La Modificazione della Radiazione Solare (SRM) nei documenti di IPCC, UNEP e Congresso USA: le tecniche, i rischi conosciuti e ipotizzati sulla salute umana e sull’ambiente, la ricerca di una governance globale, la previsione della sua applicazione. Ben lontana dall’essere fantascienza, perché oggi è divenuta un’opzione
Nell’aprile 2022, in Bassa California (Messico), Luke Iseman, cofondatore e amministratore delegato della società Make Sunsets, inietta alcuni grammi di anidride solforosa in due palloni meteorologici e li lancia nella stratosfera: obiettivo dichiarato è ridurre il riscaldamento globale tramite la tecnica di geoingegneria solare conosciuta come SAI (Stratospheric Aerosol Injection). L’azione in sé è poco più di una trovata pubblicitaria, come riconosce lo stesso Iseman alla rivista del MIT (1): a bordo non erano state infatti installate apparecchiature di monitoraggio, non si sa dove siano finiti i palloni né quale impatto abbiano avuto le particelle di diossido di zolfo. È un atto “in parte imprenditoriale e in parte provocatorio” afferma Iseman, che mira “a stimolare il dibattito pubblico e a far avanzare un ambito scientifico [la geoingegneria solare] che ha dovuto affrontare grandi difficoltà nel portare avanti esperimenti sul campo”. In compenso, l’azienda già mette in vendita “crediti di raffreddamento” a 10 dollari, dichiarando sul proprio sito (2) che un grammo di anidride solforosa compensa l’effetto di riscaldamento di una tonnellata di carbonio per un anno. Intervistati dal MIT Technology Review, Shuchi Talati, studioso di geoingegneria solare presso l’American University, sottolinea che “nessuno può vendere in modo credibile crediti che pretendono di rappresentare un risultato per grammo così specifico”, e David Keith, considerato uno dei maggiori esperti mondiali di geoingegneria solare, evidenzia che “la quantità di materiale in questione – meno di 10 grammi di zolfo per volo – non rappresenta alcun reale pericolo ambientale”. Siamo quindi davanti a una pagliacciata – i due soci della startup si descrivono come “autodidatti che prendono l’iniziativa” – che evidenzia tuttavia un aspetto non secondario: l’interesse del capitale privato per l’implementazione della geoingegneria solare. La quale, dopo il settore della transizione ecologica e digitale, potrebbe essere un altro nuovo, futuro, mercato dove fare profitti.
Ma andiamo con ordine.
SRM e SAI: cosa sono
Secondo il Report rilasciato da “IPCC Expert Meeting on Geoengineering” (3), riunitosi a Lima (Perù) nel giugno 2011 con l’obiettivo di porre le basi della discussione sulla geoingegneria per il Quinto Rapporto di Valutazione del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), “il concetto di geoingegneria può essere fatto risalire agli anni ‘60, con un documento statunitense che richiedeva la ricerca sulle «possibilità di determinare deliberatamente cambiamenti climatici compensativi» rispetto alle emissioni di CO2 […] Da allora, il termine si è evoluto considerevolmente, arrivando a comprendere una varietà ampia e non ben definita di concetti per modificare intenzionalmente il clima della Terra su larga scala”, compresa la cattura e stoccaggio di anidride carbonica.
Negli ultimi anni la discussione scientifica si è concentrata sulla Modificazione della Radiazione Solare (Solar Radiation Modification, SRM), che include tecniche diverse miranti a contrastare il riscaldamento climatico abbassando la temperatura terrestre, attraverso la riduzione dell’assorbimento di radiazione solare. Sono principalmente tre: lo schiarimento delle nuvole marine – introducendo aerosol di sale marino – con conseguente aumento della loro riflettività (Marine Cloud Brightening, MCB); l’assottigliamento dei cirri, tramite iniezione di particelle nucleanti del ghiaccio, che dovrebbe ridurre le nuvole alte che intrappolano la radiazione infrarossa emessa dalla Terra, consentendole di fuoriuscire nello spazio (Cirrus Cloud Thinning, CCT); infine la tecnologia più studiata, l’introduzione di particelle riflettenti nella stratosfera (Stratospheric Aerosol Injection, SAI). Quest’ultima idea nasce da un parallelismo con le eruzioni vulcaniche, in particolare quella del Monte Pinatubo del 1991, che – si legge nel recente Report dell’UNEP (l’organizzazione ONU per l’ambiente) “One Atmosphere: an independent expert review on Solar Radiation Modification research and deployment”, pubblicato a febbraio 2023 (4) – “ha causato un raffreddamento medio annuale globale di circa 0,3-0,5°C nei due anni successivi”; si stima quindi che “tassi di iniezione continua di 8-16 Tg (teragrammi, corrispondenti a milioni di tonnellate, n.d.r.) di anidride solforosa all’anno (approssimativamente equivalenti alla quantità stimata di iniezione del Monte Pinatubo nel singolo anno 1991) ridurrebbero la temperatura media globale di 1°C. Un’implementazione operativa del SAI potrebbe essere ampliata per produrre un raffreddamento globale di 2-5°C, anche se con rendimenti decrescenti a tassi di iniezioni più elevati”. Insomma, si tratta di immettere zolfo nella stratosfera, che trasformandosi in aerosol di solfati riflette la luce solare, in un processo opposto all’effetto serra.
I timori di IPCC e UNEP
Tutti i documenti che si occupano di SRM, siano essi di IPCC o di UNEP, affermano in sostanza le medesime cose. In sintesi: l’SRM non affronta le cause del cambiamento climatico, quindi non può essere la risposta; i rischi umani e ambientali connessi sono ancora in parte sconosciuti; è una strada lunga decenni e non si può intraprendere per poi cambiare idea, perché l’interruzione improvvisa della geoingegneria solare causa danni certi.
Per entrare maggiormente nel dettaglio, prendiamo il recente Report dell’UNEP sopra citato. Vi si legge che “l’SRM non riduce le emissioni di gas serra e non affronta le cause del cambiamento climatico di origine antropica”, quindi in caso di implementazione “continueranno gli altri danni ambientali [non connessi all’aumento delle temperature globali] derivanti dall’incremento delle concentrazioni di CO2 e altri gas serra”. La sua applicazione sarà dunque, “nella migliore delle ipotesi, una misura temporanea che potrebbe operare in parallelo con misure di mitigazione progettate per raggiungere emissioni globali nette di CO2 pari a zero o negative”. Si pone tuttavia il problema del cosiddetto “rischio morale”, ossia che la ricerca sull’SRM possa ridurre gli incentivi per mitigare le emissioni di gas serra, “distogliendo risorse finanziarie, politiche o intellettuali dagli sforzi di mitigazione e adattamento”.
Rischi: “La ricerca scientifica sugli impatti delle potenziali implementazioni dell’SRM sui sistemi umani e naturali è limitata. Le valutazioni pubblicate sulla resa dei raccolti e sulla produttività dell’ecosistema terrestre sono poche. […] Mancano inoltre valutazioni esaustive sugli impatti della diffusione dell’SRM sulla salute umana (per esempio esposizione ai raggi UV, piogge acide e inquinamento atmosferico)”; in particolare, l’implementazione del SAI “influenzerebbe la chimica e la dinamica della stratosfera, […] il recupero del buco dell’ozono antartico potrebbe essere ritardato di un paio di decenni e il buco dell’ozono potrebbe diventare più profondo nei primi dieci anni di dispiegamento del SAI”.
Durata: “Per essere efficace, l’implementazione dell’SRM dovrebbe essere mantenuta continuamente per decenni o più”, e se la SAI fosse “interrotta improvvisamente, il riscaldamento precedentemente mascherato si manifesterebbe entro pochi anni […] ciò potrebbe produrre gravi effetti negativi sugli ecosistemi e sulla biodiversità, aumentando i rischi di estinzione per migliaia di specie”: è quello che il Report definisce “shock da conclusione”.
Infine, preoccupazioni considerate “fondamentali” investono la regolamentazione e la governance mondiale della sperimentazione e implementazione della geoingegneria solare, oggi del tutto assenti; l’obiettivo è evitare rischi geopolitici “di conflitti internazionali a causa degli effetti transfrontalieri” – gli esiti dell’SRM non si fermano certo ai confini dello Stato che la applica – o per “divergenze di opinione su se, e quale tipo o quantità di SRM sarebbe da dispiegare”; i bassi costi stimati, poi, potrebbero portare l’implementazione di SRM alla portata “di attori non statali”. Nell’assenza di una regolamentazione, insomma, chi “finanzierà e controllerà lo sviluppo e l’implementazione delle tecnologie SRM”?, si chiede l’UNEP. Occorre trovare un accordo globale.
L’approccio rischio vs rischio
Quanto sopra citato, porterebbe a concludere che IPCC e UNEP scartino l’eventualità dell’applicazione della SRM, ma non è così. Forse perché due aspetti la rendono ‘irresistibile’: la rapidità con cui potrebbe diminuire la temperatura terrestre e, come già accennato, il suo costo. “L’SRM è l’unico approccio conosciuto che potrebbe essere utilizzato per raffreddare la Terra entro pochi anni” afferma l’UNEP, e “sebbene non esista la tecnologia per iniettare grandi quantità di precursori di aerosol all’altitudine richiesta [tecnica SAI], non è stato individuato alcun ostacolo tecnico di rilievo”: tempo dieci anni, stimano alcuni scienziati, e si potrebbe essere operativi, con un costo oltretutto decisamente abbordabile: “circa 20 miliardi di dollari all’anno per 1°C di raffreddamento”. Ed ecco che la porta della geoingegneria solare potrebbe essere aperta.
Continua infatti il Report 2023 dell’organizzazione ONU per l’ambiente: “Le azioni e gli impegni attuali non sono ancora sufficienti per raggiungere gli obiettivi di temperatura dell’accordo di Parigi. Questa situazione ha portato a un crescente interesse nel comprendere se un’implementazione operativa su larga scala di modificazione della radiazione solare (SRM) potrebbe essere in grado di aiutare a proteggere gli esseri umani e gli ecosistemi da cui dipende l’umanità. Il gruppo di esperti ritiene che un’implementazione dell’SRM su larga scala nel breve e medio termine non sia attualmente giustificata e non sarebbe saggia. Questa visione potrebbe cambiare se l’azione per il clima restasse insufficiente”. Dunque, se non si riuscirà a mantenere l’aumento della temperatura terreste al di sotto dei 2° e a circoscriverlo a 1,5° rispetto ai livelli preindustriali – ed è la strada che stiamo percorrendo a grandi falcate, come vedremo – la geoingegneria solare potrebbe essere applicata. “Se la mitigazione sarà ritenuta insufficiente,” conclude il Report dell’UNEP, “l’implementazione dell’SRM potrebbe essere l’unica opzione praticabile rimasta per evitare il superamento della temperatura e garantire il raggiungimento dell’obiettivo dell’accordo di Parigi”.
E i rischi legati alla SRM?, viene da chiedersi. L’esposizione ai raggi UV, le piogge acide, l’inquinamento atmosferico, l’allargamento del buco dell’ozono… e tutto ciò che non sappiamo preventivare come conseguenza dell’alterazione della chimica e della dinamica della stratosfera? Nulla sparisce, ovviamente. È lo sguardo con cui viene valutato, a mutare. I rischi non sono più soppesati di per sé, ma in rapporto ai rischi connessi al riscaldamento globale. Scrive infatti la stessa IPCC, già nello Studio del 2011 sopra citato: “Per valutare i rischi, i rischi potenziali legati all’attuazione dell’SRM verrebbero valutati insieme ai rischi potenziali di altri scenari di cambiamento climatico”. In teoria, due piatti della bilancia, quale pesa di più; in pratica, una roulette russa.
Il mandato del Congresso statunitense
Sulla stessa linea l’UNEP, che nel Report del febbraio 2023 propone dunque l’avvio di una discussione per una governance globale su ricerca, sperimentazione sul campo e applicazione su larga scala della geoingegneria solare.
Dopo pochi mesi, a giugno 2023, il Congresso USA si muove sul solco dell’organizzazione ONU per l’ambiente, e dà mandato (5) all’Ufficio per le Politiche Scientifiche e Tecnologiche (OSTP) di fornire “un piano di ricerca [quinquennale] per interventi solari e altri interventi rapidi sul clima” e “un quadro di governance” correlato. In realtà, diverse agenzie federali degli Stati Uniti sono già impegnate nella ricerca SRM da molti anni – si legge nella direttiva del Congresso – ma sembra mancare quel coordinamento generale che viene ora imposto con questo mandato. Le tecniche su cui si concentra la direttiva – e sulle quali fa il punto dello stato dell’arte, citando diversi studi scientifici – sono il SAI e lo schiarimento delle nuvole marine (MCB); l’approccio alla potenziale implementazione è il medesimo di IPCC e UNEP: rischio vs rischio.
Tralasciando i dati in comune con i Report già analizzati, e focalizzandoci sui rischi, il mandato del Congresso USA riconosce innanzitutto che “quasi tutti [i rischi] sono poco conosciuti e alcuni di essi sono sconosciuti”. Questo perché “l’attuale serie di potenziali metodi SRM non si limiterebbe a negare (compensare esplicitamente) tutti gli impatti attuali o futuri dei cambiamenti climatici indotti da un aumento delle concentrazioni atmosferiche di gas serra, ma introdurrebbe un ulteriore cambiamento (un’alterazione dell’energia solare, su scala determinata dal particolare metodo SRM applicato) al complesso sistema climatico esistente, con ramificazioni che ora non sono ben comprese”. Si ipotizzano: variazioni nella circolazione e nella chimica della stratosfera (buco dell’ozono compreso) “in modi che possono portare a impatti su scala stagionale come eventi di siccità estrema o precipitazioni più frequenti”; cambiamenti sulla vegetazione terrestre, le barriere coralline, la biodiversità, la produzione agricola; cambiamenti nei modelli di precipitazione e di variabilità climatica; innalzamento del livello del mare; acidificazione e produttività degli oceani con impatto “sulle alghe e i conseguenti risultati per le catene alimentari marine”.

In merito alla tecnica SAI, il documento del Congresso cita, tra altri, uno Studio del 2020 dall’emblematico titolo “Ciò che sale deve scendere: impatti della deposizione dei solfati in uno scenario di geoingegneria” (6), che sottolinea come “l’iniezione deliberata di zolfo nella stratosfera per formare aerosol di solfato stratosferico, emulando i vulcani, si tradurrà nella deposizione di solfato in superficie”, portando a un aumento dell’acidità del suolo che potrebbe “influenzare la resa dei raccolti e il loro valore nutrizionale”; inoltre, anche “gli impatti della diffusione della luce solare potrebbero avere effetti negativi sulla crescita delle colture, annullando i benefici derivanti dalla limitazione dell’aumento della temperatura globale”; infine, “le prove derivanti dalle eruzioni vulcaniche suggeriscono che il dispiegamento asimmetrico del SAI altera i cicli idrologici, può indebolire i monsoni estivi indiani e ridurre le precipitazioni del Sahel, contribuendo alla siccità e al conseguente disastro umanitario”.
L’accoppiata rovinosa
Le sensazioni che prevalgono, leggendo i Report sopra citati, sono l’incredulità e lo sgomento; il pensiero va al concetto di hybris, per tentare di comprendere, ma è una risposta parziale.
A luglio 2023 Jim Skea, presidente dell’IPCC, dichiara che il mancato raggiungimento degli obiettivi di Parigi è, praticamente, una certezza: “I colleghi che lavorano al Working Group 1 sulla scienza fisica dei cambiamenti climatici sono molto chiari sul fatto che raggiungeremo un aumento delle temperature globali di 1,5° attorno al 2030, o nella prima parte degli anni ‘30”. Si definisce anche ottimista, affermando che quando accadrà, “nello scenario migliore potremo iniziare ad abbassare di nuovo la temperatura globale sotto quella soglia”, applicando rapidamente le politiche indicate dall’ultimo rapporto IPCC: taglio del metano, blocco della deforestazione, ripristino di ecosistemi, modifica del sistema alimentare – con focus sugli allevamenti intensivi – sfruttamento delle energie rinnovabili, stop al carbone (7). Lasciamo a Skea l’ottimismo (della volontà), ed entriamo nel pessimismo della ragione.
La classe dirigente politica ed economica che trae vantaggio dall’attuale sistema economico e sociale, è chiaramente disposta a tutto piuttosto che modificare, anche solo parzialmente, il sistema stesso. Lo ha dimostrato sin dall’introduzione del concetto di ‘sviluppo sostenibile’, na-to nel 1987 dal Rapporto Brundtland della Commissione ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo, con l’intenzione di integrare la crescita economica e la tutela dell’ambiente. Da anni questo scenario è messo in discussione da diversi Studi, non ultimo un’ampia a-nalisi pubblicata su queste pagine che, dati alla mano, nega che il decouplink (il disaccoppiamento tra crescita economica e danni ambientali) sia una prospettiva realistica, concludendo sulla necessità di iniziare a parlare di decrescita (8). Una parola tabù per il capitalismo, ovviamente, che si regge sul consumismo di falsi bisogni indotti dalla società dello spettacolo, e che è riuscito a mettere a valore persino la crisi ambientale. Da una parte, non ha abbandonato il ‘vecchio’ settore delle fonti fossili; dall’altra, con il sostegno di abbondanti risorse pubbliche, ha aperto nuovi ambiti produttivi e nuovi mercati, di vendita e finanziari, legati alla transizione ecologica e digitale (9). È probabile che l’implementazione delle tecniche SRM – sempre meno a-leatoria dopo le parole di Skea e l’attenzione riservatale da IPCC, UNEP e Congresso USA – si andrà semplicemente ad aggiungere all’esistente, i-naugurando un nuovo settore economico. Si avrà così una struttura triadica: la temperatura terrestre sarà tenuta sotto controllo con la geoingegneria solare – con quali devastanti conseguenze lo vedremo –, questo permetterà alle fonti fossili di restare, con il loro carico di emissioni di gas serra – non ultime quelle dovute al comparto militare e alla guerra (10) – mentre il denaro pubblico sosterrà i profitti privati sia della transizione green che dell’applicazione della SRM.
All’hybris, dunque, è da aggiungere la forma mentis capitalista, il dio denaro. L’accoppiata forse più rovinosa che si possa avere.
E noi?
Dove sono i cittadini in tutto questo? Alcuni Studi evidenziano come le conseguenze dell’implementazione della geoingegneria solare ricadranno principalmente sulle giovani e future generazioni, che dunque dovrebbero essere coinvolte nelle decisioni: lo stesso mandato del Congresso USA, sottolineando i pericoli dello “shock da conclusione”, afferma che “se il potenziale requisito per l’SRM fosse quello di essere mantenuta su scale temporali di decenni, se non secoli, l’equità intergenerazionale è una dimensione da comprendere e considerare”. Sagge parole, ma in cosa si traducono? In passato, tra il 1945 e il 1992, sono state fatte esplodere bombe nucleari nella ionosfera e nella magnetosfera, con l’obiettivo di verificare se la struttura stessa del sistema Terra potesse essere utilizzata come arma (11); gli effetti che le detonazioni avrebbero potuto innescare sull’equilibrio del pianeta e sul clima terrestre erano ignoti, eppure il pensiero delle possibili conseguenze per le popolazioni e le generazioni a venire non li ha fermati. In futuro, quando la geoingegneria solare verrà implementata, non sarà diverso. Lo rivela la stessa marginalità riservata al tema. L’SRM dovrebbe essere sotto i riflettori, oggetto di dibattito pubblico, e non lo è. Nonostante i numerosi Studi pubblicati negli ultimi anni, resta argomento di nicchia, e quando compare su canali generalisti, o è trattata alla stregua di fantascienza, oppure viene raccontata rassicurando sui rischi e sulla valutazione che ne sarà fatta da parte dell’ONU, dei governi, degli scienziati… Piccoli ma indispensabili anelli dell’ingranaggio capitalistico, noi cittadini dobbiamo solo continuare a produrre-consumare-crepare credendo alla narrazione dello sviluppo sostenibile, e il nostro sonno (già agitato) non deve essere disturbato con una questione così complessa. C’è chi pensa per noi, chi decide per noi. Sono gli stessi che giocano a fare dio con il nostro pianeta. Finché glielo permetteremo.
3) https://www.ipcc.ch/publication/ipcc-expert-meeting-on-geoengineering/
4) https://www.unep.org/resources/report/Solar-Radiation-Modification-research-deployment
6) https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/ab94eb
8) Cfr. European Environmental Bureau, Decouplink Debunked. Prove e argomentazioni contro la crescita green come unica strategia per la sostenibilità, pubblicato in quattro parti su Paginauno n. 80-83, dicembre 2022-luglio 2023
9) Cfr. Giovanna Cracco, Capitalismo e ambientalismo. La transizione (non) ecologica, Paginauno n. 78, luglio 2022
10) Cfr. Stuart Parkinson (SGR), Linsey Cottrell (CEOBS), Stima delle emissioni globali di gas serra del comparto militare, Paginauno n. 84, dicembre 2023
11) Cfr. Giovanna Cracco, La guerra. Esperimento Terra, Paginauno n. 84, dicembre 2023

