero. Tali debiti possono durare anni o addirittura generazioni. Possono essere manipolati in modi che rendono impossibile saldarli.
I fattori che portano alla schiavitù per debiti sono diversi. Shock improvvisi, come la perdita del lavoro, possono obbligare i lavoratori senza risparmi, o senza accesso a mercati del credito formali, a rivolgersi a prestatori predatori, che offrono prestiti a condizioni equivalenti alla schiavitù del debito. Altri, già indebitati, possono essere costretti a offrire il proprio lavoro o quello di un familiare per onorare i propri debiti, quando non sono in grado di farlo con altri mezzi. Altri ancora cadono in schiavitù per debiti a causa di commissioni esorbitanti, salari trattenuti e altre pratiche coercitive di reclutatori o datori di lavoro predatori. I migranti, in particolare, sono suscettibili di dover assumere ingenti debiti per pagare costi esorbitanti relativi al reclutamento e alla migrazione, per assicurarsi lavoro nei Paesi di destinazione. Le forme tradizionali più rare ma persistenti di schiavitù per debiti includono persone nate in schiavitù, attraverso debiti presumibilmente accumulati dai loro antenati.
Un quinto delle persone vittime di sfruttamento del lavoro forzato si trova in situazioni di schiavitù per debiti. Sebbene le stime globali indichino il verificarsi dei casi in tutti i settori, la sua importanza relativa varia considerevolmente: è più importante nel settore minerario, agricolo e delle costruzioni, dove rappresenta rispettivamente il 43%, il 31% e il 27% sul totale di lavoro forzato; nei servizi e nel lavoro domestico è circa un caso su cinque e il 14% nel settore manifatturiero. Altri studi lo indicano in settori specifici tra cui la produzione di mattoni, il tabacco, la pesca, il disboscamento illegale e l’estrazione del legname, la tessitura di tappeti e la produzione di tessuti e indumenti. Le comunità emarginate, le minoranze etniche e religiose e le popolazioni indigene sono tra i gruppi particolarmente a rischio.
Lavoro forzato dei bambini
Le stime del 2021 indicano che un totale di 3,3 milioni di bambini si trovano in situazioni di lavoro forzato ogni giorno, pari a circa il 12% di tutti coloro che sono sottoposti a lavoro forzato. E a causa dei vincoli dei dati, questi numeri, già allarmanti, potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. […] Un totale di 1,7 milioni di bambini sono vittime di sfruttamento sessuale a fini commerciali, costituendo oltre la metà di tutti i bambini nei lavori forzati. Altri 1,3 milioni, pari al 39%, sono vittime di sfruttamento del lavoro forzato. I restanti 0,32 milioni, il 10%, sono soggetti al lavoro forzato imposto dallo Stato.
Lavoro forzato imposto dallo Stato
Nelle stime globali, il lavoro forzato imposto dallo Stato viene utilizzato per descrivere varie forme di lavoro forzato imposte dalle autorità statali, da agenti che agiscono per conto delle autorità statali e da organizzazioni con autorità simili allo Stato. È vietato dalla Convenzione ILO n. 29 e 105, fatte salve alcune eccezioni, e ha una serie di caratteristiche generali: 1) c’è una mobilitazione del lavoro che utilizza apparati statali tra cui l’esercito, la polizia, la magistratura e il sistema carcerario; 2) questi apparati statali agiscono in conformità con il diritto nazionale che è in contrasto con le Convenzioni ILO, o rimangono incontrastati nell’imporre il lavoro forzato in violazione del diritto nazionale e internazionale; 3) non c’è modo di uscirne perché il lavoro forzato è imposto dallo Stato stesso.
Si stima che nel 2021 circa 3,9 milioni di persone si trovassero in lavori forzati imposti dallo Stato. Più di tre su quattro (78%) sono maschi, l’8% sono bambini. Alla base di queste cifre aggregate, vi sono una serie di diverse categorie. Oltre la metà (56%) riguarda una qualche forma di abuso del lavoro carcerario obbligatorio: 1) quello imposto per interessi privati, svolto sia da detenuti in istituti a gestione privata che da detenuti di carceri pubbliche; 2) il lavoro forzato imposto alle persone in custodia cautelare o amministrativa; 3) i casi connessi all’imposizione del lavoro a persone incarcerate per reati politici non violenti, per disciplina del lavoro, per partecipazione non violenta a scioperi, o come mezzo di discriminazione. L’abuso di coscrizione nei servizi militari rappresenta il 27%. Il restante 17% riguarda l’obbligo di lavorare al fine di promuovere lo sviluppo economico nazionale – le persone costrette a lavorare in eccesso rispetto ai normali obblighi civici – o coloro obbligati a svolgere servizi comunali che eccedono la natura e la portata di queste attività, come consentito dalle norme ILO. I riscontri del regolare sistema di supervisione degli organi di controllo dell’ILO, dimostrano chiaramente che il lavoro forzato imposto dallo Stato persiste in tutte le regioni del mondo. […]
Abuso del lavoro carcerario obbligatorio
Il lavoro coatto in carcere può essere imposto solo ai detenuti che soddisfano determinate condizioni: devono essere condannati per un reato in un tribunale dopo un giusto processo, ma non per un reato politico non violento, per violazione della disciplina del lavoro, per la partecipazione non violenta agli scioperi, o come mezzo di discriminazione razziale, sociale, nazionale o religiosa. Inoltre, il lavoro stesso deve essere supervisionato da enti pubblici e non deve essere riservata a privati, aziende o associazioni, a meno che non siano soddisfatte alcune condizioni aggiuntive. […]
Lavoro obbligatorio per le persone in detenzione amministrativa
Il lavoro obbligatorio non può in nessun caso essere imposto alle persone in detenzione amministrativa. Una violazione comune è l’imposizione del lavoro coatto a coloro che sono detenuti dalle forze dell’ordine, ma non sono destinati a essere processati, perché hanno commesso “reati minori” – quelli non sufficientemente gravi per essere perseguiti penalmente ma qualificati per la “rieducazione”.
Altri casi riguardano l’imposizione del lavoro obbligatorio ai detenuti nei centri istituiti per tossicodipendenti, mendicanti, prostitute, vagabondi, bambini di strada e altri gruppi emarginati, sempre apparentemente per scopi rieducativi o riabilitativi. In Bielorussia, per esempio, le persone che soffrono di alcolismo cronico, tossicodipendenza o abuso di sostanze possono essere inviate ai centri di lavoro medico, dove hanno l’obbligo di lavorare. Altri esempi includono il Mozambico, dove persone identificate come “improduttive” o “antisociali” possono essere arrestate e inviate a centri di rieducazione, o assegnate a settori produttivi; e la Repubblica Democratica del Congo, dove le persone possono essere arrestate e giudicate da un tribunale per vagabondaggio o accattonaggio, e costrette a lavorare. Nella Repubblica Popolare Democratica di Corea, l’OHCHR riferisce di persone sottoposte a lavori forzati nei “campi di addestramento” di lavoro (rodongdanryondae) mediante un procedimento amministrativo senza processo.
Lavoro obbligatorio per le persone in custodia cautelare
L’imposizione del lavoro alle persone in custodia cautelare prima della loro condanna si verifica in un certo numero di Paesi (per esempio, Repubblica Democratica Popolare di Corea). Molti Stati non specificano per legge se il lavoro obbligatorio può essere imposto durante il periodo pre-processuale, lasciando un’area d’ombra legale che consente alle amministrazioni carcerarie di sottoporre al lavoro i detenuti in attesa di processo. Altri Paesi prevedono esplicitamente per legge che il lavoro obbligatorio può essere imposto anche prima che un giudice indipendente abbia confermato la detenzione (per esempio Repubblica Democratica del Congo). Gli effetti di queste carenze legali si aggravano in contesti in cui sistemi giudiziari sovraccarichi provocano periodi prolungati di custodia cautelare.
In alcuni Paesi, le leggi sulla detenzione preventiva vengono utilizzate per imprigionare a tempo indeterminato attivisti e dissidenti politici, mescolarli alla popolazione carceraria e sottoporli a lavori forzati come prigionieri. I casi esaminati dal CEACR includono Cambogia, dove il lavoro carcerario obbligatorio può essere imposto a rappresentanti di ONG, membri sindacali e difensori dei diritti umani che sono tenuti in custodia cautelare per lunghi periodi di tempo; Azerbaigian, dove il lavoro carcerario obbligatorio può essere imposto a giornalisti, attivisti dei social media e attivisti politici dell’opposizione che esprimono dissenso o critiche; e Repubblica Bolivariana del Venezuela, dove esiste una continua criminalizzazione dei movimenti sociali e l’imposizione del lavoro carcerario obbligatorio a oppositori politici e dissidenti.
*Estratto (tradotto, traduzione a cura di Paginauno) dal Rapporto Global Estimates of Modern Slavery. Forced Labour and Forced Marriage, ILO, Walk Free e IOM, 12 settembre 2022, pubblicato sotto diritti Creative Commons Attribution 4.0 International License. “Questa traduzione non è stata creata dall’ILO, Walk Free o IOM e non deve essere considerata una traduzione ufficiale dell’ILO, Walk Free o IOM. ILO, Walk Free e IOM non sono responsabili del contenuto o dell’accuratezza di questa traduzione. Questo è un adattamento di un’opera originale dell’ILO, Walk Free e IOM. La responsabilità per i punti di vista e le opinioni espresse nell’adattamento spetta esclusivamente all’autore o agli autori dell’adattamento e non sono approvati da ILO, Walk Free o IOM.”