International Labour Organization (ILO)*
I lavoratori essenziali. Ritenuti indispensabili durante la pandemia Covid, il rapporto dell’ILO fotografa le loro condizioni di lavoro: salari più bassi, contratti precari, orari sfiancanti, meno protezione sociale
INTRODUZIONE
I lavoratori chiave possono essere individuati in otto gruppi professionali: lavoratori dei sistemi alimentari; operatori sanitari; lavoratori al dettaglio; addetti alla sicurezza; lavoratori manuali; addetti alle pulizie e servizi igienico-sanitari; addetti ai trasporti; tecnici e impiegati dei settori. Nei 90 Paesi con dati disponibili, i lavoratori essenziali costituiscono il 52% della forza lavoro, sebbene la quota sia inferiore nei Paesi ad alto reddito (34%), dove le attività economiche sono più diversificate (Grafico ES1, pag. 31). Le donne rappresentano il 38% di tutti i lavoratori chiave a livello globale, una percentuale inferiore alla loro quota di lavoro non chiave (42%); costituiscono inoltre i due terzi degli operatori sanitari e più della metà dei lavoratori del commercio al dettaglio, ma sono ampiamente sotto-rappresentate nella sicurezza e nei trasporti. I Paesi ad alto reddito fanno molto affidamento sui migranti internazionali per svolgere servizi chiave in occupazioni come l’agricoltura, la pulizia e l’igiene. […]
1. CHI SONO I LAVORATORI ESSENZIALI?
1.1. Definizione di lavoratori essenziali
In questo Report, la definizione di lavoratori chiave proviene dagli elenchi pubblicati dai Paesi di tutto il mondo all’inizio della pandemia Covid-19. In totale, 126 Stati hanno pubblicato elenchi nel marzo-aprile 2020, designando quelle attività o servizi che dovevano continuare a funzionare nonostante la pandemia. Sebbene gli elenchi variassero per scopo, portata e dettaglio, vi erano importanti somiglianze riguardo a quali servizi o attività fossero considerati essenziali, sia in Paesi di diverse regioni del mondo – Africa, Americhe, Stati arabi, Asia o Europa – così come tra Paesi ad alto, medio e basso reddito. Tuttavia, vi erano anche differenze, che riflettevano la struttura delle singole economie e aree geografiche, nonché la pressione politica di alcuni settori affinché continuassero le attività, in particolare durante le successive ondate pandemiche. […]
La maggior parte degli Stati ha incluso ambiti economici per salvaguardare l’accesso al cibo, all’acqua, all’elettricità, ai servizi igienici e all’assistenza sanitaria e per garantire l’ordine pubblico. La fornitura di tali beni e servizi, tuttavia, implicava che altri settori restassero in funzione, dato il loro coinvolgimento nella fornitura. Così, per esempio, nessun Paese ha negato la centralità della produzione alimentare e agricola; ma, oltre ai contadini che coltivano la terra, garantire un approvvigionamento alimentare adeguato significava anche incorporare i trasporti (per consegnare il cibo al mercato), alcune attività manifatturiere (le fabbriche che preparano gli alimenti trasformati), alcuni settori del commercio al dettaglio (i negozi e i mercati che vendono cibo, sia fresco che trasformato), ristoranti che preparano cibo da asporto, nonché servizi di consegna (compresi i lavoratori su piattaforma) che consegnano il cibo ai consumatori. Reti simili di produzione e scambio si applicano, per esempio, anche all’assistenza sanitaria. Oltre a questi ambiti, la maggior parte dei governi ha esteso il proprio elenco di servizi essenziali includendo attività di informazione e comunicazione, attività finanziarie, servizi legali e pubblica amministrazione. Questi servizi erano necessari per la continuazione dell’attività economica e in effetti garantivano il soddisfacimento dei bisogni fondamentali sopra elencati. In tutto, vi erano 13 grandi settori che fornivano servizi considerati essenziali nella maggior parte dei Paesi (Tabella 1.1, pag. 32) […]
Questo Report però si concentra su quei lavoratori che hanno dovuto lasciare la propria casa per svolgere il proprio lavoro. […] Queste occupazioni sono classificate nei seguenti otto grandi gruppi occupazionali: lavoratori dei sistemi alimentari; operatori sanitari; lavoratori al dettaglio; addetti alla sicurezza; operai (inclusi operatori di impianti e magazzinieri); addetti alle pulizie e servizi igienico-sanitari; addetti ai trasporti; tecnici e impiegati dei settori (Figura 1.3, pag. 33).
1.2. Quanti sono i lavoratori essenziali e quali sono le loro caratteristiche?
I lavoratori chiave rappresentano un’ampia quota della forza lavoro mondiale. Per i 90 Paesi per i quali sono disponibili dati, la percentuale varia da un massimo dell’87% in Mozambico a un minimo del 24% in Israele, con una media del 52% in tutti gli Stati. In generale, maggiore è il livello di reddito di un Paese, minore è la percentuale di lavoratori in occupazioni chiave.
Ciò non sorprende dato che, in molti Paesi a basso e medio reddito, l’agricoltura continua a essere una parte importante dell’attività economica e un’occupazione dominante. Tuttavia, la relazione negativa vale anche escludendo i lavoratori agricoli. Con lo sviluppo economico, la struttura delle attività si diversifica, con più persone impiegate in settori non chiave – come finanza, assicurazioni e immobiliare oppure arte, intrattenimento e ricreazione – che non rientrano nella categorizzazione del lavoro essenziale. Di conseguenza, con l’aumento del reddito, c’è un declino complessivo della quota di lavoratori chiave (Figura 1.5, pag. 34), che persiste anche quando l’agricoltura è esclusa.
Inoltre, c’è un cambiamento nei tipi di occupazione che diventano prevalenti nei lavori chiave, in particolare verso l’assistenza sanitaria, la pulizia e l’igiene, il lavoro manuale (manifattura e magazzini) e il lavoro come tecnici e impiegati. Mentre meno del 2% dei lavoratori essenziali è impegnato nel settore sanitario nei Paesi a basso reddito, la quota sale a quasi il 20% in quelli ad alto reddito (Figura 1.6, pag. 35). […]
In media, il 51% dei lavoratori chiave sono salariati e dipendenti mentre il restante sono lavoratori autonomi (Figura 1.7, pag. 36). Ciononostante, esistono differenze cruciali tra i gruppi di reddito: nei Paesi ad alto reddito, la maggior parte dei lavoratori essenziali sono dipendenti (84%), mentre è vero il contrario per i Paesi a basso reddito, dove oltre l’87% sono autonomi. Negli Stati ad alto reddito, l’agricoltura e, in misura minore, i trasporti, sono le due principali attività economiche in cui è diffuso il lavoro autonomo; al contrario, nei Paesi a basso reddito, il lavoro autonomo è il tipo di occupazione dominante tra i lavoratori essenziali in tutti i gruppi occupazionali, a eccezione della salute e della sicurezza.
La distinzione in base allo status occupazionale – lavoratori subordinati rispetto a lavoratori autonomi – è fondamentale, poiché nella maggior parte dei sistemi giuridici del mondo il rapporto di lavoro rimane la porta d’accesso alla protezione sociale. Molti dei diritti e dei benefici concessi ai lavoratori sono assenti quando il lavoratore è autonomo. Questi ultimi non sono coperti da tutele sull’orario di lavoro o sul salario minimo, e generalmente non ne beneficiano in materia di sicurezza e salute, accesso alla formazione o protezione sociale. Anche il diritto alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva, pur riconosciuto dal Committee on Freedom of Association (CFA) come appartenente a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status, non è universalmente applicato. […]
Nei Paesi in via di sviluppo, l’informalità è una caratteristica comune dei lavoratori essenziali, specialmente tra i lavoratori autonomi. L’informalità, come definita dall’ILO, include i dipendenti che svolgono lavori informali, i collaboratori familiari e i lavoratori per conto proprio, i datori di lavoro e i membri di cooperative che operano nel settore informale. In media, nei Paesi in via di sviluppo, quasi l’87% di lavoratori occupati hanno uno status informale; nei Paesi a basso reddito, il 95% è informale. Per i dipendenti essenziali, la distribuzione è meno distorta ma comunque preoccupante, poiché il 51% lavora in modo informale. Ancora una volta, i Paesi a basso reddito hanno alti tassi di informalità (64%), mentre nei Paesi a reddito medio-alto la quota scende al 40%, tuttavia ancora elevata. […]
Infine, i lavoratori essenziali sono impiegati prevalentemente nel settore privato: in media, poco meno del 15% è nel settore pubblico, contro il 24% dei non essenziali (Figura 1.9, pag. 37). Tuttavia, l’occupazione pubblica dei lavoratori chiave varia notevolmente da un Paese all’altro, con appena il 3% negli Stati a basso reddito rispetto al 25% in quelli ad alto reddito. Questa situazione riflette sia le ridotte dimensioni del settore pubblico nei primi (che a sua volta riflette differenze significative nella quota delle entrate fiscali in percentuale del reddito nazionale), sia il predominio dell’agricoltura in questi Paesi (essendo produzione e distribuzione alimentare quasi interamente privata). Anche escludendo i lavoratori del settore alimentare, tuttavia, la quota di occupazione pubblica tra i lavoratori chiave nei Paesi a basso reddito sale solo all’8%, ben al di sotto della media mondiale del 19,6%: i limitati livelli di investimento pubblico nella sanità in molti Paesi a basso reddito (cfr. sezione 6.1 del Report) si traducono in minime quote di operatori sanitari essenziali; questi ultimi costituiscono infatti solo il 2% di tutti i lavoratori chiave, rispetto al 20% in quelli ad alto reddito.
1.3 Caratteristiche socio-demografiche dei lavoratori essenziali
Poiché i lavoratori chiave costituiscono una parte considerevole del mercato del lavoro, soprattutto nei Paesi a basso reddito, esistono somiglianze tra il loro profilo demografico nel suo insieme e la popolazione attiva complessiva – sebbene sussistano anche alcune distinzioni, specialmente se disaggregati per gruppo professionale o a livello di reddito del Paese.
Globalmente, tra i lavoratori essenziali le donne sono sotto-rappresentate: sono il 38,3%, mentre rappresentano il 42% dei lavoratori non chiave. […]
La distribuzione per età riflette quella dei mercati del lavoro in tutto il mondo: in media, oltre il 71% dei lavoratori essenziali ha un’età compresa tra i 25 e i 54 anni. […]
I titoli di studio medi sono inferiori a quelli delle loro controparti non chiave, a ogni livello di sviluppo economico. In media, il 12,5% dei lavoratori essenziali possiede almeno un’istruzione terziaria, rispetto a quasi il 28% dei lavoratori non chiave: i lavoratori meno istruiti hanno maggiori possibilità di essere un lavoratore essenziale, indipendentemente dal livello di reddito del loro Paese. […] Tuttavia, i dati mostrano anche che in gruppi professionali come vendita al dettaglio, trasporti, pulizia e servizi igienico-sanitari e lavoro manuale – che generalmente non richiedono competenze avanzate – tra il 6 e l’11% dei lavoratori chiave ha un titolo universitario. Secondo l’ILO, 258 milioni di persone in tutto il mondo sono sovra-scolarizzate per i lavori che svolgono. […]
La pandemia ha evidenziato il ruolo importante dei migranti internazionali nella fornitura di servizi essenziali: quasi un lavoratore chiave su cinque, nei Paesi ad alto reddito, era un migrante internazionale.
3. CONDIZIONI DI LAVORO DEI LAVORATORI ESSENZIALI
Il presente capitolo analizza le condizioni di lavoro dei lavoratori essenziali al fine di individuare possibili carenze cui porre rimedio. Si concentra su sette principali condizioni che inquadrano la qualità del lavoro: sicurezza e salute, diritto alla libertà di associazione e contrattazione collettiva, accordi contrattuali, orario di lavoro, retribuzione, protezione sociale e formazione. Come verrà mostrato nell’analisi, queste sette dimensioni si supportano a vicenda, in modo tale che le carenze in una dimensione si traducono tipicamente in carenze in altre dimensioni. […]
3.1. La sicurezza e la salute sul lavoro
La sezione 2.1 sulla morbilità e malattia da Covid-19 ha mostrato (per il numero limitato di Paesi per i quali sono disponibili dati) che i lavoratori chiave avevano maggiori probabilità di morire a causa del virus rispetto ai lavoratori non essenziali. Ma ha anche rivelato che, mentre gli operatori sanitari avevano la maggiore esposizione al virus, il loro tasso di morbilità era inferiore a quello di altri lavoratori chiave, in particolare quelli dei trasporti. Questo risultato sconcertante è in parte spiegato dalla maggiore aderenza alle misure di Salute e Sicurezza sul Lavoro (SSL) nel settore sanitario, che, a sua volta, riflette la progettazione e la copertura degli stessi sistemi SSL nonché la loro conformità nei diversi luoghi di lavoro […]
In tutto il mondo, l’eliminazione dei rischi sul posto di lavoro continua a rappresentare una sfida pressante. Prima della pandemia, 1,9 milioni di persone morivano ogni anno per infortuni e malattie professionali, sulla base del calcolo dell’esposizione dei lavoratori a 19 fattori di rischio occupazionale. Tra questi, le malattie non trasmissibili, in particolare respiratorie e cardiovascolari, erano responsabili dell’81% dei decessi, con gli infortuni sul lavoro che causano il resto. L’esposizione ricorrente a orari di lavoro superiori a 55 ore settimanali è associata al 40% dei decessi complessivi. Inoltre, ogni anno oltre 313 milioni di lavoratori sono coinvolti in incidenti che causano infortuni gravi, e vi sono altri 160 milioni di casi di malattie professionali non mortali. […]
I lavoratori essenziali sono particolarmente a rischio, data la maggiore probabilità di lavorare in occupazioni pericolose e ambienti di lavoro ad alto rischio, e di trovarsi in accordi contrattuali (in particolare lavoro informale, subappaltato e temporaneo) associati a una minore formazione in materia di sicurezza e salute e senza una supervisione adeguata […]
Nella letteratura sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro sono ben note le differenze settoriali rispetto ai rischi fisici, biologici e psicosociali.
In agricoltura, i rischi noti includono incidenti legati a macchinari e attrezzature nelle fattorie industriali, nonché il verificarsi di malattie polmonari, perdita dell’udito causata dal rumore, malattie della pelle e tumori correlati all’uso di pesticidi o all’esposizione prolungata al sole.
L’estrazione mineraria presenta rischi per la sicurezza e la salute che sono unici per il settore, come instabilità geologica, esplosioni, ambienti termici, radiazioni ionizzanti e problemi di salute respiratoria.
Nel settore sanitario, i lavoratori sono abitualmente esposti a materiale infettivo; gli operatori sanitari soffrono anche di disturbi muscolo-scheletrici dovuti a posture scomode, utilizzate soprattutto nella movimentazione dei pazienti. […]
Per i conducenti di trasporti su strada, gli incidenti stradali sono la principale causa di morte e invalidità; anche i lavoratori dei trasporti trascorrono lunghe ore in spazi angusti e sono soggetti a rumore e vibrazioni costanti. Questi sono solo alcuni dei rischi e delle malattie professionali più importanti nei lavoratori e nei settori chiave. […]
Oltre ai rischi fisici e biologici, quelli psicosociali sono più comuni tra i lavoratori essenziali: si verificano quando le richieste di lavoro superano le risorse a disposizione. Sono rischi che derivano da una cattiva progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché da un contesto sociale di lavoro inadeguato, e possono tradursi in condizioni psicologiche, fisiche e sociali negative, come lo stress correlato al lavoro, il burnout o la depressione. Le forme psicologiche di violenza, come le molestie, comprese quelle sessuali, il bullismo e il mobbing, sono anch’esse forme gravi di rischi psicosociali.
La Figura 3.1 (pag. 38) fornisce i dati europei del 2015 e del 2021 sulla quota di lavoratori che hanno subito violenze e molestie sul lavoro durante il mese precedente l’indagine; entrambe possono provenire da colleghi o dirigenti, ma anche da clienti, pazienti o altri individui con cui la persona interagisce durante il proprio lavoro. Tra i lavoratori chiave, quasi il 12,4% ha dichiarato di essere stato oggetto di abusi verbali, rispetto all’8,7% dei lavoratori non chiave.
3.2. Libertà di associazione e contrattazione collettiva
Molti lavoratori, inclusi molti lavoratori chiave, non sono né membri di un sindacato né coperti da un accordo di contrattazione collettiva. La Figura 3.4 (pag. 39) fornisce i dati sull’iscrizione sindacale in 19 Paesi e territori. La Figura 3.5 (pag. 40) si concentra sui tassi di sindacalizzazione negli stessi Paesi per gruppo occupazionale chiave. Combinati, i dati rivelano una scoperta importante: la sindacalizzazione varia ampiamente tra dipendenti essenziali e non, sia tra i Paesi che al loro interno. In tutti i Paesi, le percentuali vanno da quasi zero in El Salvador a circa il 42 e il 55% in Ucraina; all’interno, emergono grandi differenze tra dipendenti chiave e non chiave: mentre i tassi di sindacalizzazione di questi ultimi sono superiori a quelli dei dipendenti essenziali nella maggior parte dei Paesi, in cinque (Bolivia, Swaziland, Territorio Palestinese Occupato, Regno Unito, Stati Uniti) sono più alti. Ciò è in parte dovuto a una maggiore sindacalizzazione nel settore pubblico e tra coloro che lavorano nella sanità e nella sicurezza (compresi gli agenti di polizia). Nel Regno Unito, per esempio, il 47% dei dipendenti della sanità è iscritto a un sindacato, mentre per le altre sette categorie professionali è inferiore al 25%. Allo stesso modo, negli Stati Uniti, i dipendenti essenziali della sicurezza, in particolare agenti di polizia e vigili del fuoco, sono relativamente più sindacalizzati (37%) rispetto al resto dei lavoratori chiave salariati (11%).
La Figura 3.5 illustra ulteriormente le nette differenze nel tasso di sindacalizzazione tra le principali occupazioni: quello del personale sanitario è del 35,8%, seguito da circa il 23% dei tecnici e degli impiegati e del personale di sicurezza. Al contrario, la sindacalizzazione nei settori delle pulizie e servizi igienico-sanitari, alimentari e vendita al dettaglio è inferiore alla media: appena il 6% per quest’ultimo e il 9% nell’ambito alimentare, una percentuale significativamente inferiore alla media del 17,6% registrata per tutti i dipendenti […]
3.3. Disposizione contrattuale
Il fatto che l’accordo contrattuale di un individuo sia a tempo parziale, temporaneo o multilaterale (agenzia di collocamento privata o intermediario del lavoro) può avere conseguenze importanti per i benefici salariali e non salariali che una persona riceve, e quindi il grado di protezione del lavoro di cui gode. I lavoratori essenziali hanno maggiori probabilità di essere assunti con contratti part-time, temporanei o multipartitici, indipendentemente dal fatto che lavorino per il settore privato o pubblico. I lavoratori migranti, in particolare, spesso lavorano con contratti a tempo determinato, soprattutto se assunti attraverso schemi di migrazione di manodopera temporanea che sono, per definizione, temporanei […]
In linea di principio, non è necessario che vi sia una differenza nelle tutele del lavoro tra questi accordi contrattuali e quelli standard, soprattutto se il regolamento impone la parità di trattamento del lavoratore. In pratica, tuttavia, gli accordi contrattuali non standard sono associati a sanzioni salariali, copertura sociale più debole, tassi di sindacalizzazione inferiori, minore accesso alla formazione, maggiori rischi per la sicurezza e la salute, nonché precarietà. Inoltre, gli studi hanno ha trovato una relazione tra occupazione non standard e condizioni di salute peggiori […]
Sebbene nei Paesi a reddito medio-basso i contratti temporanei prevalgano anche tra i dipendenti non essenziali, la percentuale è più alta per i lavoratori chiave, arrivando quasi al 48%; diversamente, nei Paesi a reddito medio-alto e alto, il tasso di contratti temporanei è simile tra i dipendenti chiave e non chiave. […]
Quando i lavoratori non sono assunti direttamente dall’organizzazione a cui prestano i loro servizi, la loro disposizione contrattuale è considerata multipartitica o triangolare. Le due principali forme di accordi multipartitici sono il lavoro tramite agenzia interinale e il lavoro subappaltato. […] La pulizia e la sicurezza sono comunemente esternalizzate e altre occupazioni chiave sono abitualmente affidate a lavoratori interinali, soprattutto nei magazzini, ma sempre più spesso anche nel settore sanitario. Mentre i lavoratori interinali altamente qualificati, come gli operatori sanitari, possono richiedere un premio per i loro servizi quando assunti tramite un’agenzia, gli studi esistenti indicano che i lavoratori interinali e subappaltati in altre occupazioni hanno prospettive di carriera più limitate, minori benefici e sono soggetti a penalizzazioni salariali. Inoltre, non essendo dipendenti dell’impresa utilizzatrice, sono meno in grado di far sentire la propria voce sul posto di lavoro e non sono coperti dagli accordi collettivi di contrattazione dell’azienda in cui lavorano […]
L’orario di lavoro è strettamente correlato alla qualità del lavoro, in quanto troppo poche ore, troppe ore o ore irregolari generano problemi diversi. Gli individui che lavorano meno ore di quanto vorrebbero sono esposti al rischio di non guadagnare abbastanza, specialmente nelle professioni in cui le retribuzioni orarie sono basse. All’estremo opposto, orari troppo lunghi hanno un impatto deleterio sulla sicurezza e la salute e sulla capacità di conciliare lavoro e vita personale. Nei Paesi di tutto il mondo, orari di lavoro eccessivi sono associati a una maggiore probabilità di soffrire di malattie cardiache e ictus, a causa dello stress e delle risposte biologiche e comportamentali a tale stress. Infine, orari di lavoro irregolari e imprevedibili, in particolare quando non sono decisi congiuntamente da lavoratori e datori di lavoro, portano a significativi conflitti tra lavoro e vita privata e causano insicurezza salariale. Anche questo ha ripercussioni sulla salute, provocando stress psicologico e influenzando, tra gli altri effetti, la qualità del sonno e il benessere generale. Orari di lavoro irregolari e imprevedibili possono anche ridurre le interazioni tra lavoratori e sindacati, il che rende più difficile l’organizzazione e la rappresentazione collettiva degli interessi dei lavoratori.
Mentre l’esatta definizione di orario di lavoro standard varia da Paese a Paese, in genere meno di 20 ore sono considerate poche e più di 48 sono ritenute eccessive. A partire dagli anni Cinquanta, l’orario di lavoro medio è diminuito in molti Paesi industrializzati, ma la tendenza è stata invertita negli anni 2000. Uno studio globale condotto su 194 Stati ha rilevato che l’esposizione a orari di lavoro prolungati, in questo caso definiti come 55 ore lavorative settimanali o più, è aumentata di quasi il 10% tra il 2000 e il 2016, raggiungendo un livello dell’8,9%; allo stesso tempo, una quota significativa della forza lavoro globale è sottoccupata e lavora meno ore di quanto vorrebbe; nel frattempo, gli accordi sull’orario di lavoro come il lavoro a chiamata, il telelavoro e i contratti a zero ore sono diventati più comuni, soprattutto con la crescita dell’economia delle piattaforme, e ciò si aggiunge all’irregolarità degli orari […]
A livello globale, il 10,6% dei lavoratori essenziali lavora meno di 20 ore settimanali, rispetto all’8% dei lavoratori non essenziali. Questa differenza è maggiore nei Paesi a reddito medio-basso, dove il 12,2% dei lavoratori chiave è a orario ridotto. Tale quota è inferiore di circa 4 punti percentuali per i lavoratori non chiave. In generale, il numero di individui che lavorano meno di 20 ore settimanali aumenta con la diminuzione dei livelli di reddito dei Paesi; ciò suggerisce che questi lavoratori e le loro famiglie hanno redditi mensili relativamente bassi. Questo problema riguarda in modo sproporzionato i lavoratori essenziali, poiché tendono anche a guadagnare salari orari inferiori e quindi potrebbero non avere standard di vita dignitosi.
All’estremo opposto, c’è il problema delle lunghe settimane lavorative: in tutti i Paesi, il 25,3% dei lavoratori chiave e il 23,3% dei lavoratori non chiave hanno settimane lavorative superiori a 48 ore. Ancora una volta, questa percentuale tende ad aumentare quando il livello di reddito di un Paese diminuisce, suggerendo che molti lavoratori compensano l’occupazione a bassa produttività – e quindi i bassi salari orari – aumentando il numero di ore lavorate.
Osservando il divario tra lavoratori essenziali e non, è trascurabile nei Paesi ad alto reddito. In quelli a reddito medio, invece, i lavoratori chiave lavorano un orario eccessivo più spesso rispetto ai lavoratori non chiave, mentre è vero il contrario nei Paesi a basso reddito (Figura 3.8, pag. 41) […]
3.5. Salari
La maggior parte dei dipendenti essenziali si trova nella parte inferiore della distribuzione salariale. A livello globale, il 48% è nei primi due quintili, il che significa che la loro retribuzione oraria è inferiore a quella guadagnata dal 60% di tutti i dipendenti (Figura 3.10, pag. 42). In tutti i gruppi di reddito nazionali, il modello è simile e varia tra il 46 e il 50%.
La concentrazione dei dipendenti chiave nella parte inferiore della distribuzione salariale li espone al rischio di una retribuzione bassa, definita dall’ILO come retribuzione inferiore ai due terzi della retribuzione oraria mediana. In media, tra i Paesi, il 29% dei lavoratori essenziali è poco retribuito, rispetto al 20% degli altri dipendenti (Figura 3.11, pag. 43) […]
3.6. Protezione sociale
La protezione sociale comprende politiche e programmi che mirano a mitigare e prevenire la povertà, fornendo l’accesso all’assistenza sanitaria e alla sicurezza del reddito in caso di disoccupazione, infortunio sul lavoro, disabilità, maternità, malattia, vecchiaia e perdita di un capofamiglia. Inoltre, include assistenza sociale come assegni familiari e per i figli, e altre forme di sostegno al reddito […]
Eppure quasi il 53% della popolazione mondiale, ovvero 4,1 miliardi di persone, non è coperto da alcun tipo di protezione sociale, compresi i programmi contributivi e non contributivi; meno di due terzi è coperta da un regime di protezione. Le carenze sono peggiori per i lavoratori essenziali. In questo Report, la copertura previdenziale dipende dall’ammissibilità e dall’accesso a due tipi di diritti: pensioni e assenze per malattia retribuite. Come mostra la Figura 3.16 (pag. 44), in media in 54 Paesi a basso e medio reddito solo il 41% dei lavoratori chiave ha qualche forma di protezione sociale, un tasso inferiore di 10 punti percentuali rispetto alla quota di lavoratori non chiave. La copertura è associata a un livello di sviluppo tale che, nei Paesi a basso reddito, solo il 17% dei lavoratori essenziali e il 28% dei non essenziali beneficiano della protezione sociale. Nei Paesi a reddito medio-alto, la quota di lavoratori chiave e altri lavoratori che hanno diritto ad almeno un tipo di prestazione sociale aumenta rispettivamente al 56% e al 65%, ma il divario tra i due gruppi rimane significativo […]
Le carenze nella protezione sociale si verificano se vi sono esenzioni nella copertura o se rigidi criteri di ammissibilità impediscono a determinati lavoratori, come quelli con contratti temporanei, di diventare ammissibili. Come accennato, molte prestazioni previdenziali quali pensioni, congedi retribuiti e assicurazione contro la disoccupazione, sono organizzate in regime contributivo. I lavoratori chiave con impieghi temporanei e part-time possono avere contributi insufficienti per diventare ammissibili o, se sono ammissibili, i loro livelli di sussidio sono spesso insufficienti. Ciò può verificarsi quando la durata di un contratto è troppo breve, l’orario di lavoro troppo ridotto o quando le interruzioni di carriera sono frequenti […]
La Figura 3.17 (pag. 45) presenta la quota di dipendenti essenziali che hanno diritto a prestazioni sociali per status contrattuale. A ogni livello di sviluppo economico, i dipendenti chiave a tempo determinato hanno una copertura di protezione sociale inferiore rispetto a quelli a tempo indeterminato. Per esempio, mentre il 76% dei dipendenti essenziali con un contratto standard ha una copertura di protezione sociale nei Paesi a reddito medio-alto, solo il 45% tra coloro con contratti a tempo determinato ha diritto alla pensione o al congedo per malattia retribuito. Analogamente, ampi divari si verificano nei Paesi a basso reddito, dove il 15% dei dipendenti essenziali con contratti temporanei ha una copertura di protezione sociale, rispetto al 41% con contratti a tempo indeterminato. […]
4. SFIDE SPECIFICHE AFFRONTATE DAGLI OTTO PRINCIPALI GRUPPI PROFESSIONALI
L’ampia valutazione globale delle condizioni di lavoro dei lavoratori essenziali fornita nel capitolo 3 ha mostrato l’esistenza di una loro sottovalutazione, sia in termini di retribuzione che rispetto ad altre condizioni: hanno tassi di sindacalizzazione in generale più bassi; una maggiore incidenza di accordi di lavoro temporaneo e multipartitico i quali, a volte, aggravano i deficit di altre condizioni di lavoro; hanno orari di lavoro lunghi e irregolari; e, in media, salari più bassi, anche dopo aver tenuto conto delle differenze nel livello di istruzione e altre caratteristiche osservabili tra dipendenti essenziali e non. I lavoratori chiave tendono anche ad avere una copertura di protezione sociale più limitata, soprattutto nei Paesi a basso reddito. Inoltre, relativamente pochi dipendenti essenziali ricevono formazione, un problema che è ancora più grave nei Paesi a basso reddito. Nel complesso, l’analisi ha rivelato forti interconnessioni tra le condizioni di lavoro, con carenze in un’area che si ripercuotono su altre.
*Estratto dal Rapporto World Employment and Social Outlook 2023: The value of essential work, Geneva, International Labour Office, 2023, marzo 2023. Traduzione a cura di Paginauno. “This translation was not created by the International Labour Organization (ILO) and should not be considered an official ILO translation. The ILO is not responsible for the content or accuracy of this translation. This is an adaptation of an original work by the International Labour Organization (ILO). Responsibility for the views and opinions expressed in the adaptation rests solely with the author or authors of the adaptation and are not endorsed by the ILO.” Per le note, la bibliografia e il rapporto originale completo qui https://www.ilo.org/digitalguides/en-gb/story/weso2023-key-workers#home