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Home Politica Guerra

La corsa allo Spazio è una corsa alla guerra (prima parte)

Giovanna Cracco by Giovanna Cracco
4 Gennaio 2025
in Guerra, Nuove Tecnologie
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La corsa allo Spazio è una corsa alla guerra (prima parte)

Photo by SpaceX on Unsplash

  • (Paginauno n. 89, gennaio – febbraio 2025)

“Chi controlla la Luna controlla la Terra”: le parole d’ordine del generale Boushey del 1958 sono tornate d’attualità, mentre la Cina ha scavalcato la Russia nel ruolo di rivale geopolitico degli Stati Uniti e dal 2010, con Obama, è diventata centrale nella U.S. National Space Policy; cosa nascondono i miraggi marziani di Elon Musk, la missione Artemis e la Stazione Spaziale Internazionale

“Chi controlla la Luna controlla la Terra. La Luna offre una base di rappresaglia con un vantaggio senza pari. Se avessimo lì una base, i sovietici sarebbero costretti a lanciare preventivamente dalla Russia un attacco nucleare verso la Luna almeno due giorni prima di attaccare direttamente il continente americano. Se non lo facessero sarebbero destinati entro 48 ore a ricevere dalla Luna una devastante rappresaglia nucleare. Una base lunare costituisce un vantaggio strategico senza prezzo.”
Homer A. Boushey, generale di Brigata e vicedirettore Ricerca e Sviluppo dell’Air Force statunitense, 1958

Il 6 ottobre scorso un saltellante Elon Musk compare accanto a Trump sul palco del comizio elettorale a Butler, in Pennsylvania, indossando la maglietta nera con scritta bianca “Occupy Mars”; una maglietta divenuta icona della conquista di ‘altri mondi’, così come Musk è divenuto immagine dell’epica spaziale. La visione di fondare una colonia umana su Marte lo accompagna almeno dal 2001, senza che il proprietario di SpaceX abbia mai lasciato trapelare un dubbio sulla sua fattibilità; tuttavia gli annunci relativi alla tempistica dell’impresa non hanno goduto della medesima coerenza. Nel 2011 Musk ha affermato che avrebbe portato l’Uomo su Marte in dieci anni – e con tutta evidenza non ci siamo arrivati –; nel 2016 ha dichiarato che nel 2060 vivranno su Marte un milione di persone; nel 2020 ha sostenuto che probabilmente sarà morto prima che l’Uomo arrivi su Marte; nel 2021 ha asserito che si ritroverà sorpreso nel caso l’umanità non atterri su Marte entro cinque anni, quindi entro il 2026. L’ambito spaziale si è sempre contraddistinto per il rinvio di scadenze precedentemente fissate – anche un piccolo problema tecnico può causare lo slittamento di mesi – dunque al di là delle boutade che caratterizzano il personaggio Elon Musk, la mancanza di una tempistica certa fa parte del gioco. Tuttavia, se ci allontaniamo dall’entusiasmo del proprietario di SpaceX e ci avviciniamo ai dettagli tecnici, che la stessa NASA evidenzia nella documentazione del progetto Moon to Mars (M2M) (1), la situazione appare sotto una luce del tutto differente.

In estrema sintesi, per poter realisticamente ipotizzare la ‘conquista umana di Marte’, o addirittura la sua colonizzazione, tre sono gli aspetti fondamentali, e tra loro correlati, a oggi ancora privi di soluzione.

Innanzitutto la lunghezza del viaggio. Un tragitto di andata e ritorno durerebbe mediamente due anni, il che significa che gli astronauti dovrebbero trascorrere quasi 24 mesi all’interno di un veicolo spaziale: serve dunque un sistema di supporto vitale a circuito chiuso. L’astronave poi deve essere in grado, sfruttando le forze gravitazionali dei pianeti, di accelerare e rallentare, e arrivare su Marte con la necessaria riserva di propellente per tornare indietro. Le sonde robotiche già inviate sono alimentate da un generatore termoelettrico a radioisotopi al plutonio 238, per la missione con equipaggio la NASA sta al momento studiando razzi a propulsione nucleare.

C’è poi il problema delle radiazioni cosmiche che gli astronauti assorbirebbero durante il viaggio e l’eventuale permanenza su Marte: sulla Terra ne siamo protetti dall’atmosfera e dal campo magnetico, nello Spazio profondo siamo senza difesa. Oggi, dopo sei mesi nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) – situata in orbita bassa, tra 330 e 410 chilometri di altitudine, quindi fuori dall’atmosfera ma ancora all’interno della magnetosfera – un astronauta assorbe circa 10 rem di radiazioni, il limite massimo ammesso dalla NASA, che incrementa statisticamente del 3% la possibilità di sviluppare forme cancerogene; nei soli 12 mesi di viaggio di andata verso Marte, stando ai calcoli della NASA stessa, un astronauta potrebbe assorbire radiazioni pari a 66 rem.

Infine, ed è il terzo aspetto, non ha ancora soluzione l’indebolimento muscolare e scheletrico che il corpo umano subisce in una lunga permanenza nello Spazio. I film di fantascienza risolvono la questione inventando enormi astronavi ruotanti, in grado di generare al proprio interno una forza simile alla gravità terrestre. “Il problema è che un’astronave ruotante dovrebbe essere costruita da strutture metalliche in grado di sopportare le sollecitazioni continue a cui sarebbero sottoposte durante la rotazione costante,” scrive Marcello Spagnulo, ingegnere aeronautico con esperienza trentennale nel settore spaziale presso aziende private e agenzie governative, “e non si hanno ancora concrete soluzioni ingegneristiche per un sistema di questo tipo. Inoltre, per poter essere efficace, la nave spaziale ruotante dovrebbe avere dimensioni gigantesche, perché altrimenti la forza generata al suo interno non sarebbe omogenea, con gravi ripercussioni sulla salute degli astronauti. […] Solo costruendo delle astronavi da almeno trecento metri di diametro, cioè tre volte la ISS, e facendole ruotare a 2,5 giri al minuto, si potrebbe ottenere una forza con un’intensità omogenea su tutto il corpo umano senza provocare scompensi” (2) – una possibilità, per inciso, che si accompagna all’ipotesi di riuscire a creare eso-cantieri, ossia manifatture in grado di costruire una astronave direttamente nello Spazio, sfruttando ipotetiche materie prime raccolte anch’esse nello Spazio (da asteroidi o dalla Luna), per ovviare alla difficoltà di trovare un propellente in grado di sprigionare la sufficiente potenza di lancio per far superare a una simile astronave gravità e atmosfera terrestri. Si dovrebbe poi individuare risposte per la conservazione del tono muscolare cardiaco – dopo sei mesi in orbita è stata riscontrata una sfericizzazione del 9,5% del cuore, con rischi tuttora ignoti – e per lo stress ossidativo dei bulbi oculari. Per non parlare di una ipotetica vita in una colonia marziana, che dovrebbe fare i conti con una gravità pari allo 0,375 di quella terrestre, un’atmosfera 100 volte più sottile, temperature medie di -63° centigradi e capaci di scendere fino a -126°, e magnetosfera inesistente: dunque microgravità, niente ossigeno, niente acqua in superficie, nessuna protezione dalle radiazioni cosmiche (3).

Insomma – restando nel mero ambito fisico e tralasciando gli aspetti psicologici di un simile viaggio e di una eventuale permanenza su Marte, niente affatto secondari – il corpo umano è a misura terrestre: non è fatto per sopravvivere nello Spazio e, se un giorno ‘occuperà’ il Pianeta Rosso, quel giorno, difficilmente, cadrà in questo secolo e quel corpo, facilmente, non sarà l’umano come oggi lo conosciamo (su questo punto torneremo nel prossimo articolo). Perché dunque Musk – che di certo ha contezza della portata dei limiti attuali – alimenta l’immaginario collettivo con la colonizzazione di Marte? Perché, dopo che lo Spazio e la Luna sono scomparsi dalla narrazione mediatica per almeno due decenni, ci siamo ritrovati nuovamente esortati a guardare a naso in su e a contemplare sui social le dirette di Samantha Cristoforetti dalla ISS? Perché la ‘corsa allo Spazio’ ha ripreso vigore nel 2010 a opera di Obama ed è divenuta centrale nella strategia statunitense a partire dalla prima presidenza Trump nel 2017?

I veri obiettivi, mascherati dai miraggi marziani e dalla Stazione Spaziale Internazionale, sono innanzitutto militari, e trovano già schierati tre attori principali: Stati Uniti, Cina e Russia. Nel campo statunitense, strettamente connessi ma meno immediati di quanto si possa pensare, sono poi gli sviluppi tecnologici e capitalistici: non è infatti un caso che, ben oltre Musk che si presta a divenire brand della società dello spettacolo, nella cosiddetta space economy ci siano gli stessi imprenditori del digitale; e il punto centrale non sono certo gli appalti e le commesse statali, non sono certo i soldi pubblici. Ma questo aspetto lo vedremo sul prossimo numero di Paginauno. Oggi parliamo di guerra, e ci focalizziamo sugli Stati Uniti; Cina e Russia saranno oggetto di un altro articolo…

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Tags: armicinanucleareRussiaspazioStati Uniti
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