Human Rights Watch*
Cosa accadeva prima del 7 ottobre: l’approvazione di 12.885 nuove unità abitative di coloni israeliani in Cisgiordania, 13 ore al giorno senza elettricità a Gaza, 11.000 palestinesi isolati dal Muro in costruzione tra Israele e la Cisgiordania. E poi la politica israeliana di chiusura del valico di Erez in atto dal 2007, la carcerazione dei palestinesi e le 1.400 denunce di tortura presentate dal 2001
Nel 2023 i civili sono stati presi di mira, attaccati e uccisi, a un livello senza precedenti nella storia recente di Israele e Palestina. Il 7 ottobre, uomini armati guidati da Hamas hanno lanciato un attacco dalla Striscia di Gaza nel sud di Israele, uccidendo deliberatamente civili, sparando sulla folla, uccidendo persone nelle loro case e riportando ostaggi a Gaza, compresi anziani e bambini; atti che equivalgono a crimini di guerra. Secondo le autorità israeliane, più di 1.200 persone, la maggior parte delle quali civili, sono state uccise dal 7 ottobre e 133 erano tenute in ostaggio al 15 dicembre. Poco dopo, le autorità israeliane hanno tagliato i servizi essenziali, tra cui acqua ed elettricità, alla popolazione di Gaza e hanno bloccato l’ingresso di tutto tranne un filo di carburante e di aiuti umanitari essenziali; atti di punizione collettiva che equivalgono a crimini di guerra, ed erano in corso al momento della stesura di questo articolo. Gli attacchi aerei israeliani martellano incessantemente Gaza, colpendo scuole e ospedali e riducendo in macerie gran parte dei quartieri, anche nel corso di attacchi apparentemente illegali. Le forze israeliane hanno inoltre utilizzato illegalmente il fosforo bianco in aree densamente popolate. Hanno ordinato l’evacuazione di tutte le persone dal nord di Gaza e hanno sfollato circa l’85% della popolazione della Striscia – 1,9 milioni di persone – a partire dall’11 dicembre. Più di 18.700 palestinesi, la maggior parte dei quali civili, tra cui più di 7.800 bambini, sono stati uccisi tra il 7 ottobre e il 12 dicembre, secondo le autorità di Gaza.
Il blocco ha esacerbato la situazione umanitaria derivante dalle radicali restrizioni israeliane, che durano da sedici anni, sulla circolazione di persone e merci dentro e fuori Gaza. La chiusura prolungata, così come le restrizioni egiziane al confine con Gaza, hanno privato i 2,2 milioni di palestinesi della Striscia, con rare eccezioni, del diritto alla libertà di movimento e dell’opportunità di migliorare la propria vita; hanno fortemente limitato il loro accesso all’elettricità, all’assistenza sanitaria e all’acqua; e devastato l’economia.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), in Cisgiordania, tra l’inizio del 2023 e il 12 dicembre, le forze israeliane hanno ucciso 464 palestinesi, tra cui 109 bambini: più del doppio rispetto a qualsiasi altro Paese a far data dal 2005, quando l’ONU ha iniziato a registrare sistematicamente le vittime. Il dato ha incluso uccisioni illegali derivanti dall’uso regolare da parte di Israele di una forza letale eccessiva, e alcuni casi di esecuzioni extragiudiziali.
Secondo i dati dei servizi carcerari israeliani, al 1° dicembre le autorità israeliane trattenevano anche 2.873 palestinesi in detenzione amministrativa, senza accusa né processo, sulla base di informazioni segrete. Questa cifra rappresenta il massimo in tre decenni, secondo il gruppo israeliano per i diritti umani HaMoked.
Durante la prima metà del 2023, il governo israeliano ha approvato la costruzione di 12.855 nuove unità abitative negli insediamenti della Cisgiordania occupata. È il numero più alto mai registrato dal gruppo israeliano Peace Now, che monitora sistematicamente i piani dal 2012. Il trasferimento di civili nei territori occupati è un crimine di guerra.
Durante i primi otto mesi del 2023, gli episodi di violenza dei coloni contro i palestinesi, e le loro proprietà, hanno raggiunto la media giornaliera più alta da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare questi dati, nel 2006: tre incidenti al giorno di media rispetto ai due del 2022 e all’uno del 2021. Questi dati includono le furie di folle di coloni a Huwara e Turmus Ayya. Il numero è aumentato a oltre cinque incidenti giornalieri dopo il 7 ottobre.
Importanti organizzazioni della società civile palestinese rimangono fuori legge in quanto considerate organizzazioni “terroristiche” e “illegali”. Le forze israeliane hanno fatto irruzione nei loro uffici nell’agosto 2022.
La repressione dei palestinesi da parte delle autorità israeliane, intrapresa come parte di una politica volta a mantenere il dominio degli ebrei israeliani sui palestinesi, equivale ai crimini contro l’umanità di apartheid e persecuzione.
Striscia di Gaza
Secondo le organizzazioni umanitarie, tra il 7 ottobre e il 24 novembre, nel corso delle intense operazioni militari israeliane, più di 46.000 unità abitative sono state distrutte e altre 234.000 danneggiate, pari al 60% del patrimonio abitativo di Gaza. Per l’OCHA, almeno 342 scuole sono state danneggiate, e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono stati effettuati 187 “attacchi all’assistenza sanitaria”, danneggiando ventiquattro ospedali.
Gli attacchi aerei israeliani e il blocco hanno causato la chiusura della maggior parte degli ospedali. La mancanza di elettricità e carburante ha costretto a chiudere le acque reflue, gli impianti di desalinizzazione e i panifici, e ha contribuito ai blackout delle telecomunicazioni. La mancanza d’acqua ha creato una crisi sanitaria pubblica. Sebbene alcuni camion umanitari abbiano iniziato a entrare a Gaza il 21 ottobre, e altri ancora ne sono entrati durante un cessate il fuoco di più giorni iniziato il 24 novembre, gli aiuti non sono riusciti a soddisfare i bisogni della popolazione della Striscia.
L’ordine israeliano di evacuare il nord di Gaza non ha tenuto conto dei bisogni degli anziani, delle persone con disabilità e dei pazienti, molti dei quali non possono andarsene. La mossa rischia lo sfollamento forzato, un crimine di guerra.
Secondo l’OCHA, una precedente tornata di ostilità a maggio, caratterizzata da attacchi israeliani su Gaza e attacchi missilistici contro Israele da parte di gruppi armati palestinesi a Gaza, ha provocato la morte di almeno 33 palestinesi a Gaza, tra cui almeno 12 civili, e di due civili in Israele.
Politica di chiusura israeliana
Dal 2007, le autorità israeliane hanno impedito alla maggior parte della popolazione della Striscia di attraversare il valico di Erez, l’unico transito per passeggeri da Gaza a Israele, attraverso il quale i palestinesi possono viaggiare verso la Cisgiordania e all’estero. Le autorità israeliane spesso giustificano la chiusura – avvenuta dopo che nel giugno 2007 Hamas ha preso il controllo politico di Gaza – per motivi di sicurezza. Tuttavia, la politica di chiusura non si basa su una valutazione individualizzata del rischio: un divieto di viaggio generalizzato si applica a tutti, tranne a coloro che le autorità israeliane ritengono presentino “circostanze umanitarie eccezionali” (per lo più persone che necessitano di cure mediche vitali e i loro accompagnatori), nonché importanti uomini d’affari.
Anche coloro che cercano cure mediche urgenti al di fuori di Gaza a volte devono affrontare dinieghi o ritardi nelle approvazioni. L’OMS ha riferito che tra il 2008 e il 2021, 839 palestinesi a Gaza sono morti mentre aspettavano una risposta alle loro richieste di permesso.
Secondo il gruppo israeliano per i diritti Gisha, durante i primi otto mesi del 2023, una media di 1.653 palestinesi di Gaza sono usciti via Erez ogni giorno. Un dato che ha segnato un aumento rispetto agli anni precedenti, in gran parte determinato dai permessi di lavoro, ma che rimane inferiore al 7% della media giornaliera di oltre 24.000 persone prima dell’inizio della Seconda Intifada, o rivolta palestinese, nel settembre 2000.
Secondo Gisha, le esportazioni di Gaza durante i primi otto mesi del 2023, principalmente prodotti destinati alla Cisgiordania e a Israele, sono state in media di 607 camion al mese, meno della media mensile di 1.064 camion prima dell’inasprimento della chiusura del giugno 2007. Le autorità hanno severamente limitato l’ingresso di materiali da costruzione e altri articoli considerati “a duplice uso”, ossia che potrebbero essere utilizzati anche per scopi militari. L’elenco di tali articoli comprende apparecchiature a raggi X e di comunicazione, pezzi di ricambio e batterie per dispositivi di assistenza per persone con disabilità, e altri articoli civili vitali.
Dal 7 ottobre e fino al momento in cui scriviamo, le autorità israeliane hanno sigillato i valichi di Gaza, impedendo l’ingresso di persone e merci, compresi i residenti che necessitano di cure mediche urgenti. Le autorità israeliane hanno fatto regolarmente ricorso a tali misure, che prendono di mira i civili e costituiscono una punizione collettiva illegale.
La chiusura limita l’accesso ai servizi di base. Secondo l’OCHA, tra gennaio e settembre 2023, le famiglie di Gaza sono rimaste senza elettricità, fornita centralmente, per una media di 13 ore al giorno. Le interruzioni croniche e prolungate di energia gravano su molti aspetti della vita quotidiana, tra cui il riscaldamento, il raffreddamento, il trattamento delle acque reflue, l’assistenza sanitaria e gli affari. Le interruzioni hanno imposto particolari difficoltà alle persone con disabilità, che fanno affidamento sulla luce per comunicare utilizzando il linguaggio dei segni o su apparecchiature alimentate dall’elettricità per muoversi, come ascensori o sedie a rotelle elettriche. Secondo l’Autorità Palestinese per l’Acqua e l’OCHA, oltre il 96% delle acque sotterranee di Gaza, l’unica fonte d’acqua naturale rimasta, è “non adatta al consumo umano”. Ciò lascia la maggior parte dei residenti della Striscia a fare affidamento sulla desalinizzazione e sull’acqua che arriva attraverso Israele, che è stata interrotta durante le ostilità. Prima del 7 ottobre, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), circa l’80% dei residenti di Gaza faceva affidamento sugli aiuti umanitari.
L’Egitto inoltre limita la circolazione di persone e merci attraverso il valico di Rafah, a volte sigillandolo completamente. Secondo Gisha, nei primi otto mesi del 2023 una media di 27.975 palestinesi l’ha attraversato mensilmente in entrambe le direzioni, un dato inferiore alla media di oltre 40.000 prima del colpo di Stato militare del 2013 in Egitto.
Abusi di Hamas e dei gruppi armati palestinesi
Il 7 ottobre Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno deliberatamente ucciso civili e commesso una serie di altri abusi, tra cui prendere in ostaggio civili e lanciare migliaia di razzi indiscriminati contro le comunità israeliane; tutti crimini di guerra. Durante l’offensiva del 7 ottobre, i combattenti guidati da Hamas hanno invaso le case e attaccato il festival musicale all’aperto “Supernova Sukkot Gathering”, uccidendo almeno 260 persone, secondo i servizi di soccorso israeliani. Gruppi armati hanno minacciato di giustiziare gli ostaggi. Ne hanno rilasciato alcuni alla fine di novembre, in cambio della liberazione da parte di Israele di prigionieri palestinesi, come parte di un accordo di cessate il fuoco a breve termine.
Human Rights Watch ha indagato su un’esplosione del 17 ottobre presso l’ospedale al-Ahli di Gaza City, che ha causato decine di vittime, e ha scoperto che era il risultato di un apparente ordigno con propulsione a razzo, come quelli comunemente usati dai gruppi armati palestinesi.
A giugno 2022 e a gennaio 2023 le autorità di Hamas hanno pubblicato filmati che sembravano mostrare Avera Mangistu e Hisham al-Sayed, due civili israeliani con disabilità psicosociali che sarebbero stati tenuti in custodia per più di otto anni, dopo che i due uomini erano entrati a Gaza. La loro detenzione in isolamento è illegale.
Secondo due organizzazioni con sede a Gaza, il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) e al-Mezan, da giugno 2007 – quando le autorità di Hamas hanno preso il controllo della Striscia – i tribunali di Gaza hanno condannato a morte 203 persone, tra cui 14 tra gennaio e settembre 2023. Dalla stessa data, le autorità di Hamas hanno eseguito 33 esecuzioni per reati comuni e “collaborazione” con Israele; nessuna si è verificata durante i primi nove mesi del 2023.
Secondo PCHR e al-Mezan, le autorità di Hamas hanno disperso con la forza le persone durante le manifestazioni estive “Vogliamo vivere”, contro le difficili condizioni di vita, malmenando e arrestando alcuni manifestanti e giornalisti. Tra gennaio e agosto 2023, l’organismo di vigilanza palestinese, la Commissione Indipendente per i Diritti Umani (ICHR), ha ricevuto 56 denunce di arresti arbitrari e 81 denunce di tortura e maltrattamenti contro le autorità di Hamas.
Le autorità di Hamas hanno impedito ad alcune donne di viaggiare in base alle norme emanate nel febbraio 2021, che consentono ai tutori maschi di rivolgersi ai tribunali per impedire alle donne non sposate di lasciare Gaza quando tale viaggio possa causare “danno assoluto”: un’ampia definizione che consente agli uomini di limitare i viaggi delle donne ogni volta che lo vogliano. A gennaio, le autorità di Hamas hanno rintracciato e restituito al padre, con la forza, due donne, Wisam e Fatma al-Tawil; padre da cui erano precedentemente fuggite, dopo aver denunciato gravi violenze domestiche, comprese minacce di morte.
Cisgiordania
La repressione israeliana dei palestinesi in Cisgiordania si è intensificata nel 2023, soprattutto dopo il 7 ottobre.
Uso della forza da parte di Israele
Le forze israeliane hanno effettuato diversi raid su larga scala nel 2023, prendendo di mira in particolare la città di Nablus e il campo profughi di Jenin. Quest’ultimo, secondo l’OCHA, il 3 e 4 luglio è stato teatro della più grande e sanguinosa operazione avvenuta in Cisgiordania dal 2005, che ha provocato l’uccisione di 12 palestinesi, tra cui 4 bambini, lo sfollamento temporaneo di 3.500 persone e il danneggiamento di 460 unità abitative.
Tra gli oltre 460 morti nel 2023 – il numero più alto registrato in 18 anni – figurano palestinesi che hanno attaccato israeliani, o lanciato bombe molotov o pietre contro le forze israeliane, i passanti, coloro che aiutavano i feriti e altri non coinvolti nei combattimenti. L’OCHA ha riferito che più della metà delle vittime dal 7 ottobre sono avvenute durante operazioni israeliane che non hanno comportato scontri armati.
Secondo l’OCHA, i coloni israeliani hanno ucciso 15 palestinesi il 7 dicembre. Il gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din ha scoperto che tra il 7 ottobre e il 28 novembre i coloni hanno attaccato 93 comunità palestinesi.
Raramente le autorità israeliane hanno ritenuto responsabili le forze di sicurezza che hanno usato una forza eccessiva, o i coloni che hanno attaccato i palestinesi. Secondo Yesh Din, meno dell’1% delle denunce di abusi da parte delle forze israeliane presentate da palestinesi in Cisgiordania tra il 2017 e il 2021, e il 7% delle denunce di violenza da parte dei coloni tra il 2005 e il 2022, hanno portato a un atto d’accusa. Anche durante la furia dei coloni di Huwara, le autorità israeliane hanno rilasciato in pochi giorni la maggior parte dei 17 uomini arrestati perché sospettati di coinvolgimento. A luglio, il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha assolto l’ufficiale che nel 2020 uccise Eyad al-Hallaq, un palestinese disarmato di 32 anni affetto da autismo che non aveva minacciato nessuno; la Corte ha definito un “errore onesto” la sparatoria fatale.
La violenza e le intimidazioni incontrollate dei coloni, continuano. Secondo l’OCHA, 1.105 palestinesi – tra cui quattro intere comunità – sfollati dall’inizio del 2022, citano la violenza dei coloni e l’impedimento dell’accesso ai pascoli da parte dei coloni come motivo principale per cui sono stati costretti a lasciare le proprie case. Tra il 7 ottobre e il 13 dicembre sono state sfollate 1.257 persone.
Attacchi palestinesi
Al 30 novembre, secondo l’OCHA, i palestinesi hanno ucciso 24 civili israeliani durante attacchi mortali in Cisgiordania, il numero più alto da oltre 15 anni. Il dato ha incluso un incidente a gennaio nel quale un palestinese ha ucciso sette civili, tra cui un bambino, nell’insediamento israeliano di Neve Yaakov, nella Gerusalemme Est occupata. Hamas ha elogiato molti degli attacchi.
Detenzione, tortura e maltrattamenti israeliani dei palestinesi
Le autorità israeliane applicano la legge civile israeliana ai coloni, ma governano i palestinesi della Cisgiordania secondo una dura legge militare. Così facendo negano loro un giusto dibattimento e li processano in tribunali militari, registrando un tasso di condanna quasi del 100%.
Secondo i dati dei servizi carcerari israeliani, al 1° dicembre Israele deteneva in custodia 7.677 palestinesi per reati di “sicurezza”. Ciò include 200 bambini, al 6 novembre, secondo il gruppo per i diritti dei prigionieri palestinesi Addameer. Israele incarcera all’interno di Israele molti palestinesi dei Territori Palestinesi Occupati (OPT), complicando le visite dei familiari e violando il divieto del diritto umanitario internazionale contro il loro trasferimento fuori dai territori occupati.
A maggio, Khader Adnan, 45 anni, è morto nella sua cella durante l’86esimo giorno di sciopero della fame contro le pratiche di detenzione israeliane. Adnan ha trascorso circa otto anni in carcere, gran parte dei quali in detenzione amministrativa, e nei mesi precedenti aveva lanciato scioperi della fame per sfidare la repressione israeliana.
Secondo il gruppo per i diritti israeliani Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele, più di 1.400 denunce di tortura, tra cui dolorose catene, privazione del sonno ed esposizione a temperature estreme, commesse in Israele e nei territori occupati dalla Shabak (l’Agenzia per la sicurezza israeliana), sono state depositate presso il Ministero della Giustizia israeliano dal 2001, dando luogo a tre indagini penali e a nessuna accusa. L’organizzazione Military Court Watch ha riferito che in 26 casi di detenzione di bambini palestinesi documentati nel 2023, il 69% ha affermato di aver subito abusi fisici da parte delle forze israeliane e il 73% è stato perquisito.
Gruppi per i diritti dei palestinesi hanno anche segnalato un deterioramento delle condizioni dei prigionieri palestinesi, tra cui isolamento, raid violenti, trasferimenti carcerari di ritorsione, minore accesso all’acqua corrente e al pane e minori visite familiari. Le condizioni sono peggiorate dopo il 7 ottobre.
Insediamenti e demolizioni di case
Le autorità israeliane forniscono sicurezza, infrastrutture e servizi a oltre 710.000 coloni in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.
Secondo l’OCHA, a partire dall’11 dicembre 2023 le autorità israeliane hanno demolito 1.004 case palestinesi e altre strutture in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, provocando lo sfollamento di 1.870 persone, numero che supera quello del 2022. La maggior parte degli edifici sono stati demoliti per mancanza di permessi di costruzione, che le autorità rendono quasi impossibile ottenere in queste aree, per i palestinesi.
La difficoltà nell’avere i permessi di costruzione a Gerusalemme Est e nel 60% della Cisgiordania sotto il controllo esclusivo di Israele (Area C), ha spinto i palestinesi a costruire strutture che sono a costante rischio di demolizione o confisca perché non autorizzate, comprese dozzine di scuole. In aree come le colline a sud di Hebron, intere comunità palestinesi si trovano ad alto rischio di sfollamento. Il diritto internazionale vieta a una potenza occupante di distruggere proprietà, a meno che non sia “assolutamente necessario” per “operazioni militari”.
Le autorità hanno anche sigillato le case delle famiglie dei palestinesi sospettati di aver attaccato gli israeliani, atti illegali di punizione collettiva.
Dopo una battaglia legale durata decenni e dopo che la Corte Suprema israeliana, a marzo, ha negato l’appello finale, a luglio la polizia israeliana ha sgomberato con la forza due palestinesi anziani, Nora Ghaith (68 anni) e Mustafa Sub-Laban (72 anni), dalla loro vecchia casa di famiglia nella Città Vecchia di Gerusalemme Est occupata, per far posto ai coloni israeliani. L’ha fatto in base a una legge discriminatoria che consente alle organizzazioni di coloni di rivendicare le terre che, secondo loro, gli ebrei possedevano a Gerusalemme Est prima del 1948: una strategia utilizzata particolarmente a Sheikh Jarrah e Silwan. Nel frattempo, ai palestinesi è impedito dalla legge israeliana di reclamare le proprietà che possedevano in quello che divenne Israele, e da cui fuggirono o furono espulsi nel 1948.
Libertà di movimento
Le autorità israeliane hanno continuato a richiedere ai titolari di documenti d’identità palestinesi, con rare eccezioni, di essere in possesso di permessi limitati nel tempo, difficili da ottenere, per entrare in Israele e in gran parte della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. B’Tselem lo descrive come “un sistema burocratico arbitrario e del tutto non trasparente” nel quale “molte domande vengono respinte senza spiegazione, senza alcuna reale possibilità di appello”. Dall’inizio di quest’anno, secondo l’OCHA, le autorità israeliane hanno mantenuto 645 posti di blocco e altri ostacoli permanenti all’interno della Cisgiordania, oltre a checkpoint ‘volanti’ ad hoc. Le forze israeliane regolarmente mandano indietro, senza spiegazioni, o ritardano e umiliano i palestinesi ai posti di blocco, consentendo al tempo stesso un movimento in gran parte libero ai coloni israeliani.
Israele ha continuato la costruzione della barriera di separazione iniziata più di vent’anni fa, apparentemente per ragioni di sicurezza, ma secondo l’OCHA l’85% di essa si trova all’interno della Cisgiordania piuttosto che lungo la linea verde che separa il territorio israeliano da quello palestinese. La barriera taglia fuori migliaia di palestinesi dalle loro terre agricole, ne isola 11.000 che vivono sul lato occidentale del muro ma non sono autorizzati a recarsi in Israele, limitando fortemente la loro capacità di attraversare la barriera per accedere alle proprie proprietà e ai servizi di base. Una volta completato, il 9% della Cisgiordania sarà isolato oltre la barriera di separazione.
Abusi da parte dell’Autorità Palestinese
A settembre lo Stato di Palestina ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale la Convenzione contro la tortura e il suo Protocollo facoltativo, rendendola di fatto legge palestinese. Sempre a settembre, la sottocommissione delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura ha visitato i luoghi di detenzione in Cisgiordania. Tuttavia, l’Autorità Palestinese ha continuato la sua pratica sistematica di detenzione arbitraria di oppositori e critici, compresi studenti. Avvocati per la Giustizia, un gruppo che rappresenta i palestinesi prigionieri dell’Autorità Palestinese, ha documentato che 726 palestinesi sono stati detenuti arbitrariamente tra gennaio e il 17 agosto, generalmente per periodi di giorni o poche settimane. Tra gennaio e agosto 2023, l’organismo di vigilanza palestinese ICHR ha ricevuto 162 denunce di arresti arbitrari, 86 denunce di tortura e maltrattamenti e 13 denunce di detenzione senza processo o accusa in seguito agli ordini di un governatore regionale contro l’Autorità Palestinese.
Ad agosto, l’Autorità Palestinese ha registrato Avvocati per la Giustizia dopo averne bloccata la registrazione per mesi.
Le leggi sullo status personale, sia dei musulmani che dei cristiani, discriminano le donne, anche in relazione al matrimonio, al divorzio, alla custodia dei figli e all’eredità. La Palestina non ha una legge completa sulla violenza domestica. L’Autorità Palestinese sta valutando da tempo un progetto di legge sulla protezione della famiglia, ma i gruppi per i diritti delle donne hanno espresso preoccupazione sul fatto che non sia sufficiente per prevenire gli abusi e proteggere le sopravvissute.
Israele
Per gran parte dell’anno, gli israeliani sono scesi in piazza in proteste settimanali senza precedenti in tutto il Paese per opporsi al piano del governo di indebolire l’indipendenza della magistratura. A luglio, il governo ha attuato parte del suo piano quando la Knesset ha approvato una legge che vieta alla Corte Suprema di valutare la “ragionevolezza” delle decisioni governative. La Corte Suprema sta rivedendo la legge in risposta alle petizioni che la contestano.
La Knesset ha rinnovato a marzo un ordine temporaneo che vieta, con poche eccezioni, la concessione di uno status legale a lungo termine, all’interno di Israele, ai palestinesi della Cisgiordania e di Gaza che sposano cittadini o residenti israeliani. Tale restrizione, in vigore dal 2003, non esiste per gli individui di praticamente qualsiasi altra nazionalità che sposano cittadini o residenti israeliani.
A febbraio la Knesset ha approvato una legge, ora in vigore, che autorizza la revoca della cittadinanza o della residenza permanente, e la conseguente deportazione in Cisgiordania, dei palestinesi che commettono un “atto terroristico”, e che ricevono un risarcimento dall’Autorità Palestinese per tale atto.
A settembre, Netanyahu ha chiesto la deportazione dei richiedenti asilo africani coinvolti in violenti scontri a Tel Aviv. Le autorità israeliane hanno continuato a negare sistematicamente le loro richieste di asilo – secondo quanto stimato dalla Hotline per i rifugiati e i migranti, sono 34.500 e in gran parte eritrei, etiopi e sudanesi – mentre consente l’ingresso di decine di migliaia di rifugiati ucraini. Nel corso degli anni, il governo ha imposto restrizioni alla circolazione dei richiedenti asilo africani, ai permessi di lavoro e all’accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione, per fare loro pressione affinché se ne vadano.
Principali attori internazionali
Molti Stati hanno condannato gli attacchi del 7 ottobre guidati da Hamas. Molti meno, però, hanno condannato i gravi abusi delle autorità israeliane. Gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali hanno fornito armi o sostegno militare a Israele, mentre altri Stati hanno fornito aiuti militari a gruppi armati palestinesi; di fronte ai gravi abusi in corso, ciò rischia di renderli complici di crimini di guerra.
Il presidente Joe Biden e altri funzionari statunitensi si sono recati in Israele diverse volte, per sollecitare la protezione dei civili e per esercitare pressioni sui funzionari israeliani affinché consentissero aiuti a Gaza; tuttavia, al momento della stesura di questo articolo, gli Stati Uniti non hanno condizionato il proprio sostegno militare a Israele al rispetto di tali richieste. Dopo il 7 ottobre, l’amministrazione Biden ha chiesto 14,3 miliardi di dollari per ulteriori armi a Israele, oltre ai 3,8 miliardi di aiuti militari statunitensi che Israele riceve ogni anno. Gli Stati Uniti hanno inoltre fornito, o annunciato di voler fornire, bombe di piccolo diametro, kit di guida JDAM (Joint Direct Attack Munition), proiettili di artiglieria da 155 mm e 1 milione di munizioni; tuttavia, hanno bloccato le spedizioni di armi leggere per paura che potessero essere trasferite ai coloni.
A settembre, gli Stati Uniti hanno ammesso Israele nel loro programma di esenzione dal visto, consentendo ai cittadini israeliani l’ingresso senza visto, nonostante Israele non abbia eliminato completamente la discriminazione contro i cittadini statunitensi di origine palestinese, araba o musulmana, quando viaggiano in Israele e nei territori occupati.
A dicembre, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno emesso divieti di viaggio contro i coloni violenti in Cisgiordania.
A metà ottobre, gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione che chiedeva una pausa umanitaria a Gaza, ma si sono astenuti su una risoluzione simile a novembre. Come la risoluzione su cui gli Stati Uniti hanno posto il veto, quella adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedeva a Israele, e ai gruppi armati palestinesi, di proteggere i civili e rispettare il diritto umanitario internazionale. Si è trattato della prima risoluzione adottata dal Consiglio su Israele e Palestina dal 2016. Ma ancora una volta, a dicembre, gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che chiedeva un cessate il fuoco tra le forze israeliane e i gruppi armati palestinesi. L’Assemblea Generale ha approvato due risoluzioni per chiedere il cessate il fuoco, una in ottobre e l’altra in dicembre.
Le divisioni tra gli Stati membri dell’Unione europea hanno impedito al blocco di raggiungere l’unanimità necessaria per adottare posizioni forti e misure concrete in risposta agli abusi israeliani. Ciò è stato particolarmente evidente dopo il 7 ottobre, anche attraverso i voti divergenti degli Stati membri dell’Ue alle Nazioni Unite. Pur condannando Hamas, i Paesi europei non sono riusciti ad accordarsi all’unanimità nel denunciare i crimini di guerra di Israele. L’alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, ha proposto un pacchetto di sanzioni mirate per gli abusi dei coloni in Cisgiordania, ma le prospettive per la sua adozione sono rimaste scarse, alla luce del requisito dell’unanimità.
A giugno l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha aggiornato il database delle imprese che operano negli insediamenti. A luglio, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione per garantire i finanziamenti per il continuo aggiornamento del database.
Le indagini sulla Palestina della Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) sono ancora in corso. Il pubblico ministero ha parlato dal valico di Rafah e ha visitato Israele e Palestina nel mezzo delle ostilità. Ha segnalato alle parti il mandato in corso della CPI e ha chiarito che qualsiasi crimine grave commesso nelle attuali ostilità rientra nel mandato della Corte.
A luglio, 54 Stati e tre organizzazioni intergovernative hanno presentato osservazioni alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) sul parere consultivo sullo status giuridico dell’occupazione prolungata da parte di Israele, e sulle conseguenze legali dei suoi abusi contro i palestinesi, richiesto nel dicembre 2022 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Le udienze pubbliche si apriranno presso l’ICJ il 19 febbraio 2024.
A dicembre, il Sudafrica ha presentato un caso alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo che Israele, nel contesto delle sue operazioni militari a Gaza, ha violato i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul Genocidio del 1948. Ha chiesto alla Corte di adottare urgentemente misure provvisorie per proteggere il popolo palestinese e garantire il rispetto della Convenzione da parte di Israele. Le udienze pubbliche sono state fissate per l’11 e il 12 gennaio 2024 (per gli aggiornamenti sul caso vedi il sito della Corte Internazionale di Giustizia, https://www.icj-cij.org/case/192, n.d.r).
* Human Rights Watch, World Report 2024, 11 gennaio 2024. Pubblicato sotto diritti Creative Commons, traduzione a cura di Paginauno, qui il Report in inglese con link alle fonti https://www.hrw.org/world-report/2024/country-chapters/israel-and-palestine