- (Paginauno n. 87, luglio – settembre 2024)
- (pubblicato online il 9 luglio 2024)
Da una parte 600 milioni di fatturato e oltre 100 milioni di utile e dall’altra cooperative che sommano debiti tributari e contributivi e lavoratrici che fanno continuamente i conti con bassi salari, mancanze retributive e accordi tombali
“EuroItalia condivide con Brunello Cucinelli l’attenzione all’eccellenza, alla qualità, al dettaglio, all’innovazione, alla creatività”. Giovanni Sgariboldi è il proprietario di EuroItalia srl, colosso italiano della cosmetica specializzato nell’ideazione, produzione e distribuzione di profumi per brand di lusso, sia in licenza che di proprietà. A marzo 2023 è al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, a presentare le nuove fragranze del ‘re del cashmere’: “La conoscenza del mercato e dell’alta tecnologia utilizzata nel nostro settore specifico,” continua, “ci hanno permesso di trasferire la moda e il design di Brunello Cucinelli in queste creazioni olfattive di lusso” (1).
EuroItalia conta circa settanta dipendenti, ma il grosso della manodopera che rende possibile la commercializzazione di queste creazioni olfattive di lusso sta altrove. La produzione e le fasi di riempimento e confezionamento dei suoi profumi sono affidate da oltre vent’anni a Cosmeta srl, azienda chimica conto terzi di San Giuliano Milanese con una trentina di dipendenti a carico, che a sua volta esternalizza tramite appalto il servizio di riempimento e confezionamento a quattro cooperative, che sommano circa 150 lavoratrici assunte con contratto multiservizi-pulizia. Da queste parti, del lusso, non c’è neanche il sentore: contratto collettivo non corrispondente al comparto produttivo, salario al ribasso, ore di lavoro e malattia non pagate, rischi per la sicurezza. Non solo. Come vedremo, l’esternalizzazione è il modus operandi di Cosmeta fin dalla nascita, con cooperative che aprono e chiudono sommerse da debiti tributari e contributivi, trasferendo forzatamente le lavoratrici da una società all’altra previa la sottoscrizione di ‘accordi’ tombali per la rinuncia a eventuali crediti insoddisfatti; un’instabilità costante che Giancarlo De Bernardi, consigliere delegato di Cosmeta da noi contattato, dichiara di ignorare. Un sistema che garantisce alla committente Cosmeta un costo al ribasso per la manodopera, a cui non può dirsi estraneo il signor Sgariboldi: non solo perché, grazie a questo sistema, Cosmeta può vendere il proprio servizio a EuroItalia a prezzi inferiori, ma anche perché dal 2018 Sgariboldi stesso è socio di maggioranza di Cosmeta. Di fatto, dunque, appaltando alle cooperative, Sgariboldi acquista da se stesso a tariffe competitive.
Brunello Cucinelli, Versace, Michael Kors, Moschino, Missoni, Dsquared2. Qui nascono le fragranze delle griffe che arricchiscono il portafoglio licenze dell’azienda brianzola, a cui si aggiungono i brand di proprietà I Coloniali, Atkinsons e Reporter (2). Andiamo alla scoperta della loro essenza. Benvenuti in EuroItalia.
Aroma di ricchezza
Giovanni Sgariboldi fonda EuroItalia nel 1978. L’azienda cosmetica – che ha la sede principale a Cavenago di Brianza, oltre a una secondaria nel Regno Unito – nel corso degli oltre quarant’anni di storia ha conquistato una posizione di spicco sul mercato internazionale del settore, con un export che oggi raggiunge 140 Paesi e il 97% del fatturato. La distribuzione dei profumi avviene, per l’estero, anche tramite le controllate EuroItalia Suisse – registrata nel 2018 – ed EuroItalia USA – nata nel 2020 –, oltre a EuroItalia Trading Shanghai, costituita nel 2023 per la vendita sulle piattaforme on-line cinesi.
In continua espansione, l’impresa brianzola ha concluso il 2022 – come si evince dall’ultimo bilancio depositato al momento della stesura dell’articolo – con un fatturato di 557 milioni di euro, in crescita del 30% rispetto all’anno precedente, e 106 milioni di utile netto. Stiamo parlando di un vero e proprio colosso, con margini di profitto costanti che di anno in anno vengono portati a capitale, fino a registrare un patrimonio netto di 590 milioni; un’azienda che non ha problemi di liquidità, che ha chiuso il 2022 con quasi 497 milioni depositati in banca – e non si tratta di un’eccezione, visto che a fine 2021 sui conti bancari vi erano 494 milioni. Un’impresa estremamente solida, quindi, e particolarmente redditizia per il socio unico Sgariboldi, che nel 2022 si è staccato un dividendo da 50 milioni di euro.
Un tale margine operativo è certamente dovuto al settore in cui opera EuroItalia, agli elevati prezzi di vendita che il mercato dei brand di lusso è in grado di registrare, ma anche, inevitabilmente, alla ricerca del contenimento dei costi di produzione tipica di ogni azienda. Un obiettivo raggiunto anche grazie alla ventennale sinergia con Cosmeta e al sistema di appalto a cooperative di cui quest’ultima si avvale, e di cui vedremo i dettagli. Sinergia che è diventata ancora più stretta a partire da novembre 2017, quando la società inglese Margo & Hibert limited – che dal 2002 controllava il 75% di Cosmeta – passa nelle mani di Sgariboldi, il quale a settembre 2018 ne rileva personalmente le quote diventando proprietario del 75% di Cosmeta.
E l’impronta di Sgariboldi si vede. Come EuroItalia, anche Cosmeta è un’impresa particolarmente solida e redditizia, costantemente in attivo, anche se l’ultimo bilancio presenta un’importante flessione del profitto: negli anni 2021, 2022 e 2023 ha registrato utili – portati, anche qui, a capitale – rispettivamente di 755 mila, 705 mila e 120 mila euro, su un fatturato che ha oscillato tra i 9 e i 10 milioni, registrando a fine 2023 un patrimonio netto di quasi 3,5 milioni.
Lavorando conto terzi, a fronte di un ricavo determinato quasi interamente dal contratto con EuroItalia – che costituisce, per il 2023, il 99% del fatturato – un’azienda come Cosmeta ha un’attenzione costante all’abbassamento dei costi per potersi garantire un margine di profitto. Ma se quello di impianti e macchinari è difficilmente riducibile, rimane una via vecchia come il capitalismo per ovviare al problema: intervenire sul costo dei lavoratori. Un consorzio di cooperative può essere la soluzione.
Cosmeta & coop
Cosmeta nasce nel 1994 per mano di Lorenzo Pio Cecchin e Giancarlo De Bernardi. Fin dagli esordi concentra la propria attività su produzione, riempimento e confezionamento di profumi conto terzi per Euroitalia: la fase di produzione è sempre stata, ed è tuttora, gestita internamente, riempimento e confezionamento sono state esternalizzate. Risalire nel dettaglio di due decenni di esternalizzazione non è semplice, alcuni dati si perdono nel tempo e si fatica a recuperarli. Ma un po’ di informazioni siamo riusciti a metterle in fila e ciò che le lega è, come anticipato, lo schema coop-debiti-liquidazione-nuova coop, oltre a una rete di nomi che si tengono fra loro. Sul lato cooperative ne abbiamo ben nove, di cui quattro attualmente in attività: Linea Due (anni 1996-1998), Conter (2004-oggi), 3B Service (2008-2011), Trebi Service (2011-2013), C & G (2013-2018), Production Line (2018-2020), Rexi (2019-oggi), Perfumes Service (2019-oggi) e Lander (2019-oggi). Mentre i nominativi ricorrenti – la maggior parte collegati da parentela – sono Gaetanino Sozzi, Paolo Lascari e la figlia Caterina, le sorelle Margherita e Teresa Rubino – quest’ultima ex moglie di Paolo Lascari e madre di Caterina Lascari – e infine Mauro Cecchin, figlio di Lorenzo Pio socio di Cosmeta. Proviamo ad andare con ordine, tenendo sott’occhio la mappa.
Nei primi tempi Cosmeta gestisce la fase di riempimento con una decina di addette alle sue dirette dipendenze, mentre si appoggia a una coop – Linea Due, di Luigia Mariani – per il reparto confezionamento e come supporto al riempimento. Creata nel 1996, Linea Due viene messa in liquidazione a fine 1998.
Tra il 1999 e il 2004 non siamo riusciti a trovare dati. Nel 2004 compare la cooperativa Conter, con presidente del Consiglio di Amministrazione (CdA) Gaetanino Sozzi, già consigliere in Linea Due e braccio destro della signora Mariani, che come la precedente coop si occupa della fase di confezionamento, iniziando una lunga collaborazione in corso ancora oggi. Al di fuori delle poche dipendenti dirette, assunte con contratto collettivo chimico-farmaceutico, le lavoratrici delle coop, pur svolgendo la medesima mansione, sono assunte dalle cooperative con il multiservizi-pulizia, peggiorativo a livello economico.
Nel 2008 arriva in stabilimento 3B Service, con amministratore unico Paolo Lascari e Margherita Rubino nel Consiglio di Amministrazione: mentre il confezionamento rimane appannaggio di Conter e il riempimento resta sotto Cosmeta, 3B Service assume il ruolo di ‘jolly’ e le sue lavoratrici vengono distribuite tra i due reparti, a seconda della necessità. Dopo soli tre anni viene sostituita da una nuova cooperativa – Trebi Service, un curioso caso di assonanza – e nel 2013 viene messa in liquidazione.
Trebi Service nasce dunque nel 2011, con amministratrice unica la stessa Margherita Rubino, e assorbe le lavoratrici di 3B Service: tempo due anni e per ragioni di bilancio – vedremo i dettagli dei debiti tributari e contributivi accumulati nel periodo di attività – anche questa cooperativa lascia il posto a quella seguente.
A novembre 2013 il ruolo ‘jolly’ passa infatti a C & G, con amministratrice unica Teresa Rubino, sorella di Margherita, che eredita da Trebi anche le lavoratrici. Passano meno di cinque anni e nel 2018 anche C & G viene chiusa e messa in liquidazione volontaria – con liquidatrice Margherita – e sostituita da Production Line, che vede tra i membri del CdA Teresa Rubino e la figlia Caterina Lascari.
Come abbiamo visto, il 2018 non è però soltanto l’anno in cui decine di lavoratrici si trovano a dover fare i conti con l’ennesimo licenziamento e passaggio in una nuova coop. È una data rilevante anche per Cosmeta, che cementa ulteriormente il rapporto con EuroItalia: in meno di un anno, tra novembre 2017 e settembre 2018, Sgariboldi diventa proprietario prima della controllante Margo & Hibert e poi direttamente del 75% di Cosmeta – con il restante 25% suddiviso tra i due soci fondatori. Appena qualche mese dopo l’ingresso di Sgariboldi nella società anglosassone, lo schema di appalto alle cooperative assume una configurazione più strutturata. A gennaio 2018 viene creata Project scarl, società consortile che diventa la titolare del contratto d’appalto con Cosmeta e la coordinatrice dell’attività in subappalto delle coop, che rimangono le fornitrici di manodopera. Al momento della sua costituzione, le quote di Project – che ha Paolo Lascari e Gaetanino Sozzi nel CdA – vengono suddivise tra Conter e Production Line.
Ma la scarl non è l’unica novità. Viene alleggerito anche il numero di dipendenti di Cosmeta: con presidente Mauro Cecchin – figlio del socio di Sgariboldi in Cosmeta, Lorenzo Pio – a febbraio 2019 viene creata la cooperativa Lander, nella quale sono fatte confluire le dodici addette al riempimento. Le lavoratrici vengono licenziate da Cosmeta e spinte a sottoscrivere un accordo tombale di conciliazione, con rinuncia a qualsivoglia pretesa riguardo agli anni passati, come condizione per essere assunte dalla nuova cooperativa di Cecchin – ci risulta comunque che Cosmeta abbia regolarmente pagato ogni spettanza pregressa, TFR compreso. Prese dal panico e minacciate di essere lasciate senza lavoro, quasi tutte firmano. “Hanno dato loro 300 euro lordi di buonuscita”, racconta Luca Esestime, sindacalista Si Cobas a cui si è rivolto un gruppo di otto lavoratrici delle quattro coop, “ma poi ne hanno dovuti versare 100 come quota associativa, perché tecnicamente sono socie.” Una mossa che permette alla società di Sgariboldi di abbassare ulteriormente il costo della manodopera, con anche le nuove dipendenti di Lander che dal CCNL chimico-farmaceutico si ritrovano con il multiservizi-pulizia: “Se prima arrivavano anche a 1.600 euro al mese”, continua Esestime, “ora ne prendono circa 1.200.” Si aggiunge anche la deresponsabilizzazione nella gestione del personale: versamento dei contributi, pagamento della malattia, rischio di infortuni sul lavoro, permessi, ferie, maternità, licenziamenti diventano infatti onere delle cooperative.
Da noi contattata nella persona del consigliere delegato Giancarlo De Bernardi, Cosmeta sostiene che la scelta di esternalizzare anche la decina di lavoratrici addette al riempimento è dipesa da diversi fattori, tra i quali è pesata soprattutto la questione economica: “La fase di riempimento non era più il nostro mestiere, e la cessione dell’attività è avvenuta in seguito a un’assemblea con il sindacato (ai tempi CGIL, n.d.r.) ed è stata approvata. Le lavoratrici che erano sotto Cosmeta le abbiamo tenute finché ce l’abbiamo fatta, ma non riuscivamo a sostenere quei costi. Per di più le altre lavoratrici assunte dalle cooperative, che lavoravano nello stesso reparto, cominciavano a chiedere che anche a loro venisse applicato il contratto del chimico, ma non potevamo reggere quel costo”. Nonostante i numeri positivi riportati a bilancio anno dopo anno, De Bernardi dichiara che la decisione è stata dettata dalla logica implacabile del mercato: “Le aziende del settore, concorrenti di Cosmeta, utilizzano tutte cooperative che hanno il multiservizi; se applico il chimico, poi devo ritrovarmi io con un’azienda che chiude in perdita? Se Cosmeta, a fatica, si è permessa di essere un’azienda solida, è perché ha usato questa politica, ma di certo non a scapito dei lavoratori”.
Ad aprile dello stesso anno Lander va ad aggiungersi a Conter e Production Line come controllante di Project scarl, la cui compagine societaria muta ulteriormente due anni più tardi.
Infatti, come le precedenti coop ‘jolly’, anche Production Line accumula debiti tali per cui nel 2020 viene messa in liquidazione, affidata ancora a Margherita Rubino nel ruolo di liquidatrice. Per prendere il suo posto a fine 2019 vengono costituite altre due coop, che nel 2021, appunto, la sostituiscono anche in Project scarl: Rexi, con Paolo Lascari presidente CdA e Margherita Rubino consigliera, e Perfumes Service, dove Teresa Rubino è presidente e Caterina Lascari compare nel Consiglio di Amministrazione. Anche in questo caso le lavoratrici vengono forzate a firmare un tombale, pena la perdita del posto di lavoro: “Secondo noi è stata una forma di estorsione”, ricorda Esestime, “e tra l’altro andava contro l’unica cosa buona del multiservizi-pulizia, che prevede una clausola sociale secondo la quale con un cambio di appalto tutte le lavoratrici devono passare alle stesse condizioni normative nella nuova società, senza alcun tombale”.
Conter di Sozzi per il confezionamento, Lander di Cecchin al riempimento, Rexi e Perfumes Service dell’accoppiata Rubino-Lascari nel ruolo di ‘jolly’: questa l’attuale distribuzione delle coop in appalto presso Cosmeta, che a oggi conta giusto una trentina di dipendenti tra uffici amministrativi, controllo qualità, reparto macerazione/produzione e meccanici macchinari, contro le circa 150 lavoratrici delle quattro cooperative.
Odore di sfruttamento
Come abbiamo detto, l’ingresso di Sgariboldi in Cosmeta ha temporalmente coinciso con la costituzione di Project scarl, la consortile che si pone come ‘intermediario’ tra Cosmeta e le coop e diventa l’unica titolare del contratto di appalto. Una mossa che permette quindi di staccare Cosmeta dalle cooperative, responsabili nel corso degli anni di una gestione fiscale che le espone al rischio – concretizzatosi, vedremo, per due società – di ispezioni ministeriali e alla dichiarazione dello stato di insolvenza; al contrario, la consortile non accumula debiti e consente così a Cosmeta di mantenere ‘pulito’ l’appalto.
La gestione fiscale delle cooperative non è però l’unico aspetto a presentare delle problematiche. Prima di ripercorrerla attraverso i bilanci, partiamo dalla situazione attuale in stabilimento.
È di inizio marzo 2024 l’apertura di uno stato di agitazione e di sciopero da parte delle lavoratrici delle coop iscritte Si Cobas. Rivendicano, prima di tutto, l’assunzione con il contratto chimico-farmaceutico corrispondente al comparto produttivo, in sostituzione dell’attuale multiservizi-pulizia. Denunciano inoltre mancanze retributive e la violazione delle norme sulla sicurezza. Uno dei problemi principali, si evince dalla rivendicazione sindacale, è il mancato pagamento della malattia, istituto che per legge deve essere corrisposto al 100% dal datore di lavoro per la carenza dei primi tre giorni, con una corresponsione a carico INPS e un’integrazione dell’azienda per i giorni seguenti. Al momento della sindacalizzazione delle lavoratrici, le cooperative non pagavano né la carenza né l’integrazione. “Circa un anno fa abbiamo cominciato a contestare queste mancanze, facendo anche alcune cause”, spiega Esestime, “e quindi hanno iniziato a pagarle.” Ma la sorpresa è dietro l’angolo. “Pagavano sì la malattia, però poi in busta paga sottraevano circa 300 euro con la voce ‘trattenuta a paga netta’.” A richiesta di delucidazioni, le cooperative rispondono alle lavoratrici che la trattenuta si riferisce alla lordizzazione INPS, cioè la cifra al netto pagata dall’INPS rapportata al lordo in busta paga. “Ma la lordizzazione INPS per 3 o 4 giorni di malattia è nell’ordine dei 20 euro”, prosegue Esestime, “non può essere 300 euro. Inserire questa trattenuta significa non pagare la malattia”. Questione che rimane tutt’oggi irrisolta, nonostante le denunce e le segnalazioni all’Ispettorato del lavoro avanzate da Si Cobas.
Da noi interpellato sulla questione, poiché Cosmeta è responsabile in solido del contratto di appalto stipulato con il consorzio di cooperative, De Bernardi torna a quei giorni: “L’anno scorso viene da me Lascari (Paolo, presidente del CdA della consortile Project e della cooperativa Rexi, n.d.r.) a dirmi che hanno problemi con il sindacato a causa di un divisore della busta paga e della carenza della malattia. «Perché venite da me?» gli ho detto, «se dovete fare qualcosa per risolvere, fatelo». Mi risponde che non hanno i soldi… «Ma com’è possibile?» ho chiesto, «Fatemi vedere i conti, un bilancio, fatemi capire: stiamo parlando di dieci, di cento, di mille, di un milione? Di cosa stiamo parlando?».” Oggi De Bernardi sostiene che la questione è stata definitivamente risolta e si dice “assolutamente certo” che la malattia venga pagata, ma di avere comunque intenzione di accertarsi che le informazioni in suo possesso corrispondano alla realtà. Aggiungendo: “Le posso assicurare che tutto ciò che è dovuto a tutte le lavoratrici che lavorano in questo sito verrà corrisposto, su questo ci sto attento io”.
Non è l’unica problematica, tuttavia, in tema di mancate retribuzioni. “Ogni tanto sbagliano il conteggio delle ore in busta paga, anche degli straordinari”, continua Si Cobas, “e quando chiediamo spiegazioni viene detto che è stato un errore del commercialista e che le pagheranno il mese successivo, ma non è mai sicuro. Ed è un problema che si ripresenta spesso.”
Ad avere un risvolto negativo sulla retribuzione è anche la singolare gestione delle dipendenti, che vengono ‘chiamate’ in stabilimento in rapporto alla quantità di lavoro da smaltire: “Se in un determinato mese ci sono meno commesse, le lasciano a casa qualche giorno”, racconta Esestime, “e quindi pur avendo un contratto full time, per alcuni mesi vengono pagate part time. Alle nostre iscritte è sempre stato detto di presentarsi comunque, anche perché se c’è poco lavoro ci si può accordare su una banca ore o si possono concordare le ferie, ma non esiste che le lascino a casa a piacimento”. Una gestione, sottolinea, usata anche come arma punitiva contro le lavoratrici: “Se prendono un permesso, per esempio, può succedere che si sentano rispondere: «Oggi non vieni? Allora domani stai a casa»“. Negli anni passati, giorni di malattia e lavoro a chiamata portavano anche a un pagamento parziale della quattordicesima, questione risolta in seguito all’intervento sindacale: “Inizialmente la pagavano solo sulle ore lavorate, quindi se lavoravano meno del totale delle ore mensili previste dal contratto full time, appunto per via di giorni di malattia o perché gli veniva detto di stare a casa”, ricorda, “la rata mensile era inferiore al dovuto”.
Altrettanto rilevante è la carenza di dispositivi di sicurezza e il correlato rischio di infortuni. Quando ricevono dal reparto macerazione le cisterne con le soluzioni di profumo, le lavoratrici procedono a scaricare i bancali con le boccette di vetro vuote mettendole sulla linea: disposte ai due lati di un nastro, dopo che la macchina le riempie, procedono a chiuderle. Qui cominciano i problemi: “Nel reparto riempimento, su sette macchine circa la metà non ha il dispositivo per chiudere le boccette, quindi devono farlo a mano”, dice Esestime, “devono dare letteralmente un pugno sui tappi, e infatti molte di loro hanno la mano rovinata”. E questo è niente. “In certe postazioni”, prosegue, “devono stare dentro la macchina per mettere lo spruzzino sulle boccette, e può capitare che per via della pressione queste scoppino, con pezzi di vetro che vanno ovunque. A una lavoratrice è andato un pezzo nell’occhio e altre hanno rischiato la stessa fine. Non hanno occhiali protettivi, solo se li chiedono allora li danno, ma comunque non ne avrebbero a sufficienza per tutti”.
Una volta chiuse, controllano le boccette per verificare la presenza di eventuali impurità e procedono a riempire i vassoi per ricaricare il bancale, che poi passa al reparto confezionamento. “È la parte più faticosa, spesso i vassoi sono talmente pesanti che rischiano un infortunio alla schiena. Secondo i formatori esterni sulla sicurezza però è tutto in regola, come è stato per anni riguardo al fatto che non avessero le scarpe antinfortunistiche” che, spiega, sono state fornite a tutte le lavoratrici solo a inizio 2024, in seguito a un infortunio che è costato un dito rotto a una lavoratrice. Non l’unico caso, negli ultimi anni, in stabilimento, dove sembra che anche un’altra collega abbia rimediato una profonda ferita al dito di una mano. Ciononostante, in virtù dell’esternalizzazione alle cooperative, Cosmeta può dichiarare – come riporta nei bilanci 2022 e 2023 – che “nel corso dell’esercizio non si sono verificati infortuni gravi sul lavoro” (2022) o addirittura che “non si sono verificati infortuni sul lavoro” (2023). E De Bernardi afferma: “Abbiamo sempre avuto presente la sicurezza in azienda, che ci siano mancanze lo escludo; poi se scappa qualcosa dipende dalla gravità, ma non mi sembra sia successo qualcosa di così importante da rilevare un problema di sicurezza”.
Salario basso, mancanze retributive, gestione unilaterale del personale, rischi per la salute. Sono problemi che si trascinano da anni, tanto che lo stato di agitazione aperto a marzo non è il primo da quando le lavoratrici si sono sindacalizzate. “Verso aprile-maggio dell’anno scorso proviamo di nuovo a fare una trattativa con una serie di incontri con i rappresentanti delle coop, ma non raggiungiamo l’accordo. Iniziamo quindi a organizzare degli scioperi: le lavoratrici iscritte andavano a lavorare per un’ora, per esempio, e poi uscivano.” Tutto come da prassi sindacale, si direbbe. La mossa azzardata, ancora una volta, è delle coop: “Nonostante avessimo comunicato lo sciopero e le motivazioni, le lavoratrici hanno preso una lettera di richiamo disciplinare per abbandono del posto di lavoro”, afferma Esestime, precisando che la risposta del sindacato è stata il ribadire un’ovvietà: non si tratta di abbandono del posto di lavoro, ma dell’esercizio del diritto di sciopero. “Fatto sta che danno a ciascuna lavoratrice tre ore di multa: noi eravamo consapevoli di aver ragione, quindi abbiamo impugnato le sanzioni all’Ispettorato del lavoro.” Una situazione grottesca che si ripete in due occasioni distinte: “La prima volta l’Ispettorato ci ha dato ragione, alle lavoratrici è stata annullata la sanzione e per ognuna di loro le coop hanno dovuto pagare 300 euro di multa”, mentre la seconda volta “l’Ispettorato non ci ha convocati, però è anche vero che alle lavoratrici poi non è stata applicata alcuna sanzione”.
Non è tutto. Nella lettera inviata all’Ispettorato e alla procura di Milano il sindacato denuncia anche l’irregolarità del contratto di appalto: non soltanto le lavoratrici sono assunte da quattro coop distinte mentre “lavorano spalla a spalla, negli stessi reparti e la mansione è uguale”, come chiarisce Esestime, ma l’appalto stesso sarebbe fittizio, trattandosi in realtà di un’intermediazione illecita di manodopera: per questa ragione e come previsto dalla legge per questa eventualità (3), spiega, le lavoratrici chiedono di poter essere assunte direttamente dalla committente Cosmeta. A nostra richiesta di commento, De Bernardi rifiuta categoricamente l’accusa di appalto illecito e dichiara che, nel caso si apra un’indagine, ha piena fiducia nel lavoro della magistratura.
Cisterne di manodopera?
La somministrazione di manodopera è regolata dal Decreto legislativo 81 del 2015, che prevede la possibilità, per un’agenzia di somministrazione autorizzata, di mettere “a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti”, i quali, per tutta la durata del contratto, “svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”. Le agenzie di somministrazione sono quelle che comunemente chiamiamo agenzie interinali: Adecco, Manpower, Randstad, Orienta, Umana tra le altre. Nel caso di interposizione illecita, la somministrazione di lavoratori viene mascherata da un fittizio contratto di appalto affidato a società, spesso cooperative, che in realtà fungono unicamente da serbatoi di manodopera, pur non essendo agenzie autorizzate per legge alla mera fornitura di forza lavoro.
Come definito dal Codice Civile (4), l’appalto è invece un contratto attraverso il quale “una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio” a fronte di un corrispettivo in denaro. Secondo quanto delineato anche dall’articolo 29 del Decreto legislativo 276 del 2003, si distingue perciò dalla somministrazione di manodopera proprio per il fatto che la società appaltatrice non solo reperisce la forza lavoro, ma si fa carico dell’organizzazione dei mezzi necessari alla prestazione – che può anche risultare esclusivamente dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati – e si assume il rischio d’impresa. Le questioni su cui porre l’attenzione sono quindi l’organizzazione e direzione dei lavoratori, la proprietà dei mezzi utilizzati e la presenza o meno del rischio d’impresa.
Nel nostro caso, per come ci è stato raccontato, la fase produttiva in stabilimento ha inizio nel reparto macerazione, dove i dipendenti di Cosmeta preparano le cisterne di profumo per la lavorazione, e dirigono l’attività dei magazzinieri assunti dalle cooperative che trasportano le cisterne al reparto riempimento. Qui, fisse in reparto per l’intero turno, due dipendenti di Cosmeta adibite al controllo qualità verificano la presenza di eventuali perdite o impurità su alcuni campioni di boccette, a cui viene applicato un sigillo. Per le lavoratrici di Lander, Rexi e Perfumes Service vige l’ordine di non parlare con il controllo qualità, ma di riportare eventuali problematiche tecniche al responsabile Mauro Cecchin e a una collega adibita al ruolo di referente, entrambi lavoratori delle coop. Identica procedura al reparto confezionamento, con le lavoratrici che riportano a una referente di Conter, che a sua volta si interfaccia con il controllo qualità di Cosmeta. A capo di tutta la struttura organizzativa e ad assicurarsi che il lavoro proceda senza intoppi, infine, c’è sempre una dipendente di Cosmeta, che fa anche da tramite diretto con i rappresentanti di EuroItalia.
Si direbbe, quindi, che la gestione organizzativa del personale sia in mano alle cooperative – distribuzione in reparto, presenze, permessi, ferie ecc. – mentre l’esercizio del potere direttivo riguardi sia le coop che Cosmeta: se infatti i referenti delle prime dirigono le lavoratrici delle coop, è pur vero che tali referenti, essi stessi lavoratori delle cooperative, si relazionano quotidianamente con dipendenti di Cosmeta per la corretta operabilità dei due reparti.
Per quanto riguarda i mezzi necessari alla prestazione di servizio prevista dall’appalto tra Cosmeta e la scarl, vale a dire i macchinari utilizzati in stabilimento, c’è un evidente disequilibrio in termini di investimenti tra committente e cooperative. Stando ai bilanci del 2022, gli ultimi disponibili, le immobilizzazioni materiali in carico alle coop – tra cui rientrano anche i macchinari di produzione – riportano cifre irrisorie: nel caso della consortile Project e di Lander il totale è addirittura a zero; per Rexi tocca i 4 mila euro, quasi interamente per auto aziendali; Perfumes Service arriva a circa 57 mila euro, in gran parte automobili e arredi; mentre Conter registra 12 mila euro senza dettagliare le voci. Cosmeta, da parte sua, riporta invece nel bilancio 2022 immobilizzazioni per 1,4 milioni – di cui 410 mila per impianti e macchinari e 798 mila per attrezzature industriali e commerciali – con un valore patrimoniale netto, a seguito di ammortamenti, di 243 mila euro: segno che sono macchinari che hanno già qualche anno. Nel 2023 ha inoltre effettuato ulteriori investimenti per 500 mila euro, e ha dettagliato la sottoscrizione di 20 contratti di leasing tra il 2020 e il 2023, relativi a macchinari e attrezzature per un ammontare totale di valore pari a 1,2 milioni.
In proposito, De Bernardi ci riferisce che Cosmeta mette a disposizione delle coop i propri macchinari in “comodato d’uso”, vale a dire a titolo gratuito. Due sentenze della Cassazione Civile del 2019 (5) e 2020 (6) specificano che i mezzi di produzione possono essere forniti dalla committente, anche in comodato d’uso, a condizione che la società appaltatrice – per noi le coop – apporti “capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni e in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto”. Sempre stando agli ultimi bilanci depositati, le immobilizzazioni immateriali delle cooperative segnalano costi estremamente contenuti: Project scarl non ne registra, Lander appena 476 euro, Conter 14 mila non dettagliati, Rexi 1.700 euro interamente per spese di costituzione, e Perfumes Service circa 5 mila per spese di costituzione e lavori di ristrutturazione.
Al valore a bilancio delle immobilizzazioni si collega anche la valutazione della presenza o assenza del rischio di impresa, che potrebbe non sussistere se l’organizzazione della prestazione oggetto di appalto è tale per cui le cooperative non sostengono costi al di fuori della manodopera, non hanno immobilizzazioni immateriali preminenti per l’economia dell’appalto e gli investimenti in macchinari e attrezzature rimangono a carico della committente Cosmeta. Nel nostro caso, le quattro cooperative riportano a bilancio una spesa per il personale vicino o oltre il 90% dei costi totali: segno che non sostengono praticamente alcun costo oltre quello dei dipendenti. Tuttavia la citata sentenza della Cassazione Civile del 2019 specifica che il rischio d’impresa è comunque rilevabile quando il compenso per le società appaltatrici non è “sempre e comunque dovuto in virtù della fornitura di personale per l’espletamento del servizio”, ma è “condizionato alla ottimale esecuzione del contratto rimessa alla verifica e controllo della committente”, ponendo perciò l’accento sull’accertamento della qualità del servizio esternalizzato come condizione necessaria e sufficiente per la liceità dell’appalto. Chiaramente, chi scrive non è in possesso di dettagli tali per poter stabilire se il controllo qualità di Cosmeta, quotidianamente operativo alle fasi di riempimento e confezionamento, possa corrispondere a questa condizione.
Infine, lo stesso decreto legislativo 276/2003 (7) precisa che al personale impiegato in un contratto di appalto o subappalto deve essere corrisposto un “trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato” nel settore di riferimento dell’attività oggetto di appalto: nel caso di Cosmeta, l’applicazione del multiservizi-pulizia per società che operano nel settore chimico appare una violazione di questo requisito.
Non è ovviamente possibile in questa sede giungere a conclusioni in merito alla liceità o meno dell’appalto tra Cosmeta e il consorzio Project, eventualmente materia per le autorità preposte. È tuttavia interessante notare come l’interposizione illecita di manodopera sia stata oggetto, negli ultimi anni, di diverse inchieste anche da parte della procura di Milano: tra le più rilevanti i casi Esselunga, DHL, UPS e Bartolini. Per questi colossi della grande distribuzione e della logistica la procura ha ricostruito (8) un sistema di appalti fittizi con società cooperative, definite “serbatoi di manodopera”, attraverso il quale le aziende si sono garantite in modo irregolare “tariffe altamente competitive” e che ha comportato un sistematico sfruttamento dei lavoratori: le committenti si avvalevano di un rapporto di lavoro nei fatti subordinato ma senza oneri di gestione del personale, esercitando al contempo il potere direttivo e organizzativo e con un costo del lavoro ridotto per via dell’applicazione di un CCNL peggiorativo, ma non soltanto. Le indagini, infatti, hanno rilevato anche danni all’erario in ragione di una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo di fatture “per operazioni giuridicamente inesistenti” (9), con connessa indebita detrazione dell’IVA da parte delle società appaltanti. Un impianto accusatorio che ha portato al sequestro preventivo, tra 2021 e 2023, di quasi 48 milioni di euro per Esselunga, 20 milioni di euro per DHL, 86 milioni per UPS e 68 per Bartolini.
Una spruzzatina di debiti
La gestione dell’IVA da parte di un’azienda si muove tra IVA a credito e IVA a debito: la società paga IVA sulle fatture di acquisto e incassa IVA da quelle di vendita. La prima si configura come IVA a credito, la seconda come IVA a debito. Mensilmente o trimestralmente – a seconda del regime IVA adottato dall’impresa – viene calcolato il saldo tra le due IVA: nel caso l’IVA a debito sia maggiore, il saldo deve essere versato allo Stato; nel caso inverso, e se il credito eccede la possibilità di essere utilizzato a compensazione di IRPEF dipendenti, contributi previdenziali o altre imposte dovute – per esempio IRES e IRAP –, può essere richiesto il rimborso all’erario.
Nei casi esaminati dalla procura di Milano, di norma lo schema prevede la stipula di un contratto di appalto tra la committente e una società consortile, che a sua volta subappalta la prestazione a un gruppo di cooperative sue consorziate. Le coop fatturano il servizio alla consortile, incassando quindi IVA a debito; non avendo altri costi eccetto quello della manodopera, difficilmente registrano IVA a credito; dovrebbero dunque versare allo Stato tutta o quasi l’IVA a debito incassata dalla consortile. Dal canto suo, la consortile fattura a sua volta la prestazione alla committente, quindi fiscalmente ‘neutralizza’ l’IVA pagata alle coop con quella che riceve: nel suo caso, la differenza tra IVA a debito e a credito è grossomodo prossima allo zero. Infine la committente porta in detrazione, come IVA a credito, l’imposta della fattura ricevuta, e pagata, alla consortile.
Il meccanismo fraudolento di indebita detrazione dell’IVA ricostruito dalle inchieste giudiziarie parte dall’assunto che le fatture emesse dalla società appaltatrice (la consortile), e ricevute dalla committente, riguardino operazioni inesistenti, poiché il contratto di appalto di servizi cela nei fatti un’interposizione illecita di manodopera. Essendo inesistente la prestazione dichiarata, risultano nulle anche le relative fatture e, quindi, indetraibile l’IVA a credito registrata dalla committente, beneficiaria finale della frode. Un meccanismo che si ripercuote sui conti delle cooperative: per garantire alla committente un costo di appalto estremamente competitivo le coop fatturano sottocosto, e anziché versarlo all’erario, utilizzano l’importo dell’IVA a debito per pagare gli stipendi netti ai dipendenti; va da sé che spesso non versano nemmeno i contributi previdenziali dei lavoratori. Nel giro di pochi anni si trovano così sommerse dai debiti con lo Stato, con successiva messa in liquidazione e sostituzione con nuove cooperative che assorbono gli stessi dipendenti – previa sottoscrizione di un tombale che impedisce loro di chiedere crediti pregressi alla coop che viene liquidata –, che continuano a lavorare presso la medesima committente, per la quale nulla cambia a livello operativo. Le evasioni fiscali e contributive delle coop costituiscono perciò un presupposto necessario al funzionamento del sistema.
Come abbiamo visto, il ricambio continuo di cooperative è anche la storia di Cosmeta. Di nuovo, sottolineiamo che non è certamente possibile in questa sede ricondurre la realtà di Cosmeta al sistema fraudolento dettagliato nelle inchieste giudiziarie citate, per mancanza delle necessarie informazioni dettagliate; ci limitiamo ad analizzare i dati in nostro possesso, tratti dai bilanci delle diverse aziende.
Punto primo: EuroItalia, che ha un export del 97% e per la maggior parte in Paesi extra UE, ai fini fiscali viene considerata ‘esportatore abituale’ e non applica IVA sulle fatture emesse verso quei Paesi; per evitare di ritrovarsi dunque in continuo credito IVA, può avvalersi della possibilità di ricevere fatture esenti da IVA dai propri fornitori, mediante una lettera d’intento trasmessa all’Agenzia delle Entrate. Cosmeta è uno dei fornitori di EuroItalia destinatario della lettera d’intento, e quindi il 99% del suo fatturato è esente da IVA. Tuttavia Cosmeta riceve dai propri fornitori – tra cui la consortile Project per il contratto di appalto – fatture con IVA: si ritrova così – come si legge nel bilancio 2023 – con un “sistematico emergere di IVA a credito” che “risulta esuberante dalla possibilità di compensare”; pertanto ne richiede il rimborso allo Stato. Il credito totale riportato a bilancio, relativo a due trimestri 2022 e un trimestre 2023, ammonta a 1,1 milioni di euro. È evidente quindi che l’appalto alle cooperative risulta economicamente vantaggioso per Cosmeta non soltanto dal punto di vista dei costi di produzione, ma anche perché contribuisce al sistematico credito IVA e al relativo rimborso. Secondo De Bernardi, al contrario, questo credito è “un macigno”, poiché “i rimborsi hanno tempi molto lunghi e dobbiamo costantemente fare i salti mortali per coprire quella mancanza di liquidità e mandare avanti l’azienda.” Il bilancio 2023 di Cosmeta riporta infatti l’accensione di un finanziamento bancario a breve termine di 500 mila euro. Preferirei fatturare con IVA, ci dice De Bernardi, e così stornare periodicamente l’imposta a credito da quella a debito. Questo è indubbio, aggiungiamo noi: prima si incassa un credito, meglio è. Ma il punto è che quel credito non esisterebbe, per la parte relativa alle fatture di appalto, se l’appalto stesso non esistesse e le lavoratrici fossero dipendenti dirette di Cosmeta.
Punto secondo: le cooperative. Dai bilanci depositati, Conter (2004, Sozzi) e Lander (2019, Cecchin) risultano avere una stabile gestione amministrativa e fiscale, per quanto sul filo del rasoio. Conter – una quarantina di lavoratori in tutto – chiude il 2022 con un fatturato di 1,1 milioni e una perdita d’esercizio di 1.800 euro – ma delibera un compenso annuo di 93 mila euro al presidente del Consiglio di Amministrazione Gaetanino Sozzi –; Lander, una decina di dipendenti appena, nel 2022 fattura 349 mila euro e registra una perdita di 12 mila.
Le cooperative ascrivibili alla famiglia Rubino-Lascari raccontano invece un’altra storia.
La prima che abbiamo incontrato è 3B Service, che nel 2013 viene messa in liquidazione: stando al bilancio 2015, l’ultimo disponibile, si contano 868 mila debiti contro 574 mila crediti e un patrimonio netto negativo di 289 mila euro. Tra i debiti, 292 mila euro sono di IVA, 108 mila di ritenute dipendenti, 88 mila di INPS, 48 mila di IRAP e 150 mila per “altre imposte”.
A seguire Trebi Service: costituita nel 2011, nel 2017 è dichiarato lo stato di insolvenza e viene posta in liquidazione coatta amministrativa (LCA), procedura parallela al fallimento applicata alle cooperative, coordinata dal Ministero dello Sviluppo economico e finalizzata alla tutela dell’interesse pubblico nei casi in cui ci sia un’esposizione debitoria significativa nei confronti dello Stato. Il caso di Trebi, appunto: guardando il bilancio 2015, l’ultimo prima della LCA, si rilevano 196 mila euro di debito IVA, 99 mila di ritenute dipendenti, 86 mila verso l’INPS, 27 mila di INAIL e 25 mila di IRAP.
È poi arrivata C & G, messa in liquidazione volontaria dai soci nel 2018. Anche in questo caso i debiti tributari e contributivi accumulati e riportati nell’ultimo bilancio disponibile del 2016 sono considerevoli: quasi 420 mila di IVA, oltre 120 mila di INPS e 57 mila di IRAP.
Proseguiamo. A sostituire C & G compare Production Line, successivamente messa in liquidazione – come si legge nella nota integrativa del bilancio 2018, presentato rettificato a dicembre 2019 – “a seguito della revisione biennale da parte degli organi ispettivi del Ministero Economico”: il documento, estremamente sintetico, in questo caso non dettaglia le voci a debito, riportando unicamente la cifra totale di circa 460 mila euro.
Se la sorte di queste società è stata la messa in liquidazione, i debiti delle due coop di Rubino-Lascari attualmente in appalto presso Cosmeta – aperte a fine 2019, con una ottantina di lavoratrici Rexi e una trentina Perfumes, stando ai dati 2022 – sembrano condurre allo stesso epilogo. A fronte di un fatturato di circa un milione di euro, il bilancio 2022 di Perfumes Service riporta, infatti, 367 mila euro di debito IVA, oltre a 20 mila di rateizzazione per l’anno 2021, 36 mila euro di rateizzazione INPS e un’ulteriore rateizzazione INPS/INAIL di 311 mila euro. Di contro, registra anche un “credito formazione 4.0 anno 2021” pari a 92 mila euro. Più critica, sempre stando al bilancio 2022, la situazione in cui versa Rexi: 2,5 milioni di fatturato, e a fronte di crediti tributari non meglio specificati pari a 431 mila euro conta 697 mila euro di debito IVA, oltre 960 mila di debito INPS e una rateizzazione INPS 2019 ancora aperta per 11 mila euro. Oltretutto, per i mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio 2024 lo stipendio è stato bonificato, ad alcune lavoratrici, dalla consortile Project: potrebbe significare, dato il reiterarsi del versamento per cinque mesi consecutivi, che la coop fatichi addirittura a pagare i salari netti. Visti i numeri, le due cooperative potrebbero già avere il fiato sul collo dell’Agenzia delle Entrate. Viene da chiedersi, allora, se per le dipendenti di Perfumes Service e Rexi non sia all’orizzonte un nuovo licenziamento, con passaggio – condizionato alla firma di un tombale – nell’ennesima, nuova cooperativa.
De Bernardi di Cosmeta afferma di non essere a conoscenza delle continue chiusure e aperture di cooperative; di non avere alcuna informazione sullo stato attuale delle cooperative; di non sapere né delle liquidazioni volontarie né di quella coatta amministrativa avvenute in passato; di voler dunque verificare personalmente la situazione perché “preoccupato”. E conclude: “Ma come mai Conter e Lander non hanno questi problemi? Chiederò conto al consorzio, perché se le cose stanno così rimettiamo in discussione tutto. Non posso permettermi di sentir dire che due cooperative su quattro si barcamenano in acque pericolose, e che non viene pagata la malattia. Non posso dubitare che non vengano rispettate le cose essenziali”.
Essenza di futuro
“Le aziende famigliari, se i passaggi generazionali funzionano, hanno una forza innata”, sottolinea a maggio 2023 al Sole24Ore Davide Sgariboldi, figlio del patron di EuroItalia e attuale general manager della società. “Cerchiamo di goderci l’ottimo momento dell’azienda e del mercato, ma siamo proiettati, insieme a tutte le persone che lavorano con noi, nel futuro” (10).
Da una parte un colosso da quasi 600 milioni di fatturato e oltre 100 milioni di utile, dall’altra un sistema di appalti in cui bassi salari, mancanze retributive, violazione dei diritti, evasioni fiscali e contributive sembrano essere la norma. Un sistema che giova alle casse, già piene, di EuroItalia, che nel periodo 2018-2021, quando le lavoratrici delle coop erano in continuo movimento passando da una cooperativa all’altra firmando tombali, ha avuto un ritmo di crescita del fatturato del 10,9% annuo (11). Tali considerazioni, ci preme sottolineare, permangono anche nel caso l’appalto di Cosmeta sia corretto dal punto di vista legale. Perché diventa difficile immaginare verso quale futuro condiviso siano proiettate le decine di lavoratrici delle cooperative e l’azienda di Sgariboldi. Per le prime, ieri come oggi, lo sfruttamento sembra essere l’unico orizzonte in vista, mentre per il colosso della cosmetica l’espansione del mercato e degli utili pare non avere limiti. Il mondo del lusso profuma di (Euro)Italia. Con una nota di sfruttamento.
La società EuroItalia s.r.l, da noi contattata, ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni.
La società Perfumes Service società cooperativa, da noi contattata, ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni.
Le società Conter società cooperativa e Lander società cooperativa non hanno risposto alla nostra richiesta di contatto.
Non ci è stato possibile contattare, per mancanza di recapiti, le società Project s.c.a.r.l e Rexi società cooperativa.
1) https://tg24.sky.it/spettacolo/2023/03/28/brunello-cucinelli-presentati-profumi
2) Ai marchi citati si aggiunge la linea di prodotti make-up di proprietà Naj-Oleari, per la quale Cosmeta non è coinvolta in alcuna fase produttiva)
3) Cfr. Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 29 comma 3-bis
4) Cfr. Codice Civile, art 1655
5) Cfr. Cassazione civile sez. lav., 14/08/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 14/08/2019), n. 21413
6) Cfr. Cassazione civile sez. lav., 08/07/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 08/07/2020), n. 14371
7) Cfr. Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 29 comma 1-bis
9) Cfr. Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 , art. 2, 8
11) Ibidem